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Massimo Ferrero, Intervista a 'Il Tempo': E periodo di fave non di cinema

L'imprenditore ha 12 sale a Roma Lo sfogo di Ferrero «Ci prendono in giro Io non riapro i cinema» «Hanno voluto dare un contentino, non è un progetto fattibile» «Non riapro, questa è solo una presa in giro».




Riaprono i cinema ma i proprietari delle sale le riapriranno con il coprifuoco in vigore? Noi de «Il Tempo» su questo, ma non solo, abbiamo intervistato l'imprenditore Massimo Ferrero, proprietario di diverse sale cinematografiche a Roma.


Ferrero riaprirà le sue sale cinema?

«No».


Perché no?

«Per prima cosa non le riapro perché non ci sono i film. Quello che ha vinto l'Oscar l'altra notte fra poco sarà su una piattaforma che guardi da casa e così anche per chi ha vinto il David. Aprire una sala cinematografica non è come montare in bicicletta: ci vogliono almeno 20 giorni, da parte dei distributori, per organizzare nuove uscite e piazzamenti. Riaprire un cinema con le normative ed i protocolli anti-Covid che giustamente sono in atto, comporta un sacco di lavori e, quindi, di spese. Senza dimenticare che il cinema lavorava da sempre a ottobre, novembre, dicembre, a gennaio ed a febbraio. Già in passato si è provocato lanciando novità durante la cosiddetta bella stagione, ma non ha funzionato. Quindi, se io dovessi riaprire, dovrei fare dei lavori, pagare mentre la stagione vera è praticamente terminata»


Non ci sarebbe business?

«Sinceramente io non lo vedo. Mi sembra che chi ha deciso questa cosa abbia voluto dare un contentino, un messaggio e non un progetto realmente applicabile, che coinvolga tutto il mondo del cinema, dalla produzione, alla distribuzione, alla riapertura delle sale. Un progetto così non salvaguardia i lavoratori del settore».


Lei quante sale ha su Roma?

«Dodici». Chieda una cosa a questo Governo Draghi ed al Ministro della Cultura Franceschini? «Cominciano da un presupposto: io faccio questo mestiere per passione, perché sono cresciuto dentro il mondo del cinema, mi ha sempre affascinato, mi ha dato tanto e qualcosa al cinema credo di averlo dato anch'io. In questi anni, anche prima della pandemia, non si faceva certo per business. Calcoliamo che in tempi normali, non sospetti, io comunque chiudevo in perdita. Su un biglietto a 8 euro, 4 se li prende il distributore ed io con il resto devo pagarci stipendi, luce, gas, pulizie e quant'altro. Comunque, in qualche modo, si rimediava: con i bar, con le iniziative, con i grandi numeri quando escono film popolari, che tutti vogliono vedere. Negli ultimi, per esempio, mi vengono in mente i successi di Checco Zalone».


Quindi? Come lavorate?

«Lavori perché riempi le sale con lo spettacolo delle 20.30 che finisce alle 22.30 circa e poi, nel fine settimana, con l'ultima proiezione che termina poco dopo mezzanotte e va bene per chi, prima, cena a casa o va a cena fuori. Pere), se il coprifuoco scatta alle 22 non puoi neppure contare sullo spettacolo delle 20.30, Inoltre ti devi prenotare, devi contare la gente che entra in sala perché è disponibile solo la metà della capienza, gli spettatori devono mantenere sempre - giustamente - la mascherina. Insomma, non so neppure se viene voglia alla gente di andare al cinema: tutti abbiamo voglia di vivere un'estate all’aperto, non al chiuso. Anche perché, ripeto, manca l'elemento fondamentale: i film per il grande pubblico. Il ministro Franceschini già in passato fece una proposta, che per noi economicamente non sembrava potesse portare grandi successi, ma era un segno per riportare le persone al cinema: ridurre il prezzo dei biglietti. Questa era già un'idea, fai più biglietti, costa meno, ma fai anche più spettatori. Se apro una sala e la riempio, che so 1600 posti, comunque guadagno visto che la proiezione comunque sarebbe dovuta partire. Quella mi sembrava una proposta intelligente. È partita dal basso, sosteneva anche le produzioni, l'arte di fare cultura col cinema».


Quindi lei Ferrero cosa proporrebbe?

«In questa situazione credo che l'unica soluzione reale sia il pagamento della cassa interazione e dei contributi di sostegno per chi fa cultura: cinema, teatro, musica».


Voi non avete ricevuto nulla sino ad ora?

«Poco in proporzione a quanto è stato perso da tutto il mondo dell'intrattenimento. Mancano i ristori da gennaio ad aprile. Siamo fermi a dicembre e, per organizzare al meglio anche il rischio perdite, c'è bisogno di un'assegnazione precisa, com'è successo in passato. Siamo fiduciosi che ciò avvenga in tempi brevi».


Lei quanti dipendenti ha?

«A Roma circa 130/140. Preferisco andare avanti a pagare e nel contempo a perdere, ma essere preso in giro no, abbiamo già visto la disastrosa falsa partenza del giugno scorso, quando non uscì un film importante sino ad agosto. E poi, se vuole un titolo per l'intervista, glielo regalo».


Vada.

«A maggio, a Roma, si vanno a mangiare le fave, non si va al cinema».


Prego? Me lo può ripetere?

«A Roma, a maggio, si vanno a mangiare nei prati verdi il pecorino e le fave».


E pure la vignarola?

«Bravo. Non ci si va al cinema a maggio. Il cinema è luogo d'amore, ma non è estivo. È un luogo dove vedi un film e t'immedesimi quanto fuori freddo, piove, fa buio presto. La traduzione del cinema è autunnale-invernale, infatti tutti i ragazzi della mia età si ricordano ancora quando, il giorno dopo Natale, i genitori raccoglievano pochi quattrini e ti portavano al cinema: mica a giugno o luglio!».


In Italia con il Recovery Fund ed i soldi dell'Europa servirebbe secondo lei reinvestire in un modello produttivo di cinema, come era Cinecittà nel secolo scorso? Potrebbe essere un'idea per far riparti[1]re l'industria cinematografica, oltre alla diffusione delle sale?

«Appunto. Sono due cose che vanno attaccate. Insieme. Tu mi fai aprire a maggio e me lo dici una settimana prima, ma io dentro le sale che ci devo mettere? Ci devo mettere un film. Se non ci sono i film cosa ci metto?».


E Cinecittà come luogo produttivo?

«Io sono cresciuto che a Cinecittà facevamo più di 600 film all'anno. Nel 1976, io facevo il segretario di produzione, facevamo dai 600 agli 800 film all'anno. In Italia andavi a Cinecittà e c'era la fila lunga di fund. Noi stiamo distruggendo l'industria dell'intrattenimento. Non è possibile che dall'America vengano in Italia quando alle 22 dobbiamo chiudere un po' come i ristoratori, con le chiusure alle 22: ma che ci prendono per i fondelli? Io all'interno dei cinema non posso aprire il bar, che è l'incasso che bilancia, mentre quelli fuori dalla sala possono fare asporto: una commedia degli equivoci. Queste cose - capisco ci siano una prudenza ed un protocollo - ma non ci prendessero in giro. Basta. Soldi non ne danno. Ai ristoranti si mangia fund, magari tutti attaccati perché uno che ha pochi tavoli al vicoletto, che fa? Io all'alba dei miei 70 anni sono basito dalla genialità di questi signori. Sono dei geni»


Un appello al premier Draghi, prima di chiudere questa intervista?

«Il cinema va incentivato globalmente. Sento tutte queste cazzate, tax credit ed il resto, ma così facciamo come fanno in Usa con i produttori americani, non fateci pagare l'Iva».


E a Draghi cosa dice?

«Faccio un appello a Mario Draghi: il cinema è cultura e lo sport è il sale della vita, ci dia una occhiata per favore».

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