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«Mafioso» e altre offese a Salvini: Saviano indagato per diffamazione



Chi la dura la vince. Già, Roberto Saviano alla fine ci è riuscito. Iscritto per «atto dovuto», come precisa la Procura di Roma, nel registro degli indagati con l'accusa di diffamazione mossa dal ministro degli Interni Matteo Salvini. Lo scrittore col vizio dell'autocelebrazione, per qualcuno guru dell'antimafia, sotto scorta dall'uscita del suo best seller "Gomorra", a furia di insulti e offese via social si è preso una querela.


Promotore della guerra senza quartiere contro Salvini e tutto ciò che rappresenta, tra epiteti quali «ministro della malavita» e sbeffeggiamenti molto poco intellettuali, lo scrittore di fama internazionale si è fatto portavoce di un movimento della rete che contrasti le iniziative, soprattutto legate al tema degli sbarchi e dell'immigrazione, a firma del ministro leghista. Quella che Saviano definisce una battaglia di civiltà, per non cedere alla paura e alle minacce, sembra invece una farsa dai toni poco convincenti a cui aderiscono soltanto le cricche della sinistra delle porte aperte, quelle che dai panfili ormeggiati a Capalbio spingono per l'accoglienza purché a debita distanza dalle loro ville vacanziere.


La battaglia dei luoghi comuni, quella di chi dice di contrastare la paura dilagante e perpetuata dal demoniaco Salvini, ma che finisce invece per crearla per davvero, con toni allarmistici e sensazionalistici che poco hanno a che fare col merito delle questioni toccate, ma che mirano invece a creare un nemico, un target comune su cui riversare frustrazioni da scoppola elettorale. L'amico del Pd e più in generale di chiunque anteponga i buoni sentimenti da favola a lenzuola rimboccate alle reali esigenze del Paese, che si intersecano con quelle di un'Europa che deve rivedere se stessa e le proprie priorità, ha scritto una nuova pagina della storia delle ingerenze della supposta élite intellettuale nel lavoro di chi invece le mani se le sporca per davvero ed è in prima linea tutti i giorni, a dare voce e tutela a chi non può farsi sentire.


Interrogato dai giornalisti accorsi numerosi alla Camera, il vicepremier Salvini ha ribadito l'intenzione di portare avanti la denuncia contro Saviano, più per una questione di principio che di reale esigenza. «È indagato? Mi sembra il minimo. Io adoro la critica, ma un conto è la critica, un altro darmi del mafioso. Se qualcuno mi dà dell'assassino ne paga le conseguenze, quella non è critica politica, quello è insulto. Spero che ci sia un giudice che rapidamente riconosca che qualcuno ha sbagliato. Poi a me non interessano i soldi di Saviano, se me ne venisse in tasca una lira, la devolvo in beneficenza. Però è giusto che qualcuno si prenda le responsabilità di quello che dice». Più chiaro di così si muore. È infatti sulle responsabilità e sull'opportunità di certi interventi che Salvini pone l'attenzione. E lo si può ben capire, visto il lavoro immane che tra mille difficoltà sta portando avanti e che non può venire minato così sconsideratamente dalle opinioni, illustri o meno che siano, di personaggi che poco hanno a che vedere con la realtà politica dell'Italia. Alla Magistratura il delicato compito e l'occasione rinnovata di dimostrare la propria imparzialità e giudicare secondo il reale svolgimento dei fatti il personaggio Saviano, così per come si è posto. Vedremo se la fama e il candido manto di cui alcuni amano fregiarsi saranno ancora una volta scudo contro l'oggettiva e razionale prassi che scaturisce da una diffamazione quale è quella protratta da Saviano contro il ministro dell'Interno.

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