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Maratona oratoria per De Michelis alla Camera: ricordi dei compagni e mille battaglie dentro il Psi



«Gianni ha vissuto con umanità, umorismo, intelligenza. Quando ti metteva la mano sulla spalla faceva sentire il calore di quella mano, non il suo peso». Gianni De Michelis lo ricorda così, con parole toccanti che commuovono tutti, non un uomo politico, un socialista che con lui ha fatto mille battaglie, o un suo familiare, ma Luigi Esposito, portiere dell’hotel Plaza, dove De Michelis dormiva. Elegante e dritto come un fuso, è lui, Luigi, che commuove tutti mentre si svolge, alla sala della Regina della Camera dei Deputati, la ‘maratona oratoria’ indetta da una lunga serie di Fondazioni politiche e culturali (ReL, Riformismo e Libertà, di Fabrizio Cicchitto, “Amici di Marco Biagi” di Maurizio Sacconi, “Associazione Mediterranea” di Claudio Signorile, e molte altre ancora) per ricordare e onorare la memoria del politico, e dell’uomo, Gianni De Michelis.


Coordinano la giornata il giornalista Mattia Feltri, colonna de La Stampa, e Renato Brunetta che, prima ancora di essere uno dei punti di riferimento di Forza Italia, è stato – e rivendica orgogliosamente di essere – un ‘socialista’. E, all’ingresso della sala, vengono distribuiti garofani rossi. Del resto, anche oggi, molti politici non dimenticano e non si vergognano di dirsi e di essere stati dei veri ‘socialisti’: presenti, tra gli altri, Stefano Caldoro, Stefano Parisi, etc.


Un messaggio del ministro del Tesoro, Giovanni Tria, apre i lavori della giornata, parlano familiari, amici, compagni d’arme e d’avventura. E se è vero che De Michelis è già stato ricordato, in forma solenne, solo pochi giorni fa, al Senato della Repubblica, con tanto di interventi illustri (Giorgio Napolitano, Pierferdinando Casini, un messaggio del Capo dello Stato, Sergio Mattarella), oggi è il giorno del ricordo affettuoso che si mischia al ricordo storico-politico.


Stefania Craxi, per dire (poi parlerà anche Bobo Craxi), la prende sul lato umano (Gianni diceva sempre un proverbiale “Non hai capito un c….”) e ricorda le serate in discoteca, a Roma o a Rimini o a Venezia, che tanto hanno fatto scrivere giornalisti e giornali privi dello spessore – umano e politico – per capire il valore di De Michelis.


Fabrizio Cicchitto inquadra un’intera generazione di Psi: “Non sempre una generazione anagrafica diventa una generazione politica. Ciò è avvenuto negli anni ‘70 nel PSI con l’incontro, intorno alla segreteria di Bettino Craxi fra i giovani autonomisti nenniani e i giovani della sinistra lombardiana per riconquistare la piena autonomia socialista in una lotta su più fronti, rispetto al potere economico, al PCI (il frontismo), alla DC (la subalternità nei confronti dei ‘moro-dorotei’ durante gli anni Sessanta dei governi Moro-Nenni). Allora l’appellativo riformista era ancora un insulto, una parolaccia, poi tutti sono diventati riformisti. Gianni De Michelis fu una delle punte di diamante di questo tentativo riformista: professore di chimica a Venezia, impegnato nel confronto con la classe operaia di Marghera, poi in una pluralità di ruoli, prima uomo macchina nell’organizzazione del partito, quindi uomo di governo. Prima come ministro del Lavoro e protagonista del referendum sulla scala mobile, poi come ministro delle Partecipazioni Statali, quando diede il via alle privatizzazioni, infine come ministro degli Esteri impegnato nella costruzione dell’Europa unita in una dialettica serrata con la Thatcher”. Cicchitto si scaglia, giustamente, contro “i latrati degli sciacalli che ricordano, di Gianni, l’uomo dalla chioma fluente e delle discoteche, ma la maledizione del giustizialismo, che ha distrutto il Psi, ha colpito, dopo, i post-fascisti e i post-comunisti che, quel giorno, al Raphael, tirarono le monetine a Craxi, e oggi colpisce pure i giudici”.


“Contro quell’assalto al cielo del riformismo socialista – continua Cicchitto - nel biennio 1992-‘94 si scatenò un bombardamento giudiziario, mediatico e politico con una gestione unilaterale di Mani Pulite mentre Tangentopoli era un sistema che coinvolgeva tutti i grandi gruppi economici privati e pubblici e tutti i partiti e gruppi politici, compresi il PCI-PDS e la sinistra democristiana. Craxi e De Michelis furono demonizzati in molti modi. Alla sua morte dopo alcuni anni terribili sono state fatte molte riflessioni serie, ma si è sentito anche il latrato di uno sciacallo. Comunque ciò che è avvenuto in questi anni dimostra che c’è una sorta di maledizione di Tutankhamon, per cui chi di giustizialismo colpisce alla fine di giustizialismo perisce”. “Comunque – conclude Cicchitto - grazie all’opera di Gennaro Acquaviva e di Luigi Covatta (i quali hanno scritto una storia in 10 volumi del Psi negli anni di Craxi, ndr.) non è riuscita l’operazione secondo la quale la storia è fatta solo dai vincitori. I dieci volumi degli anni di Craxi sono una sorta di ‘antistoria d’Italia’ che rappresenta un’alternativa scientifica sul piano storiografico alla vulgata dei giustizialisti, degli imbroglioni e dei saltimbanchi”.


Maurizio Sacconi, ex socialista ed ex ministro del Lavoro nei governi Berlusconi, ha ricordato, di De Michelis, la “vorace attitudine alla lettura e al possesso dei libri”, la sua capacità di “immergersi nel popolo, tra la gente, gli operai, l’attitudine a cercare, capire e conoscere”, poi ha riflettuto su uno snodo centrale, quello del referendum sulla scala mobile che il Pci e la Cgil indissero, e persero, nel 1985, nel tentativo di abrogare il decreto legge del governo Craxi che tagliava alcuni punti di contingenza sui salari, il famoso “decreto di San Valentino”: “una decisione impopolare contro un referendum ‘popolare’ (il Pci faceva propaganda dicendo ‘volete 300 mila lire in più nelle buste paga?’) che però permise all’Italia di entrare nella piena modernità”.


Lo storico leader della Uilm, e poi dell’intera Uil, oltre che ultimo segretario del Psi, Giorgio Benvenuto, ha ricordato il De Michelis ragazzo che “dava i volantini a Porto Marghera e che lottò, insieme a noi, contro il terrorismo, l’uomo che trasformò l’Ilva di Bagnoli e l’Alfa Romeo di Arese, che ideò, con Craxi, la politica fiscale e la politica dei redditi, che condusse la battaglia per il decreto di San Valentino (contro cui la stessa Confindustria mostrava scetticismo).


Il leader della sinistra socialista, Claudio Signorile, con il piglio e la stoffa dell’oratore di altri, e migliori, tempi, ha preferito inquadrare De Michelis nella cornice storica di una “generazione collettiva che inizia nei collettivi dell’Ugi (gli universitari degli anni Sessanta), si fa le ossa nella Federazione giovanile del Psi e che, nel passaggio epocale – storico, politico ed economico – che fa dell’Italia una grande potenza economica e industriale, negli anni Ottanta, rappresenta un fenomeno di collegialità consapevole di un gruppo dirigente, quello socialista, che anche durante gli scontri più aspri, era una famiglia, una tribù, un mondo”. Il Psi, racconta Signorile, “ha salvato l’Italia dalla subalternità politica, culturale e strategica verso nemici interni (il Pci, con cui pure era alleato nelle giunte locali, e la Dc, con cui collaborava, invece, a livello nazionale). L’ambasciatore Vattani ha ricordato il ruolo cruciale del De Michelis ministro degli Esteri nella costruzione dell’unità europea e molti altri, da Carlo Scognamiglio a Corrado Clini, ne hanno tratteggiato molti altri aspetti e specificità personali mentre amiche storiche come Anna La Rosa e Pia Luisa Bianco ne hanno ricordato aspetti intimi e affettuosità.


Ma è stato il ricordo di un ‘amico/nemico’, l’ex ministro Paolo Cirino Pomicino, cui De Michelis fu testimone di nozze e che andava a trovarlo spesso, negli ultimi anni, a cena a casa sua, a lanciare un grido che suona attualissimo: “il filone socialista, come quello democristiano, dovrebbero ancora oggi poter dire la loro per difendere i principi della democrazia liberale, oggi sotto attacco da tutte le parti”. Un grido di dolore e di impegno che Gianni avrebbe fatto suo.


di Ettore Maria Colombo

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