Giuseppe Bascietto, giornalista più volte minacciato di morte da Cosa nostra, in un’intervista a Spraynews, sostiene come sia possibile che vi siano degli infiltrati all’interno delle nuove amministrazioni di Roma e Milano. Lo scrittore, pertanto, chiede di allontanare, sin da subito, individui su cui possono esserci dubbi. «Nel momento in cui si scoprono determinati collegamenti occorrerebbe isolare e buttare fuori le persone coinvolte. Non basta gridare attenti al lupo».
Essendo un esperto conoscitore della mafia, avendo scritto più libri sull’argomento e avendo ricevuto a causa delle sue denunce anche minacce. Quanto è forte oggi la criminalità in Sicilia e come è organizzata?
«La mafia rispetto agli anni 80 e 90 è molto più forte perché ha capito come investire il denaro, riciclarlo, aprire società ed entrare in settori vitali dell’economia nazionale con investimenti consistenti. Diciamo è in atto una vera e propria entrata a mani basse. Rispetto a un ventennio fa, quindi, è più radicata e capillare perché ha trovato professionisti, i cosiddetti colletti bianchi abilissimi a riciclare il denaro proveniente dal traffico della droga».
Queste figure sono presenti nelle sole amministrazioni siciliane?
«La mafia oggi non ha più bisogno di cercare il politico o il consigliere comunale su cui far defluire determinati voti. Nella maggior parte dei casi elegge uomini e donne nelle amministrazioni, che dopo aver studiato, essersi specializzati nei migliori atenei, passano inosservati, trattandosi quasi sempre di incensurati. E’ molto difficile trovarli. Il fenomeno, purtroppo, è in espansione».
I centri più importanti del Paese, come Roma e Milano, da poco sono stati chiamati alle urne. Buzzi ha parlato addirittura del rischio di una nuova Mafia Capitale nell’esecutivo guidato da Gualtieri. E’ possibile?
«La mafia non è più confinata in Sicilia. E’ globale. Pensare che ci siano professionisti mafiosi infiltrati nelle amministrazioni pubbliche di Roma e Milano, non mi sorprenderebbe affatto. Il caso di Mafia Capitale è emblematico per capire come alcune organizzazioni, che pur non essendo appartenenti a Cosa nostra, utilizzando metodi simili, si sono facilmente infiltrate nelle amministrazioni, che devono quindi attivarsi subito per trovare il modo per contrastare il fenomeno, a maggior ragione dopo una tornata elettorale come l’ultima».
Non la sorprende, quando Buzzi, dice che nella giunta Gualtieri ci sono dei legami con la malavita...
«Non mi sorprende affatto. Può accadere nella giunta Gualteri come sarebbe potuto succedere in un esecutivo guidato da Michetti o da altre formazioni politiche. Il problema, però, è che nel momento in cui si scoprono determinati collegamenti occorrerebbe isolare e buttare fuori le persone coinvolte. Non basta gridare attenti al lupo. Serve avere il coraggio di agire e allontanare sin da subito, senza se e senza ma, degli individui su cui esistono dubbi».
I politici sostengono che la criminalità che ha ucciso in Sicilia Falcone e Borsellino è stata sconfitta. E’ davvero così?
«Assolutamente no! La mafia non è stata sconfitta. Finita l’epoca di Riina e Provenzano, in Sicilia sono tornati quegli uomini fatti scappare dai precedenti boss, che rientrati dagli Stati Uniti dove risiedevano hanno preso il controllo del territorio e le assicuro sono molto più organizzati rispetto ai precedenti e forse anche più brutali».
Nel suo ultimo libro “Stidda” ha parlato addirittura di minorenni che alla tenera età vengono addestrati per uccidere. Come è oggi la vita dei bambini in una certa parte della Sicilia?
«Questi nuovi boss hanno trovato terreno fertile proprio nelle periferie e guarda caso tra i minorenni. L’arma che ha permesso il cambio al vertice della mafia sono stati proprio i bambini. Le cosche vicino a Riina e Provenzano, infatti, non si aspettavano un addestramento così rapido e capillare su tutto il territorio siciliano. Ecco perché occorre intervenire nelle aree dove c’è maggiore disagio per fare in modo che chi ha difficoltà non trovi rifugio o assistenza da chi nei fatti li immetterà su un cammino senza ritorno, facendo diventare allievi delle scuole medie e superiori degli esperti killer».
Per il suo lavoro ha ricevuto diverse minacce. Quale è stata la più brutta?
«Quando il mio nome era finito sul taccuino di un importante boss mafioso che da tempo voleva uccidermi e io non lo sapevo. L’ho scoperto solo dopo. E questa cosa non le nascondo mi ha fatto stare molto male. Non è stato facile trovare la forza per andare avanti nelle mie battaglie».
Quale messaggio, quindi, si sente di lanciare a chi ha scelto di stare dall’ “altra parte”?
«Di non mollare. Non è facile in contesti complicati come quello siciliano mantenere tale posizione e soprattutto dove la mafia è invisibile e può essere dietro l’ingegnere o il medico di fiducia. Bisogna, però, credere nello Stato, quello che è riuscito ad arrestare Riina e Provenzano, quello che ci fa sperare ancora in un’Italia dalla malavita».
A proposito di Stato, qualcuno continua a sostenere l’esistenza di una trattativa? E’ d’accordo?
«Non diciamo sciocchezze, i grandi boss sono riusciti a essere arrestati grazie a grandi uomini. Riina è stato trovare grazie a Ultimo, un vero e proprio eroe che ha avuto l’intelligenza di pensare a come scovarlo. Stesso discorso vale per Provenzano, trovato grazie al piano di un magistrato e di un poliziotto, che aiutati da una spiccata intelligenza, hanno trovato il modo per mettere fine a una delle pagine più brutte della storia del Paese».
Di Edoardo Sirignano
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