Il “Global compact for migration” (tradotto vuol dire, letteralmente, “Patto internazionale sulle migrazioni”), patto internazionale voluto dalle Nazioni Unite e che sarà ratificato nella conferenza internazionale di Marrakech il 10 dicembre, irrompe dentro i già tanti guai che affronta il governo e li complica ancora di più. Il ‘merito’ dell’esplosione è di Giorgia Meloni e del suo partito, Fratelli d’Italia, che battono sul tema, sui media e in Parlamento, già da settimane, primi a sollevare il tema e primi, soprattutto, a contestare l’adesione dell’Italia.
Salvini, assai ‘irritato’ per quella che giudica una “fuga in avanti” della Meloni, decide, una volta che la notizia è uscita e il caso è scoppiato, di cavalcarlo e di farne una battaglia identitaria anche della Lega, scippandolo a FdI.
Ed ecco che il governo e il premier sono costretti a rimangiarsi una decisione di fatto già presa, quella di aderire al Patto, come aveva garantito proprio Conte nella sede dove quel Patto è stato concepito, l’Assemblea generale dell’Onu, lo scorso 26 settembre, e come aveva ribadito, più volte, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. Invece, niente: «Tutto sbagliato, tutto da rifare». Infatti, sono ormai giorni che il vicepremier Salvini dice, parlando di sé in terza persona singolare come faceva, prima di lui, Giulio Cesare, che «Salvini ha una posizione chiara: sono assolutamente contrario a invasioni di campo su un tema che è, evidentemente, dei singoli Paesi». E così il premier è costretto a innestare la marcia indietro e, in una conferenza stampa tenuta ieri a palazzo Chigi per presentare tutt’altro, e cioè il ‘codice rosso’ contro la violenza sulle donne, Conte prima dice che l’Italia, “come la Svizzera”, non parteciperà alla conferenza di Marrakech e, subito dopo, aggiunge che l’oggetto del Patto sarebbe stata rinviata alla discussione del Parlamento che, su temi come questi, per il premier, “è (e resta) sovrano”. Il Governo, inoltre, ha anche proposto una ‘riformulazione’ dell’adesione al Patto, vincolandolo, appunto, alla (futura) volontà del Parlamento, anche se Conte assicura di “non aver cambiato idea” (sic), e cioè di essere favorevole.
E qui, la scena, si sposta, appunto, nell’Aula della Camera. Fratelli d’Italia, per bocca del suo capogruppo, Francesco Lollobrigida, ha buon gioco nel definire il governo “in pieno stato confusionale”. Infatti, su un ordine del giorno presentato da FdI, che proponeva di rifiutare la sottoscrizione del Patto, “la Lega ha votato con la Boldrini”. Nel senso che, contro il rifiuto dell’adesione al Patto, si è espressa, oltre a FdI, solo Forza Italia, mentre a favore hanno votato, insieme alle opposizioni di sinistra (Pd e LeU), anche l’M5S e la Lega. Insomma, un pastrocchio. E una commedia degli equivoci, quella sul Global Compact, che travolge pure l’M5S che, tanto per cambiare, si spacca. Il presidente della commissione Affari costituzionali, Giuseppe Brescia, sostiene che “va assolutamente firmato”, altri 5Stelle sono più scettici e oscillanti, cioè tendenti a dare ragione alle ‘ragioni’ della Lega mentre Di Maio tace. E così si torna a Salvini. ‘Aprendo’ al voto parlamentare, che però va ancora calendarizzato, vuol dire che, molto probabilmente, non arriverà prima che si tenga la conferenza di Marrakech, Salvini sembra suggerire un escamotage. Consisterebbe nella, concreta a questo punto, possibilità che si formi, in Aula, una maggioranza parlamentare diversa da quella che sostiene il governo. Infatti, anche se Lega, FdI e FI votassero contro l’adesione al Global Compact, con i voti di M5S, Pd e LeU a favore, l’adesione dell’Italia al Patto potrebbe passare, salvando, forse, capra e cavoli. Infatti, mentre il governo ci farebbe, l’ennesima, figuraccia, rimangiandosi la parola data, Salvini potrebbe trincerarsi dietro il Parlamento “sovrano” ed evitare di fare quello che gli chiede Giorgia Meloni: “aprire una crisi di governo” per il no al Global Compact.
di Ettore Maria Colombo
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