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Luigi Manconi: “Salvini filo Putin? Culturalmente e politicamente subalterno all’imperialismo russo”

Intervista esclusiva di Antonello Sette (SprayNews) a Luigi Manconi, politico, sociologo, giornalista, scrittore, già senatore e accademico italiano, già senatore dei Verdi e del Pd

Manconi, la crisi fra la Russia e l’Ucraina rappresenta una minaccia per la pace e per l’incolumità di un popolo. Per il leader leghista Matteo Salvini la cosa più importante è mantenere ben saldi i legami con Putin. E’ solito ossequio a un potente della Terra che sovrasta le ragioni della pace e della solidarietà per il più debole?

Temo che ci sia qualcosa di più. Ricordo che qualche anno fa fu lo stesso Matteo Salvini a sostenere che, quando si trovava sulla Piazza Rossa di Mosca, avvertiva l’atmosfera di casa propria e si sentiva a proprio agio. Dietro questi orientamenti del leader leghista ci sono, quindi, molte componenti di natura culturale, ideologica e politica. Tutto questo impedisce, e mi sembra l’effetto più tragico, di vedere la realtà dello Stato russo, la natura del potere dominante in quel Paese, che è quella di un regime dispotico e, conseguentemente, di sottovalutare le enormi questioni, che riguardano la violazione dei diritti umani e la tendenza imperialista di quella potenza.


Papa Francesco ha più volte messo sotto il suo angolo di ingrandimento le angherie perpetrate contro i migranti. L’altra sera, a “Che tempo che fa”, davanti a quasi sette milioni di telespettatori, ha denunciato l’esistenza di lager in Libia. La clamorosa presa di posizione, in prima serata, del Papa quanto può aiutare le vostre battaglia sui diritti umani?

Comincio a risponderle con un rispettoso dissenso dal Pontefice. Sono totalmente contrario all’utilizzo di un linguaggio improprio. Non abbiamo nessun bisogno di definire lager quegli orribili campi di concentramento, quei terrificanti centri di detenzione che si trovano in Libia, che sono legali o più spesso illegali, ovvero ufficiali o più spesso non ufficiali e affidati alla gestione incondizionata di quella forma di criminalità organizzata, che si esprime attraverso le milizie. Io li chiamo in termini diversi. Io li chiamo campi di concentramento. Li chiamo campi disumani. Utilizzare il linguaggio della shoah mi sembra un’improprietà, che suscita confusione. Peraltro io non ho mai chiamato lager i centri di identificazione e di espulsione, oggi si chiamano CPR, che ci sono in Italia e in tutte le democrazie europee. Sono luoghi, dove vengono violati la dignità delle persone e i diritti umani, ma non c’è nessun motivo, anche in questo caso, di utilizzare il linguaggio che è proprio di quella immane tragedia, che è la shoah.


Tornado nello specifico alla mia domanda…

Tornado alla sua domanda, temo che, nonostante quella formidabile denuncia, prevalga quello che immediatamente dopo lo stesso Papa ha evidenziato, ovvero che a dominare soprattutto in Europa, ma non è diversa la situazione negli Stati Uniti, sia un clima di indifferenza. Sottolineo che la parola indifferenza è quella più frequentemente usata da Liliana Segre per definire quello che ritiene sia l’atteggiamento prevalente in Europa nei confronti di tutte le violazioni dei diritti umani.


Il Papa ha anche detto che lo sfruttamento di Madre Terra è corresponsabile dei cambiamenti climatici, della povertà e delle migrazioni disperate. Le parole del Papa, secondo lei, riceveranno una risposta e gli Stati di tutto il mondo di muoveranno all’unisono per rimarginare le ferite inferte a Madre Natura o continueranno con lo stucchevole bla bla, che fin qui li ha contraddistinti?

Penso che si debba mantenere un atteggiamento equilibrato. Le parole del Papa, interamente condivisibili, non cambieranno il mondo. Le parole del Papa, da me accolte e riconosciute per vere sin nelle virgole, purtroppo non saranno sufficienti a modificare la politica prevalente delle potenze occidentali e, tantomeno, delle potenze di altri Paesi. Tuttavia, guai a sottovalutarle. Innanzi tutto per una ragione strettamente politica. Quella di Papa Francesco è l’unica voce di un’autorità morale, che abbia un peso a livello tendenzialmente planetario. Tendenzialmente, perché sono tante le zone del mondo, dove le sue parole non sono ascoltate o vengono respinte. Resta il fatto che la sua è l’unica voce, e l’unica autorità, che abbia la forza di pronunciare parole e concetti che nessun altro leader politico è in grado di affermare.

Tuttavia, mentre ne apprezzo incondizionatamente non solo l’intenzione, ma anche i contenuti e, ripeto, le singole parole, devo successivamente riconoscere che la capacità di queste parole di modificare le politiche e gli orientamenti collettivi è purtroppo ridotta.


di Antonello Sette

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