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Mattarella ha ben riposto la sua fiducia in Conte nella trattativa con la Ue



Il capo dello Stato ha riposto, e non da oggi, una grande fiducia nel premier del governo gialloverde, Giuseppe Conte e la conclusione della trattativa tra l’Italia e la Ue, finita ‘bene’, almeno agli occhi di Mattarella, ha rafforzato nell’inquilino del Colle tale fiducia. In realtà, Mattarella aveva deciso di agire, nei mesi passati, con la sua ‘solita’ arma, quella della moral suasion sui ministri ritenuti ‘vicini’ e detti, appunto, ‘collisti’ (il ministro all’Economia, Giovanni Tria, il ministro degli Esteri, Moavero Milanesi, e paradossalmente, negli ultimi tempi, anche il ministro agli Affari europei, Paolo Savona, che pure il Colle non volle, durante la crisi di governo, promuovere a capo del Mef), ma poi, nelle ultime settimane, ha capito che doveva puntare tutte le sue fiches proprio su Conte se voleva che, come è accaduto, la durissima trattativa sulla manovra economica, che ha portato il rapporto deficit/Pil dal 2,4% al 2,04%, arrivasse ‘a dama’.


E, appunto, così è stato, anche se non è stato indifferente – per quanto per nulla o poco registrato sui media – la ‘triangolazione’ che il Colle ha messo in campo da un lato con il vertice della Bce (dove, ancora per qualche mese, siede ‘l’italiano’ Mario Draghi) e con quello di BankItalia, dove siede Ignazio Visco, entrambi sensibili e attenti alle richieste del Quirinale. Insomma, ‘tutto è bene quel che finisce bene’ recita il vecchio adagio delle vecchie favole. Ma, sul Colle, si potranno davvero dormire sonni tranquilli e incamminarsi verso la scrittura di un discorso, quello tradizionale di Capodanno, in cui servirà ‘solo’ ricordare agli italiani sia i vincoli europei che i diritti (e i doveri) della Costituzione?

Non è detto. La manovra economica, infatti, è ancora in corso di approvazione al Senato e non arriverà alla Camera, per il voto finale, che tra il 27 e il 30 di dicembre. E, cioè, a un fiato dal rischio (angosciante) di vedere il Paese finire sotto la mannaia dell’esercizio provvisorio, ove la legge di Stabilità non venisse approvata entro il 31 dicembre 2019.


Un rischio estremo che, però, non dovrebbe concretizzarsi. Mattarella, in ogni caso, nel discorso più ‘politico’ che tiene – tradizionalmente – ogni anno, quello dell’altro ieri alle Alte cariche dello Stato, ha messo doverosi puntini sulle ‘i’: va «Evitato il rischio di un cortocircuito tra l'urgenza di fornire risposte veloci, sollecitate dall’emotività, e la necessità di tempi più lunghi necessari alla definizione di soluzioni, efficaci, durature e sostenibili». E così, se la ‘soddisfazione’ dell’inquilino del Colle per lo scampato pericolo di una procedura d'infrazione che riteneva impensabile c’è tutta, il Colle ha già fissato alcuni paletti. Primo fra tutti, l’adesione piena all’Unione europea: l’Italia, scandisce il presidente della Repubblica dal salone dei corazzieri, gremito di politici e alti funzionari dello Stato, rimane «saldamente europeista» e come «Paese fondatore deve svolgere al suo interno un ruolo da protagonista».

Perché l’Europa, e lo sanno bene le nuove generazioni nate con l’Erasmus, “non può essere vista come un vincolo”. Al contrario, essa deve essere ed è un “moltiplicatore nella nostra influenza internazionale e della nostra capacità di espansione economica e commerciale”. Il secondo paletto è dedicato proprio alla politica: ognuno rispetti i propri ruoli, è la sintesi. Le cariche istituzionali “possono adempiere al proprio mandato secondo quel che richiede la Costituzione a chi svolge pubbliche funzioni, accompagnando l’adempimento dei propri compiti con il rispetto dei limiti del potere che la nostra Carta indica a chi è chiamato a esercitarlo”. Evidente la preoccupazione del capo dello Stato che intravede rischi di sconfinamenti, reputandoli pericolosi, e che fa capire che vigilerà sul rispetto delle regole. Ed ecco un ulteriore richiamo che sembra proprio collegarsi all’attualità, cioè a una legge di Bilancio che di fatto non ha avuto la possibilità di essere valutata ed emendata dalle Camere a pochi giorni dalle feste natalizie. «Al Parlamento, espressione e interprete della sovranità popolare, è affidato il ruolo centrale nella democrazia disegnata dalla Costituzione. Ruolo che – ricorda il Capo dello Stato nell’attenzione generale dei presenti - contrassegna ogni democrazia parlamentare e che va rispettato e preservato per non alterare l’essenza di ciò che la nostra Carta definisce e prescrive».


Mai scordarsi, è il messaggio indirizzato a questa nuova classe dirigente, che l'Italia è e rimane una repubblica parlamentare. Il Quirinale, come è noto, prende nota di tutti gli umori del Paese e la temperatura che sta salendo in espressioni ed atteggiamenti violenti non piace al presidente che invita la politica, non solo a non promuovere eccessi, ma a contrastarli. «L'animo, lo spirito che gli italiani hanno sempre nutrito e tradotto non è quello dell’ostilità, del pregiudizio, dell’intolleranza. Purtroppo - sottolinea Mattarella - dobbiamo registrarne diversi episodi. Sulla strada di questi sentimenti negativi si andrebbe, inevitabilmente, verso una contrapposizione crescente tra gruppi, territori, soggetti. Ricercare coesione nel tessuto sociale costituisce una necessità, oltre che un dovere, per le istituzioni» chiude il suo discorso Mattarella. Ad ascoltarlo, però, il capo della Lega, e vicepremier, Matteo Salvini, non c’è, ha preferito dedicarsi “ai figli”. Eppure proprio a lui, come a Di Maio, quelle parole sono rivolte. Perché se è vero che il Colle ha “piena fiducia” nell’azione di Conte e di molti dei suoi ministri, ne nutre sempre di meno nei confronti dei due vicepremier del governo gialloverde e nelle forze politiche che essi guidano. Si vedrà e si capirà solo nel 2019, quando la ‘tenuta’ del governo verrà messa a rischio sia da fattori endogeni (il continuo ‘tirare la fune’ tra Lega e M5S sui provvedimenti) che da fattori esogeni (le elezioni europee), se tale (scarsa) fiducia deluderà definitivamente o meno il Quirinale.


di Ettore Maria Colombo

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