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Mario Mauro (Popolari per l'Italia): opposizione inesistente, riscossa può arrivare solo dal centro


Mario Mauro

Alle polemiche, a tratti feroci, nella compagine di governo, agli stracci che volano sulla vicenda che vede coinvolto da una parte il sottosegretario della Lega, Armando Siri da una parte e, dall’altra, la sindaca di Roma, Virginia Raggi dall’altra, ai venti di crisi che soffiano sull’esecutivo e che secondo alcuni dopo le europee porteranno ad una crisi di governo, Mario Mauro, presidente dei Popolari per l’Italia - formazione politica che raccoglie Popolari e Democratici e Cristiani insieme in Europa e che presenterà proprie liste in tutte le 5 circoscrizioni - non ci crede più di tanto. Anzi, pensa che passata la boa del voto magicamente le polemiche si smorzeranno. «Siamo in presenza di una strategia che ha uno scopo probabilmente insospettabile, ma strategico, che è quello di mettere fuori gioco l’opposizione, nel senso che i nostri sistemi di comunicazione in questi giorni sono pieni di una polemica che dovrebbe essere quella classica tra maggioranza e opposizione e invece si risolve in una dialettica tutta all’interno della maggioranza che appunto non fa vedere l’opposizione».


Sta dicendo che l’opposizione è inesistente?

«Esattamente. È inesistente e irrilevante e perpetua così la forza del governo. Un governo che da un lato è incapace di aggredire la consistenza vera dei problemi, ma dall’altro è inattaccabile perché contiene tutto e il contrario di tutto al proprio interno. Il dibattito politico, insomma, esiste solo all’interno della maggioranza. E questo fa capire anche lo scenario della politica italiana, in cui quand’anche andasse in crisi il rapporto tra gli elettori e le forze di governo, nel senso che gli elettori potrebbero effettivamente rimanere delusi per la fatica che il governo fa ad affrontare i problemi, nello stesso tempo non saprebbero a chi rivolgersi. Chi insorge contro l’una o l’altra forza di governo finisce per fare il gioco, alternativamente di Lega o Cinque Stelle. Lei ha mai sentito in qualche circostanza le forze di centrodestra protestare contro il governo? No. Protestano contro i grillini; lasciano quindi la porta aperta a pensare che nel governo la parte di Salvini e della Lega stia facendo bene. Quindi, in buona sostanza, se la Lega fa bene ma il governo sbaglia vuol dire che almeno il 50 per cent o del governo funziona. E d’altra parte la sinistra protesta ogni giorno contro il ritorno del fascismo e perciò stesso scagiona la parte del Movimento Cinque stelle. Da questo punto di vista è assolutamente inutile, per chi non è convinto di quello che fa il governo, guardare verso il Partito Democratico piuttosto che alle forze di centrodestra, perché comunque è come se in parte fossero rappresentate nella dialettica di governo. Se le percentuali delle elezioni europee saranno quelle annunciate dai sondaggi, la attuale maggioranza sarà sopra il 50 per cento. Ed è proprio per questo che contrariamente a quello che dicono alcuni manifesti elettorali a svegliarsi più che i cittadini devono essere i partiti di opposizione».


Se, come dice lei, la sinistra è muta, se il centrodestra attacca il M5s ma fa l’occhiolino alla Lega allora gli unici oppositori sono, o meglio sarebbero, le forze moderate, il famoso centro che una volta, qualche decennio fa, informava di se la vita politica italiana. Solo che il centro nella cosiddetta seconda repubblica non è mai decollato davvero.

«Bisogna essere realisti. Queste forze, compresa quella che io ho promosso, oggi non sono determinanti nello scenario politico. Attenzione però, questo non vuol dire che sono inutili e che è inutile il voto a queste forze. Tutt’altro. Se guardiano bene a quel che è accaduto in Italia in questi ultimi anni vediamo che c’è una nuova sinistra che ha superato quella tradizionale, ed è il Movimento Cinque stelle: c’è una nuova destra che ha superato quella berlusconiana, ed è la Lega di Salvini. Quello che manca è un nuovo centro».


Come mai?

Perché il centro sembra affogato in un bicchier d’acqua, come se fosse stato travolto dalle mille alchimie della sopravvivenza, denotando una incapacità di progetto politico di lunga durata e di un orizzonte ideale. Ecco, noi vogliamo ricostruire questo, un centro che si metta in gioco per dei grandi ideali e sappia dare al Paese, come lo ha fatto per molti anni nel passato, la capacità di competere, di essere prospero e di garantire ai cittadini ricchezza e sicurezza».


Ma qual è l’ingrediente che potrebbe aiutare le forze di centro a fare massa critica?

«L’ingrediente fondamentale è il realismo. Le cose che dicono i partiti di maggioranza in questo momento sono fuori dalla realtà, comprese le previsioni economiche. Realismo vuol dire che il concetto di sovranità oggi si gioca sulla capacità di apertura, di interdipendenza con gli altri competitori globali. La sovranità vera oggi non è dire “faccio come mi pare”, ma vuol dire essere al centro di una serie di relazioni, con intelligenza, come dovrebbe fare per esempio nello scacchiere euro-mediterraneo e rispetto alla crisi libica. E per fare questo ci vuole un realismo che nella storia d’Italia degli ultimi settanta anni è stato il tratto distintivo di una classe dirigente, quella di matrice centrista, sia laica che cattolica».


Oggi l’Italia nel contesto europeo appare molto debole. I suoi interlocutori non sono più i grandi paesi continentali, la Francia, la Germania…

«Ha ragione, è così. Proprio per questo bisogna tentare di mettere in campo una generazione nuova che si assuma le proprie responsabilità e che sia capace di trattare alla pari con chi guida paesi come il nostro, non solo fondatori, ma decisivi nel concerto europeo. Per esempio io mi sarei aspettato dall’attuale governo che svolgesse un ruolo importante decisivo nel rapporto con il Regno Unito per aiutare il Regno Unito a venir fuori dalle contraddizioni determinate dalla Brexit. E invece l’Italia è rimasta sostanzialmente silente. E, ancora, siamo entrati in conflitto con il governo francese trascurando quanto invece sia rilevante e profondo il rapporto tra i nostri due popoli. Con i nostri cugini d’Oltralpe viviamo un rapporto pari a quello della favola della volpe e l’uva. Tutto questo denota una sorta di provincialismo della nostra classe dirigente. E invece l’Italia merita di essere protagonista in Europa, ma per fare questo non serve né alzare la voce, come ha fatto nel passato Renzi a corrente alternata, né essere supini. Essere protagonisti vuol dire trovarsi al centro di una rete di rapporti che entrano nel merito di ogni questione».


Lei è stato ministro della Difesa nel governo Letta. Come giudica lo scontro Viminale-Difesa di questi giorni sulla questione immigrazione, uno scontro al calor bianco che è stato seguito con profonda preoccupazione sul Colle del Quirinale?

«Ma le pare che un governo di una nazione come l’Italia debba esporsi al pubblico ludibrio nell’opinione pubblica internazionale? Non ci dovrebbe neanche essere la polemica tra il ministro degli Interni e il ministro della Difesa. Tutto dovrebbe essere gestito all’interno degli organismi deputati, come il Consiglio supremo di Difesa, presieduto dal presidente della Repubblica, non finire ad alimentare la polemica sui giornali. Esporre l’Italia ad un deficit di immagine perché c’è una classe politica che non sa chi fa cosa è una roba incredibile. Io non entro nel merito, non mi va di dire chi ha ragione. Hanno torto entrambi, perché nel momento in cui innescano quella polemica vuol dire che non hanno in mente le ragioni della patria, ma gli interessi spiccioli del proprio partito politico. Ed è una cosa inaccettabile».


In Forza Italia c’è un dibattito, più o meno sottotraccia, rispetto all’atteggiamento da tenere nei confronti della Lega. Che ne pensa?

«Non mi soffermo sulle vicende di quel partito Ricordo però che nel 2014 quando il governo Renzi porta al voto l’Italicum Forza Italia sostiene in parlamento un emendamento cosiddetto salva-Lega che abbassa il quorum dal 4 al 3 per cento per avere degli eletti. Cinque anni fa la Lega era data sotto la soglia del 4 per cento, oggi è intorno al 30 per cento. E’ una cosa che dovrebbe far riflettere e non solo Forza Italia ma complessivamente il centrodestra. Certo è che mettendosi sotto l’ombrello di Salvini e salendo sul carro del vincitore non si difendono gli ideali e i valori di una destra che si vuole liberale . D’altronde se c’è una nuova sinistra e una nuova destra vuol dire che quelle vecchie non hanno saputo rinnovarsi».


Che previsioni fa per dopo le elezioni europee?

«Faccio due previsioni. La prima riguarda lo scenario europeo all’interno del quale i popolari rimarranno comunque una forza di maggioranza relativa e verranno chiamati al compito di scegliere una alleanza che tenga in piedi l’Unione europea e magari, se possibile, la conduca su un percorso federale. Per quello riguarda l’Italia io credo che vedremo come d’incanto allentarsi le tensioni tra gialli e verdi e soprattutto i toni cautissimi delle opposizioni attuali che sono le ultime al mondo che vorrebbero andare ad elezioni anticipate. Tendenzialmente immagino che a meno di grandi sconvolgimenti legati all’incapacità di gestire le questioni economiche la legislatura proseguirà. Ovviamente si porrà un problema molto serio rispetto al quale, almeno dal mio punto di vista, diventerà necessario per una forza di centro che si vuole nuova cominciare a mettere in discussione questo stato di cose nella speranza di offrire agli italiani una alternativa vera, reale, concreta. E’ con questo spirito che ci presentiamo alle europee: con la speranza cioè di gettare un seme nella vita politica italiana. Ho trovato una riflessione molto bella di Aldo Moro che fa al caso nostro, dei Popolari per l’Italia. Per Moro quello che importa è ciò che nasce non ciò che muore. Ecco, quello che conta è ciò che nasce anche se oggi appare piccolo e incerto».


di Giampiero Cazzato

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