Massimiliano Buzzanca, 58 anni, figlio di Lando Buzzanca e Lucia Peralta, è attore di cinema, teatro e televisione. Oltre che conduttore.
Prima di iniziare a recitare ha fatto per 10 anni l’avvocato, lavorando con “l’avvocato del cinema” Gianni Massaro. Barbara Fabbroni ha intervistato Massimiliano Buzzanca per LaPresse.it
Figlio d’arte o arte nel figlio?
“Non so dove inizia l’uno e finisce l’altro, e viceversa. Mio padre ha sempre avuto un carattere forte. Ho iniziato a recitare una parte per evitare i guai, poi pian piano ho sempre cercato di
capire chi fossi. Sia in famiglia sia nella vita sociale”.
E cosa ha scoperto?
“Mi sono sempre trovato bene nell’arte del fingere, forse per la voglia di emulare papà. C’è anche un’altra cosa. Verso i 7 anni leggevo ‘Topolino‘, ma anche i copioni che davano a papà. Così è stato per molto tempo. Quei copioni erano libri di testo, romanzi. Mi immaginavo il personaggio della sceneggiatura invece che Diabolik o un altro eroe, come
fanno bambini e ragazzi”.
Cosa le piaceva di più?
“Volevo piacere alle persone che conoscevo. Desideravo tantissimo fare l’attore”.
Piacere o essere riconosciuto?
“Piacere. Sono più soddisfatto quando alle persone piaccio per le mie caratteristiche, le mie qualità. Quando faccio un personaggio e sono amato dal pubblico. La stessa cosa mi è successa quando Michel Emi Maritato mi ha chiamato per comunicarmi del ‘Premio Eccellenze 2021’. Essere in una lista di ‘Eccellenze italiane’ così importanti mi ha profondamente riempito di gioia”.
Massimiliano Buzzanca in che cosa assomiglia a Lando Buzzanca?
“Nella caparbietà. Nel senso di giustizia che mi hanno sempre insegnato i miei genitori. Non tollero i soprusi, sia subìti sia visti. Soprattutto se vedo sopraffare le persone più deboli divento una bestia. Da papà ho preso il rispetto e l’amore per questo mestiere. Io e papà caratterialmente non abbiamo molto in comune. Assomiglio di più a mamma. Sono più gentile e meno rude di papà. Lando non è avvezzo a dirti ‘Ti voglio bene’, ad abbracciarti. Anche se poi quando eravamo piccoli pretendeva che quando rientravamo in casa o andavamo a letto salutassimo con un bacio”.
È una contraddizione?
“Si! Lui che non ci ha mai dato un bacio, non ci ha mai abbracciato. Ma voleva che ogni volta che tornavamo a casa si salutasse con un bacio o un abbraccio. Credo si vergognasse di dimostrare l’affettività. Insomma lui riteneva che un figlio si dovesse accarezzare quando dormiva”.
Oggi è cambiato molto il rapporto con i genitori e non solo?
“Oggi forse si danno troppe carezze ai figli e meno scappellotti. Io ne ho presi fin troppi. Diciamo che ci vorrebbe una sorta di equilibrio. Oggi i giovani sono poco rispettosi nei confronti degli altri. Sono molto centrati su se stessi, poco attenti a tutto. Non considerano che la nostra libertà finisce dove inizia quella dell’altro. Spesso travalicano senza accorgersi che c’è anche l’altro”.
Secondo lei perché?
“Ai giovani manca l’educazione civica. Una volta a scuola era una materia importante, da anni non la studiano più. Quella è la base del vivere civile, del rispetto dell’altro. Ora non dico che bisogna fare come nell’antica Grecia, dove se arrivava un anziano tutti dovevano alzarsi in piedi. Però il rispetto per gli altri è fondamentale. Noi siamo frutto del cattolicesimo, che insegna il rispetto del prossimo. Cosa che ci siamo dimenticati”.
Perché fare l’attore? Lei è laureato in Giurisprudenza… “Ho fatto per 10 anni anche l’avvocato! Sono stato iscritto all’Albo e ho lavorato per i 3 studi romani più importanti. Tra cui quello di Gianni Massaro. Poi a un certo punto ho scelto. Se sei innamorato della tua amante e vivi con tua moglie a un certo punto scegli di stare con l’amante. Anche se a tua moglie vuoi bene. Per me l’amante è sempre stata il teatro”.
Perché allora fare prima l’avvocato?
“Avevo un debito di riconoscenza nei confronti dei miei genitori. Mi hanno sempre voluto laureato, avvocato. Volevano per me quel tipo di vita. Allora ho detto: Bene vi dimostro chi sono, vi regalo 10 anni della mia vita. Una grossa parte della mia giovinezza. Per un attore sono anni importantissimi. Li ho sacrificati per loro dimostrandogli che potevo fare l’avvocato. Non sono il classico figlio di papà che se non hai lui dietro non combini nulla. Dopo 10 anni hanno visto che ero capace. Nonostante lo abbia fatto benissimo, l’avvocato non è il mio lavoro. Massaro seppe che lasciavo la toga per andare a fare l’attore. E non condivise la decisione: ‘Con la preparazione che hai sei pazzo a lasciare tutto’ mi disse”.
Cosa non le piace del mestiere d’avvocato?
“È un lavoro dove tutti litigano. Litighi con tutti: la controparte, i giudici, il tuo assistito. Insomma, una lotta continua. Ci sono spesso giudici che ne sanno meno di te. Così devi fare il possibile per difendere il tuo assistito. Ne nasce una lotta intensa. Se devo faticare per una cosa che non mi fa impazzire scelgo un altro mestiere che invece amo tantissimo”.
E poi? “Ho scoperto una cosa che a me faceva impazzire: non è sempre vero che la giustizia è uguale per tutti!”.
Cosa significa?
“Se hai più soldi della controparte, la causa la puoi mandare avanti per anni finché l’altro non ha più una lira. E per forza di cose deve mollare la causa. Allora vinci non perché è giusto, ma perché hai i soldi. Questa è una cosa che mi dà fastidio. Sono cresciuto grazie a mio padre con un’etica e una morale forte. Lui viene dalla terra, ma ha sani e forti principi. È un uomo che crede nella meritocrazia”.
La pandemia le ha portato ‘Un posto al sole’…
“Nella sfortuna di questo momento c’è stata un’apertura importante, un lavoro entusiasmante. Sarò sempre grato a Upas. Spero che il pubblico apprezzi il personaggio. Ho iniziano a luglio 2020 e poi ho firmato un contratto di un anno”.
Interpreta il professor Igor Volpicelli. Cosa ci racconta di lui?
“È un personaggio serio, ma al tempo stesso divertente, simpatico. Un uomo burbero che pretende il meglio dai propri studenti. Li prepara alla vita. Per lui lo studio è importante. Non vuole avere persone che prendano sottogamba il lavoro di medico. Esige molto da se stesso e dagli altri”.
Che cosa rappresenta per lei questo personaggio?
“Un omaggio ai nuovi eroi della pandemia: medici, dottori, infermieri. Sono dei soldati che stanno in prima linea. Spero di aver dato al personaggio uno spessore, una dignità. Quella che si meritano tutti coloro che in questo periodo hanno combattuto. Con forza e determinazione”.
Sul suo profilo Facebook c’è scritto “Nato ieri… vissuto fino ad oggi… morto domani… ma non proprio domani… meglio dopodomani…”. Che significa?
“Sono i miei non senso. Mi piace scrivere giochi di parole. Per esempio: Non posso dirti troppo di me sennò poi ti devo uccidere. Mi diverto e comunico cose che mi fanno ridere, senza senso”.
Cosa farà da grande Massimiliano Buzzanca?
“Probabilmente sarò sdentato e continuerò a recitare scordandomi le battute e dicendo: Ma io che sto a fa’ qua. Ma soprattutto: voi chi siete?!”.
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