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Lucarella: «La riforma Bonafede crea i presupposti per violare un obiettivo imposto dall’Europa»


Angelo Lucarella, avvocato pugliese di Martina Franca, esperto di contenzioso tributario e vice presidente della Commissione “Giustizia e Legislazione” del Mise, interviene rispetto alle ultime vicende relative a Palamara e sottolinea l’importanza di una riforma della giustizia, che sia diversa da quella immaginata dall’ex ministro Bonafede.


Il “Sistema” di Palamara e Sallusti continua a far discutere. Che idea si è fatto sui contenuti del libro?


«La questione è molto delicata e segna certamente un punto di non ritorno per il Paese. Se tutti non prendono atto che bisogna fare qualcosa di serio e di equilibrato, ci saranno conflitti e strascichi per lungo tempo».


Una certa parte della magistratura, quindi, come denunciato dagli autori dell’opera, rischia di bloccare il Paese…


«Questo lo ha già fatto. Palamara rappresenta ciò che lui stesso racconta. La stortura negativa non vuol dire che sia derivata per forza da illeciti. E’ chiaro che c’è un nuovo fronte su cui tutti dobbiamo porci una domanda, cioè la politica giudiziaria va studiata o criminalizzata?».


Quanto serve una riforma della giustizia? Condivide il lavoro della Cartabia o è in linea con quanto sostenuto dai 5 Stelle?


«Al 110 per cento, così come sono certamente per la linea Cartabia. Garantismo al massimo e ritengo che la ministra abbia già fatto tanto in pochissimo tempo. E’ chiaro, poi, come tutte le cose siano perfettibili. Bisogna, altresì, prendere atto che non è che si può avere la bacchetta magica e cambiare dall’oggi al domani».


In questi giorni, tante sono le divisioni all’interno della maggioranza di governo. Perché, a suo parere, non si trova l’unità?


«E’ un processo di riforma che annulla l’impostazione politica avuta nei primi due governi di questa legislatura. C’è poco da fare. Si tratta, però, di un processo di riforma che non solo è necessario perché lo chiede il Paese, ma per fronteggiare i dati crescenti di malagiustizia. E’ una questione, in un certo senso, quasi empirica. Non è che possiamo diventare tutti imputati a vita».


Tanti i politici, negli ultimi mesi, assolti dopo un lungo calvario giudiziario per accuse che poi si sono rivelate infondate…


«La risposta è nel preambolo della commissione Lattanzi che richiama una direttiva comunitaria del 2016, fondata sul principio di non regressione. Mi chiedo, infatti, come è stato possibile, che il governo italiano e il Parlamento abbiano fatto la riforma Bonafede, in controtendenza contro questa direttiva. La riforma o non vale niente oppure ha creato i presupposti per violare l’obiettivo che ha imposto la Comunità Europea. Quante sanzioni si dovranno pagare per una normativa scellerata sulla prescrizione? La riforma Bonafede va contro la ragionevole durata, ex. art 111 della Costituzione e contro il principio di tortura giudiziaria europeo. Tutti i cittadini italiani, in un certo senso, rischierebbero di essere coinvolti in processi a vita. Non voglio dire che siamo tutti delinquenti, ma a tutti può capitare, se non si cambiano le cose».


Cosa ne pensa dei referendum?


«Ritengo siano utili per spronare il legislatore a darsi da fare per la riforma. Dichiarando auspicabile quanto sta portando avanti Cartabia, è chiaro che il referendum sulla giustizia è necessario, anche se non essenziale al fine di sapere pure i cittadini cosa ne pensano».


La vicenda Palamara influirà sui referendum?


«Assolutamente si».


Agli autori del Sistema, intanto, l’avvocatura dello Stato chiede danni d’immagine…


«Sul dato numerico non conosco le carte, ma in generale ritengo che l’azione dell’avvocatura di Stato rispetto a un libro che racconta in termini quasi di intervista ciò che si è vissuto durante un’esperienza, non so quanto sia correlata a un bisogno vero di risarcimento. Se il dottore Palamara ha contribuito a creare quello che è successo o si è di fronte a un sistema criminale, che ritengo non lo sia, oppure fare un’azione di risarcimento quando i processi penali ancora non sono iniziati, la vedo correlabile solo da un certo punto di vista. Questa è l’idea che mi sono fatto rispetto a quanto trasmesso dai media, trattandosi di un libro-racconto. Una persona che raccoglie la sua esperienza quale danno può aver mai fatto? Dovremmo prendere, allora, tutti i libri che parlano di nefandezze contro lo Stato. Se comunque l’avvocatura dello Stato, lo fa nell’interesse di quest’ultimo ben venga».


Di Edoardo Sirignano

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