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Luca Barbareschi intervista a 'La Repubblica': “Avete ragione sono un uomo ingombrante”

Difficile stare dietro a Luca Barbareschi, che si esalta e fa autocritica, mescola profonde citazioni in ebraico a giudizi tranchant. Col suo talk show di successo su Rai 3 In barba a tutto (domani per parlare di genitori e regole ha invitato Rocco Siffredi, Michela Andreozzi e Igor Sibaldi) fa domande, ma gli piace di più rispondere. Elenca i progetti: la serie L’impero per Sky sul mondo del calcio, Black out e Fino all’ultimo battito per Rai, poi ci sono i film: Appunti di un venditore di donne dal libro di Giorgio Faletti con Mario Squeglia e Miriam Dalmazio, Ero in guerra ma non lo sapevo di Fabio Resinaro ispirato all’omicidio del gioielliere Pierluigi Torregiani con Francesco Montanari e Laura Chiatti e il nuovo film di Fausto Brizzi Bla bla baby con Alessandro Preziosi e Matide Gioli.




Barbareschi, è soddisfatto del suo late show?


«Molto, volevo vedere se ero arrugginito come showman. Negli anni sono diventato più istituzionale, ho detto no a una serie di Sky come protagonista. Ho investito su Eliseo doc, ho portato a casa tanti lavori sulle piattaforme. “Barbareschi è un problema”, è il mio karma. Mi devo rendere conto che sono ingombrante». Però su Rai 3 non è così cattivo. «In genere vado a ruba come ospite, posso parlare di qualsiasi cosa e mi piace quando mi provocano. Il problema è che andando all’attacco do sempre il peggio di me. Amo la comicità ebraica, siamo più taglienti, non è fatta di battute, ma di situazioni. Per anni sono cascato nel tranello, mando a quel paese».


Vuol dire che è cambiato?


«Mi sono chiesto: è questo che vuoi? Volevo vedere se potevo trasferire verità, parola grossa in tv. Grazie a In barba a tutto mi siedo davanti a un ospite e ascolto: creo un momento di intimità. La gente è abituata a vedere show drogati: urlano, non ascoltano o seguono una drammaturgia. Sono invidioso del successo di Lol, ma non ho riso mai: trovo che sia il Grande fratello della comicità».


Non coltiva il senso dell’umorismo?


«Guardi, rido. E mi fanno ridere le cose più estreme. Vedo Lol e mi sento male: non sono senza rete. Mi piace vedere i trapezisti, la ragione della loro vita è lo slancio emotivo e la gente trattiene il fiato».


È sempre stato considerato di destra, è un pregiudizio?


«Gli Ott non pagano le tasse, Internet è peggio dell’eroina: non sono in tanti a dire queste cose. Io sì. Mi sento più a sinistra di quelli di sinistra. Pago le tasse, nei film o negli spettacoli invito chi parlava male di me. Spiegai che il Valle non avrebbe riaperto, invece l’Eliseo è riaperto. Non gridavo al Valle, però avevo consigliato: “Fate due grandi spettacoli e rimarrete tutta la vita”».


La barba bianca le dona un’aria da saggio, è meno arrogante?


«Ho sofferto, con l’Eliseo c’è stato un accanimento. Devi cadere e faticare. In ebraico per “crisi” e “opportunità” si usa la stessa parola. Se sei in pace, tutto cambia. Ho smesso di essere giudicante, di pensare che la gente mi voglia male».


Dicono che farà un programma comico su Rai 2 perché è protetto da Fratelli d’Italia: è vero?


«Un’idiozia. Per la gente sono sempre protetto da qualcuno. Da chi sono protetto per fare il nuovo film di Woody Allen o la serie di Sky? Da chi sono protetto per aver fatto Olivetti, Io sono Mia, la fiction su Walter Chiari? Barbareschi è protetto da HaShem, da Dio. La maldicenza è il male peggiore. La politica è morta».


Come vede il cinema?


«Vogliamo parlare dei David di Donatello? Io mi vergogno: sono finti, fatti da una giuria finta. Ma è possibile non aver dato un David a me per Dolceroma o a Serena Rossi? In Italia non c’è un’attrice che recita, canta e balla come lei».


Sa che farà la madrina alla Mostra di Venezia?


«Non importa, non vale un tubo quella cosa lì. Premiate la bravura».


Ha fatto tanta televisione a Mediaset. Poi che è successo?


«Non mi hanno più chiamato, forse qualcuno mi odia. Lo chiedo a Piersilvio, che non ho più incontrato. Non ho agenti, se non fai parte di un clan è la fine. Non parliamo della Rai. Quando la Rai capirà che non può essere gestita dagli agenti sarà un’azienda. Il direttore di Ra 3 Franco Di Mare ha avuto coraggio, abbiamo lavorato tanto sul format del talk show».


Cosa serve alla Rai?


«Un amministratore delegato che ci dica la sua visione, uccidono la più grande fabbrica culturale. È un paese che piange i morti e fotte i vivi, non c’è un corridoio della Rai senza la faccia di Fabrizio Frizzi, vogliamo parlare di come lo hanno trattato da vivo? Battiato lo hanno preso in giro per i testi, ora è un genio. Da morto Totò diventa figo, perché hanno bisogno di diventare famosi loro. Sogno gli Uno contro tutti, quando Veltroni diceva “Non si può interrompere un’emozione”. Tutti facevano spot: emozioni commerciali? No, arte. Se sei di destra fai solo pubblicità».


Che insegna ai suoi figli?


«Imparo da loro. Puoi solo dare l’esempio, quando vedono la tua fatica. I soldi non sono il mio parametro. Se non sei solo il più ricco del cimitero».


Ha 64 anni, come invecchia?


«Da brontolone spiritoso, un po’ come la mia mamma. Mi ha lasciato da piccolo: una donna coltissima. Aveva letto quasi 25mila libri, ma non sapeva dire “ti voglio bene”».


Sua moglie Elena deve avvisarla se si rimbambisce.


«Avermi in casa non è facile, sono faticoso, commento tutto. Nella vita non c’è tempo. Amo un amico che mi ha detto: “Il 7 luglio ho un’ora, ti vedo volentieri”. Se vuoi essere studioso deve essere esigente».

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