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Luigi Barone a 'Italia Oggi': Pnrr: indispensabili gli atenei.

Con una burocrazia alla tedesca il pil crescerebbe di 70 mld.




Luigi Barone ha scritto un libro contro la burocrazia e spiega in che modo vincere la sfida: In alcuni casi si registra al Sud una non utilizzazione dei fondi europei del 50%. È un pessimo dato che è diventato ormai una costante e che nessun governo riesce a correggere. Purtroppo la debolezza della politica abbinata all'arroganza della burocrazia hanno determinato nel Paese, e in particolar modo nel Mezzogiorno, un sistema deficitario nel rapporto con l'Europa. Molti esponenti politici lanciano proclami e rivendicano risorse dalle istituzioni europee quando invece le abbiamo e non siamo capaci di spenderle. Il sistema è in corto circuito e nessuno è stato capace finora di intervenire. La debolezza progettuale degli enti locali, determinata anche da una classe dirigente esigua e in molti casi con una preparazione non al passo dei tempi, le idee strategiche che scarseggiano rispetto alle indicazioni che arrivano dall'Europa abbinate talvolta alla resa del mondo imprenditoriale hanno determinato soprattutto per il Mezzogiorno un harakiri difficile da recuperare». Luigi Barone, 43 anni, studi di economia e marketing, ha appena pubblicato il libro Primo potere. La burocrazia che non molla. Di burocrazia se ne intende e racconta le sue esperienze di presidente (da tre anni) dell’Asi (Area di sviluppo industriale) di Benevento e membro del vertice della Ficei, la federazione degli enti di industrializzazione.


Il suo è un duro j’accuse contro le scartoffie:


«Sul mio tavolo ci sono delle pratiche. Per approvare un progetto esecutivo, se tutto va bene, occorre almeno un anno, che per un’impresa è un tempo biblico. Ma occorrono i pareri di Soprintendenza, Autorità di bacino, enti parco, e così via, tra loro scordinati e spesso bisogna ripartire da capo come nel Monopoli. Non oso pensare cosa significa tutto questo con i tempi del Pnrr. E poi diciamoci la verità, lo Stato stesso sa che la burocrazia è malata perché se in casi di opere necessarie vengono nominati i commissari, come il caso del ponte a Genova, vorrà dire che nella normalità sarebbe stato complicato realizzare le infrastrutture. Insomma, tutti lo sanno e nessuno interviene. Da un nostro calcolo col livello di burocrazia della Germania avremmo un Pil superiore di 70 miliardi di euro».


Si riuscirà a fare arrivare in porto il Pnrr?


Spero di sì ma temo di no. Sento troppo spesso enunciazione di principio senza la pragmaticità che ci vorrebbe in questi casi. Per esempio il governo assicura che al Sud arriveranno i tecnici necessari ad accelerare le progettazioni degli enti locali. Ma quanto tempo ci vuole per renderli pienamente operativi? Non bastano uno, dieci o cento assunti, per rendere utile al Mezzogiorno il Pnrr bisogna coinvolgere le migliori intelligenze del Sud. Sarebbe più opportuno coinvolgere le università per affiancare i Comuni. Servono tecnici preparati e con esperienza, mandare allo sbaraglio giovani professionisti non serve a nulla se non a disperdere risorse. I tempi del Pnrr non sono compatibili con la formazione del personale per cui è necessario utilizzare professionalità adeguate e aprirsi ad altri mondi che possano dare il proprio contributo affinché le risorse possano essere spese.


In che modo coinvolgere le università?


Per il Pnrr servono progetti di qualità. La maggior parte degli enti locali non hanno progettualità e i pochi progetti a disposizione sono vecchi e obsoleti, sicuramenti non strategici. Allora è necessario coinvolgere, ripeto, tutte le università del Meridione per un patto sui progetti, sulla strategicità degli stessi e sugli indirizzi per le scelte. Non è più il momento di agire per compartimenti stagni ma è necessaria una visione d’insieme che tenga conto di tanti fattori. È opportuno un lavoro comune tra enti locali, università, Asi e mondo dell’impresa per condividere un percorso che dia risposte concrete al territorio.


La politica viene spesso e giustamente criticata. Ma gli imprenditori non hanno niente da rimproverarsi?


Quando le cose non vanno la colpa non sta mai esclusivamente da una parte. La politica ha fatto e continua a fare i suoi errori ma anche gli imprenditori, ovviamente, hanno le loro colpe. Spesso non si dicono le verità, si omettono di dire alcune cose per paura di lesa maestà. Invece bisognerebbe sempre indicare ciò che è migliorabile perché dal confronto serio, vero, serrato e leale viene fuori il miglioramento. Se il Mezzogiorno ha le attuali difficoltà è anche colpa di una certa classe imprenditoriale troppo spesso rassegnata e avviluppata rispetto alla politica.


Perché il Sud fatica ad attrarre investimenti?


Senza un adeguato e integrato sistema infrastrutturale è complicato attrarre nuovi investitori. Abbiamo zone senza viabilità, senza rete ferroviaria, senza servizi primari, senza videosorveglianza oggi sempre più necessaria. Le speranze sono riposte nel Pnrr, che dovrebbe appunto servire a rendere il Sud competitivo, penso all’Alta velocità Napoli-Bari e Salerno-Reggio Calabria, al raddoppio Telesina (da Caianello a Benevento) e a tante altre opere che debbono passare alla fase realizzativa ed essere terminate in tempi ragionevoli. Vogliamo farla finalmente questa scommessa, Nord e Sud insieme? Senza lo sviluppo del Mezzogiorno la locomotiva Italia non potrà mai ripartire. Chi immagina che il Paese possa fare a meno del Sud è fuori strada, al contrario al Nord si dovrebbe tifare per una ripresa socio-economica del Meridione affinché l’intero sistema Italia possa riprendersi.


Lei conosce la burocrazia dal di dentro


Sì e mi arrabbio quando vedo che un provvedimento varato nel 2017 e ritenuto urgente come l’istituzione delle Zes (Zone economiche speciali) per il rilancio del Mezzogiorno sono ancora ferme al palo, la politica non capisce che è indispensabile un lavoro sinergico tra ministeri e Regioni per le aree industriali. Nessuno ad esempio si occupa dei capannoni dismessi. Nel Mezzogiorno ne abbiamo migliaia che potrebbero essere ricollocati sul mercato per nuovi investitori e rimossi dall'incuria e dall'abbandono ma anche in questo caso la burocrazia, spesso le procedure fallimentari, la fa da padrona con ulteriore danno, quello ambientale per il con sumo del suolo. Se nella mia Asi arriva un investitore che vuole aprire un'attività e mi chiede un capannone io debbo rispondere che non ne ho ma che posso assegnargli un lotto di terreno per realizzarne uno nuovo mentre nella realtà, ma non nella disponibilità dell'Asi, ce ne sono diversi abbandonati.


Che cosa comporterà la transizione green?


È una necessità ma anche un’opportunità. Però pure su questo fronte occorre rinnovare il patrimonio delle competenze per essere pronti ad intercettare il lavoro che arriverà dalla transizione. Per questo serve uno sforzo congiunto tra istituzioni, università e mondo dell’impresa. E torniamo al punto di partenza. Potremmo fare tanto soprattutto nelle strategie di sviluppo industriale e territoriale. Basti pensare che pur avendo nei nostri agglomerati oltre l'80% di suoli Zes fino a qualche mese fa eravamo esclusi dalla cabina di regia. Ci si dimentica che siamo enti pubblici che hanno nella propria mission quella dello sviluppo economico dei territori. Spesso siamo dimenticati quando invece abbiamo professionalità interne e capacità per dare un contributo importante anche nelle progettualità. È necessario far decollare, con il Pnrr, le Zes che rappresentano l'unica ancora di salvataggio per attrarre nuovi investitori nel Mezzogiorno. Finora, però, anche in questo caso si è perso tempo; non è possibile che una misura nata nel 2017 ancora non trovi piena attuazione».

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