“Montanelli e il suo Giornale” (Albatros, 2020, ordinabile in libreria e su Amazon) è il libro con cui Federico Bini, giovane giornalista e scrittore lucchese, ripercorre una grande stagione dell’editoria italiana.
Con la prefazione di Barbara Alberti e Francesco Giubilei e i contributi di moltissimi giornalisti che hanno lavorato fianco a fianco con Montanelli (Caputo, Crespi, Confalonieri, Mazzuca, Gervaso, Veneziani, Buttafuoco, Feltri, Belpietro, Guzzanti, Perna, Sallusti e molti altri), Bini riannoda i fili della storia de Il Giornale, sin dalla sua nascita, avvenuta il 25 giugno 1974.
Bini, quanto ha inciso Montanelli nella sua formazione culturale e personale?
Moltissimo, è stato determinante. A scuola, più che studiare preferivo immergermi nei libri dei grandi personaggi politici del Novecento. Ricordo che stavo leggendo De Gasperi, quando un amico mi regalò un libro su Montanelli: ne rimasi completamente affascinato, tanto che mi ha trasferito una passione, quella per la scrittura e per il giornalismo, che non credevo di avere.
Che genesi ha questo libro?
Mentre stavo intervistando Biazzi Vergani, uno dei fondatori del Giornale, mi dissi che avrei dovuto raccontare quest’avventura. Sono partito da lì. Ci ho messo quattro anni di lavoro intenso, di ricerche, di studio. Ma alla fine ce l’ho fatta, ho dato vita a uno scritto che mi avvicina alla figura di Montanelli. Una figura che reputo mitica, anche in considerazione del prezzo che ha dovuto pagare per la sua battaglia di libertà e di anticonformismo, e naturalmente mi riferisco all’attentato subito nel 1977.
Che differenza ravvede tra il giornalismo di allora e quello di oggi?
Tante. È cambiato praticamente tutto. La natura dei giornali, prima di ogni cosa. Se allora si faceva informazione, oggi si fa politica. Anzi, lotta politica. Lo stile secco e conciso di Montanelli, che non faceva sconti a nessuno, non esiste più. Ma è pur vero che è cambiato il pubblico e le sue abitudini.
Che rapporto avrebbe avuto Montanelli con i social, secondo lei?
Forse non conflittuale. Con i suoi “controcorrente” ha in un certo senso anticipato il format di Twitter, che quindi forse avrebbe trovato gusto a utilizzare.
Un’ultima domanda. Cosa penserebbe della vicenda giustizia?
Per tutto ciò che riguarda i temi politici – come tasse, giustizia, burocrazia – bisogna premettere che l’unica custode della sua eredità culturale e morale è la sua adorata nipote Letizia Moizzi. Se però entriamo nel campo delle interpretazioni, credo che oggi Montanelli sarebbe fortemente disgustato da questo teatrino. Sarebbe un grande fustigatore della borghesia e dell’intellighenzia rossa, come d’altronde è già stato. Farebbe battaglie contro il declino morale della magistratura, che per lui doveva essere un potere dello Stato, mentre oggi è diventata un vero e proprio contropotere.
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