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Madre infanticida condannata a quarant'anni di carcere in Dakota




Nel Sud Dakota, nella riserva indiana di Pine Ridge, nel 2016 un bambino di soli due anni venne ucciso dalla sua stessa madre per aver urinato sulle lenzuola del lettino. Martedì scorso il tribunale locale ha disposto per la donna trentenne di nome Katrina Shangreaux una pena detentiva di quarant’anni per omicidio colposo del piccolo Kylen.


La madre omicida ha raccontato di aver ucciso il figlio usando una cinghia con il quale lo avrebbe colpito molte volte con inaudita violenza, sino a quando non ha preso coscienza con orrore di ciò che aveva fatto. Un repentino ritorno alla realtà, angosciante anche per lei stessa, che comunque, ripresa la lucidità, ha ripulito la scena del crimine prima di chiamare i soccorsi dopo aver cercato di far passare l'omicidio per un incidente, raccontando ai paramedici che il bambino era soffocato a causa di un torso di mela. Tuttavia le prove dell'assassinio erano così evidenti da non poter reggere a lungo e così i medici dopo aver fatto di tutto per rianimare il piccolo, hanno compreso immediatamente cosa fosse accaduto: infatti il cadavere di Kylen presentava molti lividi e ustioni, anche sui genitali, provocate da sigarette, tutti segni indubitabili di violenze continue perpetrate su di lui, che erano di certo state protratte da tempo.


I paramedici perciò hanno subito richiesto l’intervento della polizia che ha arrestato immediatamente Katrina con le accuse di omicidio colposo e violenza su minore che, una volta portata in centrale, ha confessato il crimine raccontando di aver percosso il bimbo con una cinghia borchiata, ma senza aver l'intenzione di ucciderlo. Poi lo avrebbe anche preso a calci nel petto e all’addome e quindi, definitivamente in preda a un’ira disumana, la donna lo avrebbe persino morso ripetutamente.


Ma sembrerebbe che la pipì fatta a letto da Kylen non sia stata l'unica ragione dell’insano gesto, quanto piuttosto quello che la donna ha definito uno "sguardo di traverso", lanciatole con un'aria "di sfida" dal bambino che l'aveva inoltre chiamata con il nome di battesimo della zia proprio per farle dispetto. Così ha la madre ha dato ulteriore prova di anaffettività e di disumanità, essendo del tutto incapace di amare dolcemente il proprio figlio come farebbe ogni mamma. il giudice ha pertanto deciso di aumentare la condanna a quaranta anni di acrcere, dieci in più di quanto previsto per tali casi, così motivando la sentenza perquesta vicenda disgustosa, triste, raccapricciante e scandalosa: «Si tratta di un crimine orribile, depravato e umiliante».



DPF

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