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Messa al boss, il teologo Cavadi: il tono del frate è mafioso, per lui Dio è il padrino


Tommaso Spadaro

“Il frate ha usato un tono tipicamente mafioso, per lui il Padre eterno è il vero super padrino”. Il teologo e filosofo Augusto Cavadi, 60 anni, palermitano, “scomunica” il comportamento tenuto a metà marzo dal sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, padre Mario Frittitta, durante e dopo la messa al boss mafioso Tommaso Spadaro, celebrata nel capoluogo siciliano nella chiesa di Santa Teresa alla Kalsa, che ha inveito contro un giornalista di Repubblica che gli chiedeva come mai quella cerimonia all’”uomo d’onore”. La sintesi delle sue parole potrebbe essere che il religioso ha evocato “Il Dio dei mafiosi”, come recita il titolo di uno dei suoi libri, uscito nel 2009 per le edizioni San Paolo, caldeggiato da un altro teologo che cerca ai confini del sacro, Vito Mancuso.


teologo Augusto Cavadi

Professore Cavadi, perché dice che padre Frittitta ha trasformato Dio in un mafioso dei cieli?

Mi sorprendeva che il frate avesse usato una minaccia così indiretta nei confronti del giornalista di Repubblica (“Lei la paga. Perché il Signore fa pagare queste cose”). Ha assunto il tono tipicamente mafioso del consiglio spirituale: per il tuo bene ti consiglio di non continuare. Frittitta pensa a Dio come a un super padrino. Il Padre eterno è il vero boss onnipotente e io ti sto consigliando di non metterti contro di lui.


Secondo lei, andrebbero presi provvedimenti nei confronti del carmelitano?

Me lo sono chiesto. Come mai questo prete, già coinvolto e poi assolto in vicende di mafia, è rimasto nel suo ambiente? Non si tratta di eccessiva “compatibilità” ambientale?.


L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, ha tuonato contro la mafia ma non contro Frittitta. Lei che ne pensa?

Secondo il diritto canonico, padre Frittitta dipende dal padre generale dei Carmelitani Scalzi. L’arcivescovo di Palermo non può niente contro di lui. Però potrebbe fare una “moral suasion”, un’opera di persuasione: potrebbe chiamare il superiore del frate e chiedere la sua rimozione, oppure può togliere ai Carmelitani Scalzi la parrocchia”.


Il responsabile dell’Ordine, padre Saverio Cannistrà, ha detto che la messa celebrata da padre Frittitta era per la salvezza dell’anima del mafioso, quindi niente di irregolare.

Risposta impeccabile, dal suo punto di vista ha ragione. Però la frase del frate (“Le la paga”) rivolta al giornalista solleva il sipario sulla questione di fondo: essere un buon cristiano significa rispettare il Vangelo ma anche le leggi dello Stato.


Dice questo perché pensa che tra i ministri della Fede ci sia una “silenziosa complicità” coi mafiosi?

C’è uno iato tra il Papa che condanna la mafia e il parroco di periferia che conosce i propri fedeli. Ci possono essere casi rari di complicità coi mafiosi. Mentre è più diffuso l’atteggiamento, non solo dei preti ma anche di un po’ tutta la società italiana, che dice: né con lo Stato né con le Br. In questo caso, con la mafia.


Faccia un esempio.

Quando a Palermo Cosa nostra uccise padre Giuseppe Puglisi (il 15 settembre 1993, beatificato nel maggio di vent’anni dopo) alcuni preti chiesero all’arcivescovo del tempo, il cardinale Pappalardo, di costituirsi parte civile nel processo per l’omicidio del parroco di Brancaccio. Lui disse di no. Sostenne che una cosa è la giustizia degli uomini e un’altra è la giustizia di Dio. Se tu Chiesa non riconosci la legge dello Stato non stai paradossalmente ragionando come i mafiosi? che hanno un loro codice di comportamento e si affermano come anti-Stato? Questa è una mentalità diffusa nel clero, nei cattolici: una cosa è la vita religiosa e un’altra è la vita civile. Ma non ci possono essere due sfere autonome, una dei doveri cristiani e l’altra di quelli civili. È una schizofrenia che poi ciascuno si gioca come vuole. Il caso di Frittitta è un caso estremo che esaspera una mentalità molto più diffusa.


Insomma, un conto è dire che il Vangelo è incompatibile con la mafia, un altro è fare il prete anti-mafia?

Esatto. L’arcivescovo di Palermo, il cardinale Salvatore De Giorgi (carica assunta nel ’96 e dal 2006 conservata da emerito, ndr) all’epoca stilò un decalogo per fare chiarezza sul comportamento che il prete deve avere nel caso in cui sia chiamato da un latitante a celebrare messa. Primo punto: se chiama un latitante il prete deve avvertire l’arcivescovo. Secondo: il sacerdote deve andare dal malvivente e dirgli di convertirsi, di rimediare al male che ha fatto, restituire i beni maltolti e collaborare con la giustizia. Deve chiedere perdono alla comunità, andare in chiesa e solo così si può festeggiare il ritorno del figliol prodigo. Non si fanno messe private.


Per 43 anni, Augusto Cavadi ha insegnato filosofia nei licei dell’isola. Ora, tra le altre cose, fa il consulente filosofico, organizza viaggi filosofici e a maggio terrà un corso universitario sulla mafia nel Mar Mediterraneo organizzato per i futuri preti dai gesuiti della Facoltà teologica di Posillipo, in Campania.


di Fabio Di Chio

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