Mulé, il copione si ripete. Dopo Contrada, ora Mori, Subranni e De Donno. Dirigenti del Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri, infangati dalla giustizia con accuse infamanti, prima di venire riconosciuti innocenti al culmine di un calvario infinito…
Siamo di fronte a una congiunzione che non ha niente a che vedere con quelle astrali che si dicono fortunate. Alla congiunzione, che è diventata una dannazione, fra un impianto accusatorio, costruito sulla base di un teorema supportato da delazioni interessate di pentiti, e una magistratura giudicante che ha sganciato la bomba-favola, della sottomissione di servitori dello Stato a Cosa Nostra. Ora qualcuno dice che la giustizia ha dimostrato di avere gli anticorpi, perché in appello ha ribaltato le sentenze di condanna in primo grado. In realtà, questi anticorpi si manifestano quando il corpo è in metastasi. Metastasi nei corpi degli imputati e, a volte purtroppo, non immaginarie, ma concrete. Tutto quello che è accaduto dal 2013, quando è iniziato il processo, non è normale, come qualcuno vorrebbe far credere. Un calvario lungo otto anni con la vita che si ferma, le gioie negate, la serenità tradita, le aspirazioni mortificate. Non sono normali otto anni di processo e ventitré di indagini per evocare la falsa immagine di uno Stato canaglia, che fa combutta con la mafia di Totò Riina e Bernardo Provenzano e lo fa con le miglior menti investigative in circolazione. La cosa più grave è che si sia accettata una verità di questo genere e che sia stata acclarata da una sentenza. La verità dello Stato canaglia che spinge ancor oggi alcuni irriducibili a dire che la sentenza è interpretabile. Secondo costoro, assimilabili a quelli che tuttora pensano che la seconda guerra mondiale non sia mai finita per le quattro isolette ancora in bilico fra Russia e Giappone, la trattativa c’è stata, ma non è stato possibile configurala come reato. Dovremmo gioire tutti per la recuperata credibilità dello Stato, magari qualcuno cospargendosi il capo di cenere e, invece, siamo ancora lì a fare i “cacatubi” sull’interpretazione della sentenza.
E’ stato assolto anche l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri…
Sì, è stato assolto anche Dell’Utri, che proviene da un’altra tragedia giudiziaria, quale è quella del concorso esterno in associazione mafiosa, che vale per un periodo e non vale per un altro, perché interviene la Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel caso di Dell’Utri, c’è ancora una volta la totale mancanza di certezza del diritto. Anziché avere una risposta chiara dalla sua giustizia, Dell’Utri si ritrova, suo malgrado, a essere l’esempio, vivente per fortuna sua, dell’incertezza del diritto, con l’aggravante dell’umiliazione del carcere. Cinque anni di detenzione, sulla base di un reato che è come la moglie un po’ incinta e un po’ no. Un oltraggio alle battaglie garantiste e alla tenacia di chi si ostinava a sostenere che fosse mortificante tanto l’ipotesi di una trattativa Stato-Mafia, quanto tenere in piedi il concorso esterno in associazione mafiosa, come se la mafia fosse il Rotary, un club da cui si entra e si esce a proprio piacimento, dove si ottiene la tessera e poi la si straccia. In nome di questa furia giustizialista, che poi aveva come unico terminale la distruzione e l’appannamento di Silvio Berlusconi, si è arrivati a sfoderare anche l’armamentario dell’antimafia, non tenendo conto della realtà, della verità, di quello che i fatti raccontavano, dall’inasprimento berlusconiano del 41 bis alla cattura dei latitanti. Tutto offuscato da un’eclissi della ragione rispetto a tutto quello che è accaduto.
Della trattativa fra lo Stato e la Mafia in tanti si sono riempiti la bocca e hanno riempito le pagine dei giornali…
I libri, le appendici dei libri, le collane, i documentari, i film. C’è stata tutta un’industria che ancora una volta ha proliferato sulla base della fascinazione orribile del mostro che veniva rappresentato. Non a caso su Google Hitler è il più cliccato. Il male attira. La trattativa è stato un grandissimo best seller. Purtroppo, mentre si cibava di questo best seller la gente non capiva che mortificava se stessa, perché prendeva come buona un’ipotesi che negava l’esistenza stessa dello Stato.
di Antonello Sette
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