Gli hanno disegnato un muro di Berlino posticcio, eppure le macerie che rischiano di seppellirlo sono vere. Non sembri paradossale ma Silvio Berlusconi potrebbe essere l’ultima “vittima” italiana di Yalta, di quel mondo diviso in blocchi contrapposti che è ormai un ricordo della storia ma che nel Belpaese continua ad alimentarsi in un gioco di specchi in cui le ombre continuano a duellare. L’ultimo treno di questa storia il Cavaliere lo aveva preso nel 1994 e bisogna dire che allora ci aveva azzeccato. «L’Italia è il paese che amo» e tutto quello che ne era seguito hanno offerto agli italiani di centrodestra - orfani della Dc e del Psi, laici, atlantisti, una An post fascista che si liberava faticosamente (e con molti tic di ritorno) delle mitologie mussoliniane, una Lega il cui orizzonte si fermava alla “rossa Emilia” – un soggetto politico come mai si era visto. E di quella nuova corte Berlusconi è stato il Re Sole. L’uomo solo al comando. Che convocava e sconvocava, che placava e trattava, che disegnava iperbole che gli altri dovevano interpretare, che bacchettava e cacciava, che blandiva e prometteva. E che governava mettendo assieme tutto e il contrario di tutto: nord e sud, destra e pure un pizzico di sinistra (chi si ricorda i professori del Cav, intellettuali ex comunisti folgorati sulla via di Arcore?).
Questo è stato il centrodestra italiano. E nei suoi momenti migliori (pochi) ha perfino intercettato la modernità e i bisogni di un ceto medio sempre più in ansia di prestazione. Il Cavaliere è riuscito tenere il bastone del comando per più di un quindicennio e a superare momenti difficilissimi, anche se la forza propulsiva del berlusconismo – sarà anche perché molte delle modalità di comunicazione politica tipiche di Forza Italia sono diventate comuni a tutti i partiti politici - si è andata consumando grosso modo nel quinquennio che abbiamo alle spalle. Le fessure che si erano palesate nel 2011, con la fine del suo governo, nel 2013 diventano crepe. Ma ancora in quell’anno il Cavaliere dà prova di una resistenza notevole. Conquista più del 21 per cento alle elezioni ed è uno dei protagonisti dell’operazione che porta Enrico Letta a palazzo Chigi. Silvio Berlusconi dunque ha ben chiaro cosa occorra per fermare la slavina grillina che si va abbattendo sul palazzo. Non si impicca alle formule e prova la strada del patto del Nazareno. La condanna della Corte di Cassazione, che lo mette fuori dal mercato politico da una parte e, dall’altra, l’arrivo di Matteo Salvini alla guida della Lega cambiano tutto. Irrimediabilmente. E Berlusconi è spiazzato.
Oggi si ritrova a guardare sconsolato l’8,79 per cento racimolato alle Europee. E la discesa continua: se la Lega dopo il voto europeo è data al 36,5 per cento, Forza Italia precipita al 6,9 per cento. Una manciata di decimali sopra il partito di Giorgia Meloni, che, irriverente, infatti lo spernacchia, candidandosi ad un rapporto esclusivo con Matteo (pensa così di poter contare di più). L’accoppiata dei sovranisti non prevede Berlusconi ma i resti del suo partito sì.
La parabola di Berlusconi appare insomma definitiva, siamo, per citare Marquez, all’autunno del patriarca. Può essere il suo erede Salvini? Scriveva mesi fa Giovanni Orsina sul Foglio che il 90 per cento degli elettori che hanno votato centrodestra nel 2013 lo hanno rivotato anche nel 2018: «il che vuol dire – argomentava - che Salvini non è percepito come una rottura, o se lo è allora è la rottura desiderata da quegli elettori. L’elettorato di centrodestra è un elettorato omogeneo, anche nel senso che le categorie che hanno votato Salvini sono state le stesse categorie che tradizionalmente votavano Berlusconi, cioè imprenditori e casalinghe».
Ma è davvero così? Berlusconi e Salvini sono intercambiabili? Nonostante gli ondeggiamenti (e ce ne sono stati non pochi) Berlusconi ha alle spalle una cultura liberale che a Salvini difetta proprio. Non è tanto il fatto che il Capitano occhieggia alla destra estrema di CasaPound o Forza Nuova; il punto è che è assolutamente, e volutamente, privo di una cultura politica democratica. E quella incultura, unita ad un risultato elettorale oggettivamente straordinario, non può che acuire il senso di potenza e nello stesso tempo l’estraneità di Salvini alla - come si diceva una volta – Costituzione del 48.
Se Salvini si è mangiato in poco più di un anno Forza Italia è perché gli è stato permesso. Perché si è fatto credere agli elettori del centrodestra che in fondo Silvio o Matteo fossero la stessa cosa (se non che è uno è giovane e aitante e l’altro un po’ andato con gli anni). Perché nessuno in Forza Italia ha avuto la forza di immaginare una strada diversa, se non far finta, fino all’autolesionismo, che Matteo stava pure provando a portare avanti il programma del centrodestra ma i grillini cinici e bari…. I tentativi che ci sono stati – vedi ad esempio la candidatura di Carfagna alle Europee – per scrollarsi di dosso la Lega sono stati troppo timidi e troppo tardivi. E sono stati bloccati dal di dentro. Per paura, per non intaccare comode certezze e gli equilibri di potere interni alla corte.
Certo è che vassalli e valvassori e valvassini che ieri promettevano armate al leader azzurro oggi le promettono a quello verde. Certo è Berlusconi è diventato afono e continua, lo ha fatto ancora ieri, a ripetere il mantra del centrodestra che nella crisi del governo penta leghista è il candidato naturale alla guida del paese contro i soliti comunisti (e basta!) . Quel centrodestra di cui il leader di Forza Itala parla non c’è più: e se qualcuno si ostina a indicarglielo nel cielo della politica è in malafede. Quella luce che arriva da anni luce di distanza è illusoria, si tratta di una stella morta o almeno moribonda. Dunque perché insistere?
Perché non c’è altro da fare si dirà? Non proprio. Il declino del Movimento Cinque stelle, non scontato ma ogni giorno che passa sempre più possibile, parla di milioni di voti in libera uscita, voti che potrebbero cercare casa altrove. Sono voti di sinistra in parte, ma solo in parte. Sono soprattutto voti di quel ceto medio che si muove sul confine destra/sinistra. Un elettorato di confine. Dunque di centro. E’ intorno al centro che si giocherà nei prossimi mesi la partita più interessante della politica italiana. Con una intervista al Messaggero oggi Pierferdinando Casini sostiene che «se vogliamo evitare che gli irresponsabili al governo portino l'Italia verso la rovina e che l'ondata di demagogia e pressappochismo travolga tutto, noi dobbiamo coprire lo spazio immenso che si è creato al centro». Secondo l’ex presidente della Camera è arrivata l'ora che «i moderati si mettano al lavoro per occupare questo spazio. Che nel Paese vale più del 10%». E i soggetti? Possono essere tanti, spiega Pierfurby come lo appellavano nel pieno della seconda repubblica: da Matteo Renzi che «sa parlare ai moderati», a Carlo Calenda, fino a chi, dentro Forza Italia, «non accetta di morire salviniano». Casini è un ex democristiano attento e informato. E se parla vuol dire che qualcosa si sta muovendo. Berlusconi deve decidere a questo punto se vuole essere l’intendenza che seguirà le truppe in campo o, al contrario, mettere il suo partito a capo dell’armata. Ma per farlo deve rompere, e pure platealmente, con Salvini e i salviniani nel suo partito.
di Giampiero Cazzato
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