Da un lato la concreta possibilità di avvelenamento da metalli pesanti e sostanze radioattive, come riportato dagli esami effettuati sui liquidi biologici, dall'altra l'invito ad attendere l'esame autoptico prima di poter escludere la morte per cause naturali. Si infittisce il giallo attorno alla morte della giovane Imane Fadil, teste chiave del processo Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi. Secondo il Procuratore di Milano Francesco Greco, che sta indagando sul caso, sono stati riscontrati «valori di cromo e molibdeno molto superiori alla norma» oltre a «una elevata presenza di cadmio e antimonio», un mix che potrebbe essere stato fatale per la ragazza, per un mese ricoverata alla clinica Humanitas di Rozzano, poco fuori Milano, morta dopo quello che il pm ha descritto come «un calvario». La giovane trentaquattrenne di origine marocchina stava scrivendo un libro, le cui bozze sono state acquisite dagli inquirenti, in cui avrebbe raccontato la propria vicenda legata al processo Ruby, a quelle feste “eleganti” nella villa ad Arcore e alle conseguenze a suo dire scontate per aver «detto la verità su Berlusconi».
Il primo elemento oggetto di mistero sarebbe legato alla tardiva comunicazione della clinica Humanitas – dove per un mese la giovane ha fatto spola tra la terapia intensiva e il reparto, che non avrebbe comunicato alla Procura le paure di Imane che, una settimana prima di morire, affermava al fratello e al suo legale di temere di essere stata avvelenata. Ritardo confermato dallo stesso direttore sanitario della clinica, la cui comunicazione sarebbe avvenuta in seguito alla morte della giovane quando la Procura era già stata informata dei fatti dal legale di Imane. Considerata la posizione della trentaquattrenne, testimone chiave nel processo Ruby e la possibilità di reato profilata dalle sue dichiarazioni, il personale della Humanitas avrebbe dovuto immediatamente informare l'autorità giudiziaria sui presentimenti riguardanti un possibile avvelenamento, presentimenti che hanno portato il direttore sanitario Michele Lagioia, dopo venti giorni di ricovero in cui la giovane deperiva a vista d'occhio, a richiedere alla clinica Maugeri di Padova un esame tossicologico che potesse escludere la presenza di tossine nel sangue di Imane. Esame che ha dato esito negativo, seppur, come precisato da una nota emanata dall'istituto privato pavese “il centro antiveleni non identifica radionuclidi e non effettua misure di radioattività”. Durante la permanenza all'interno della clinica di Rozzano, Imane è stata testata per moltissime malattie, da quelle autoimmuni alla leptospirosi (a causa della presenza di topi nella cascina in cui abitava da diverso tempo) sino ai linfomi e ai tumori, ma tutti con esito negativo. In seguito al decesso, la Procura ha disposto il sequestro della salma e di tutti i beni personali, di cui telefono e computer sono oggetto di approfondite verifiche per ricostruire i movimenti subito precedenti al ricovero e le ultime conversazioni della giovane.
Il corpo della trentaquattrenne Imane Fadil si trova ora all'obitorio di piazzale Gorini a Milano dove sono state imposte dalla Procura tutte le precauzioni del caso, legate a una possibile contaminazione da sostanze radioattive. Interverranno infatti agenti del Nucleo radiologico e batteriologico dei Vigili del Fuoco, gli unici che potranno avvicinarsi al corpo prima dell'autopsia prevista per metà settimana e affidata al team guidato dal medico legale Cristina Cattaneo, direttore del laboratorio Labanof di antropologia e odontologia forense della Statale di Milano. Intanto la Procura ha ascoltato per oltre due ore il direttore sanitario della clinica Humanitas, Michele Lagioia come persona informata dei fatti. Il primo di una lista per far luce sull'inchiesta che per ora presenta solo ombre.
di Alessandro Leproux
Comments