Il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, che annuncia “Le opposizioni stanno per recarsi al Colle per chiedere al Capo dello Stato di non firmare la manovra” con una fuga in avanti subito smentita dagli altri gruppi di opposizione ma che indica la gravità dello scontro in atto. Il Pd che smentisce di averci solo pensato, a una tale mossa, ma che fa sapere che il ricorso contro il governo Conte – che, disattendendo l’esame in commissione Bilancio del Senato, avrebbe ‘violato’ le prerogative del Parlamento, sempre in merito alla legge di Bilancio – è bello che pronto e sta per essere spedito all’indirizzo della Consulta, massimo organo costituzionale su cui il Colle stesso vigila. I vescovi, ma anche Confindustria, ma anche i sindacati, che guardano a Mattarella come ultima speme in grado di frenare le ‘follie’ giuslavoristiche (il reddito di cittadinanza) e ordinamentali (la tassazione doppia al volontariato) di una manovra economica che, partita per ‘abolire la povertà’, sembra finire nel solito bagno di ‘lacrime e sangue’. Insomma, “San Sergio, pensaci tu” è il coro di Natale. La voce si alza da più parti – politiche, confindustriali, sociali, persino da Oltretevere – e chiede al Capo dello Stato di operare un miracolo fuori tempo massimo, cioè a giorno del Natale già passato: tramutare un ‘rospo’ di manovra (quella che è approdata, finalmente, nell’aula della Camera per la sua terza lettura) in una ‘Principessa’, e cioè in una Legge di Stabilità che vada bene non solo all’Europa, ma anche agli interessi costituiti del Paese, a partire dalle parti sociali.
Ovviamente, Mattarella – i cui indici di gradimenti restano, in Italia, altissimi, seguito a debita distanza dal premier e dai due vicepremier – non può fare miracoli neppure volendo. La Costituzione, di cui il Capo dello Stato è un ligio e rispettoso interprete, oltre che un fedele e convinto esecutore, glielo impedisce. “Quando il Parlamento parla, il Colle tace” recita un vecchio adagio assai in uso, storicamente, tra i quirinalisti e da generazioni. Insomma, Mattarella si esprimerà ‘solo’ a manovra votata, quindi potrebbe parlarne nel discorso di Capodanno, magari disapprovando – a voce – il metodo seguito nel confronto tra governo e Parlamento, ma non certo prima di quella data e cioè del 31 dicembre, verso le 21 di sera, mentre gli italiani stanno per mettersi a tavola per il consueto Cenone. In ogni caso, Mattarella apporrà la sua firma in calce, non appena la Legge di Stabilità sarà varata in via definitiva. Il guaio è che, a volte, proprio i quirinalisti amano ‘tirare la giachetta’ il Colle più alto senza preoccuparsi delle possibili conseguenze. Lo ha fatto, per dire, La Stampa, ieri pur se attraverso la penna di un giornalista di vaglia come Ugo Magri: ha adombrato la possibilità che il Colle possa portare il Paese all’esercizio provvisorio dei conti pubblici rifiutandosi di firmare la manovra economica proprio per permettere al Parlamento, in questo caso alla Camera, dove la manovra è in corso di esame per la sua terza e definitiva lettura, un lavoro più approfondito per tempi e modalità, oltre che più rispettoso del rapporto governo-Parlamento. Dal Quirinale, dato che l’articolo aveva forma dubitativa e che già una volta, durante l’ultima visita all’Estero del Capo dello Stato, il cronista della Stampa era stato smentito e sempre sullo stesso tema (la possibile mancata firma in calce alla manovra economica con tanto di messaggio motivato alle Camere e via libera all’esercizio provvisorio), hanno lasciato correre, ma il tema non si pone proprio.
Mattarella è ben consapevole che l’articolo cardine della Costituzione che regola la materia, l’art. 81 (pareggio di bilancio, previsto in Costituzione a partire dal 2012), è stato rispettato – proprio come il Colle voleva – dal governo, anche grazie alla faticosa mediazione operata da Conte (e caldamente suggerita proprio da Mattarella) con la commissione Ue e sa altrettanto bene che anche l’articolo 42 che tutela il risparmio - tema che Mattarella ha più volte richiamato nei suoi interventi, ergendosi a difesa e argine dei risparmi degli italiani intaccati dalle turbolenze dei mercati e dalla corsa dello spread – non è stato più violato. Insomma, il ‘cuore’ della manovra va bene (o, meglio, è rientrato bene, rispetto alla prima ‘bellicosa’ – verso la Ue e verso gli italiani - versione sciorinata dal governo Conte) e il successo della ‘manovra sulla manovra’ è anche il suo. Ergo, anche le presunte e possibili violazioni dell’art. 72 (regole e iter del processo legislativo) sono materia che può legittimamente, finire davanti a un reclamo alla Consulta, come è intenzionato a fare il gruppo del Pd, ma non a lui. Mattarella ha fatto di tutto, usando la sua moral suasion e anche molto altro, per far ‘cambiare’ la manovra al governo e non ha alcuna intenzione di non firmarla per gettare il Paese nelle fauci di un disastroso esercizio provvisorio, un baratro da cui l’Italia, se vi cadesse, potrebbe non rialzarsi. In merito a quello che pensa delle prerogative parlamentari, invece, il Capo dello Stato parlerà, appunto, a Capodanno.
di Ettore Maria Colombo
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