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«Mica sono scemi i brasiliani»: la beffa di Battisti è finita, la destra ci “regala” il terrorista



La vittoria elettorale del futuro presidente del Brasile Jair Bolsonaro, oltre che sancire l'avanzata della destra internazionale, coincide con la riapertura del caso diplomatico del secolo fra l'Italia e il Paese che ospita dal 2007 il terrorista già membro del Pac Cesare Battisti. La promessa era giunta in tempi di campagna elettorale e ora nulla sembra impedirne la reale attuazione: in caso di vittoria Bolsonaro promise come gesto simbolico di lotta al terrorismo senza quartiere, l'estradizione in favore dell'Italia del pluricondannato appartenente al braccio armato della sinistra eversiva negli anni '70. Dopo il puntuale messaggio di complimenti e auguri da parte del vicepremier italiano Matteo Salvini nei confronti del futuro premier brasiliano, è arrivata nella notte la risposta, per mano del figlio di Bolsonaro, che oltre a ringraziare Salvini, promettendo «una destra ancora più forte», ha annunciato l'arrivo di «un regalo» per l'Italia.



Quella di Battisti è una storia giudiziaria in cui le vicende politiche degli anni di piombo italiani si intersecano con una figura ambigua, capace durante il suo peregrinare continuo in fuga dalla giustizia italiana e non, di avvicinare e dividere l'opinione pubblica così come quella politica. Rifugiato prima in Francia, dopo essere evaso dal carcere di Frosinone nel 1981 e successivamente in Messico (periodo nel quale fu condannato in contumacia per diversi reati, tra cui l'omicidio di Antonio Santoro e di Andrea Campagna come esecutore materiale), Battisti trovò sulla sua strada idealisti che sposarono o difesero la sua causa e sostennero le sue tesi d'innocenza dai reati a lui attribuiti e da lui considerati una persecuzione dovuta alle sue posizioni radicali. Arrestato nel 1991 in Francia, durante la sua seconda latitanza a Parigi, in seguito a una richiesta di estradizione da parte dell'Italia, Battisti restò per quattro mesi sotto la custodia della polizia francese sino al pronunciamento della Chambre d'accusation di Parigi che negò la sua estradizione in virtù della dottrina Mitterand che garantiva l'asilo ai perseguitati politici, oltre al fatto che per la Magistratura francese le prove a carico delle sue imputazioni erano considerate contraddittorie. Fu sul punto di ottenere la cittadinanza francese, quando nel 2004 gli venne revocata la naturalizzazione e la conseguente consegna del passaporto che l'avrebbe reso a tutti gli effetti un intoccabile agli occhi della Francia. In seguito a un nuovo arresto e a una conseguente successiva richiesta italiana di estradizione, l'allora presidente transalpino Chirac acconsentì alla consegna di Battisti alle autorità italiane, ma il terrorista si rese nuovamente latitante, riuscendo a raggiungere il Sud America e il Brasile grazie all'aiuto di amici e conoscenti. Lì fu arrestato nel 2007 in un'operazione congiunta delle forze di polizia locali e i servizi segreti francesi e nonostante il pronunciamento dall'esito negativo del Cona (l'organismo brasiliano atto a valutare le richieste d'asilo) ottenne nel 2009 lo status di rifugiato politico per diretta intercessione dell'allora ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro, che motivò la sua decisione fondandola sul «timore di persecuzione del Battisti per le sue idee politiche», oltre che sulla presunta irregolarità e sommarietà del processo tenutosi a suo carico in Italia. Dopo un ricorso al Tribunale Supremo Federale, dovuto anche alle forti pressioni esercitate dall'Italia e da parte dell'opposizione brasiliana, fu votata l'illegittimità dello status di rifugiato politico (18 novembre 2009), lasciando però l'ultima parola e la decisione finale all'allora Presidente Lula, che il 31 dicembre 2010 annunciò il suo rifiuto a procedere con la riconsegna alle autorità italiane del pluricondannato. A Battisti fu consegnato un visto permanente che gli avrebbe garantito la permanenza sul suolo Brasiliano in qualità di immigrato stabile.


Autore della propria apologia, fermamente convinto di essere stato tradito dal suo ex amico e compagno nel Pac Pietro Mutti, che gli avrebbe addossato la responsabilità diretta delle morti di Campagna e Santoro per ottenere sconti di pena, Battisti si è sempre dichiarato colpevole di aver partecipato in via teorica e progettuale ai fatti che gli sono stati imputati, asserendo però di non esserne mai stato il reale esecutore. «Non mi pento di nulla. Non posso pentirmi di quello che non ho fatto. Mi accusano di vari omicidi. I responsabili sono stati arrestati e torturati. Quando sono avvenuti gli omicidi, già non facevo più parte dell'organizzazione», alcune sue dichiarazioni rilasciate dopo aver ottenuto l'asilo politico in Brasile. Battisti ha inoltre affermato che «se il governo italiano avesse mentito meno, probabilmente avrebbe ottenuto la mia estradizione. Lula non l'ho mai visto, non ha nessuna simpatia per me. Ma quando dall'Italia sono cominciate ad arrivare notizie contraddittorie e assurde sulla mia vicenda, Lula ha deciso di prendere informazioni per conto suo. A un certo punto nel governo di qua si sono sentiti presi in giro dall'Italia, mica sono scemi i brasiliani». Il riferimento è relativo alle presunte simpatie, di carattere politico, che l'allora Presidente Lula avrebbe riscontrato in Battisti e che sarebbero state la causa del suo intervento in suo favore.


Ora, dopo anni di ricorsi, di rifiuti, incomprensioni e fallimenti diplomatici, un nuovo spiraglio sembra potersi aprire in una vicenda apparentemente senza possibilità di un finale certo. Se la volontà di estradizione da parte del nuovo presidente fosse confermata, Battisti potrebbe davvero tornare in Italia, dove la sentenza per i due ergastoli che gli furono comminati nel 1988 non può trovare prescrizione alcuna. Ecco perché l'avanzata della destra in Brasile può avere un sensibile effetto catena sulla politica italiana ed europea.

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