Stamattina a Roma la rete nazionale D.i.Re, in occasione della conferenza stampa di presentazione delle iniziative promosse dalla rete dei centri antiviolenza in vista della prossima Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, che si celebrerà il prossimo 25 novembre, ha presentato l'Osservatorio Nazionale sulla Vittimizzazione Secondaria.
Al termine della conferenza stampa, ho fatto una chiacchierata in esclusiva per Spraynews con Nadia Somma, consigliera dell'Associazione D.i.Re donne in Rete per l’Emilia Romagna e referente (nonché ex Presidente) dell’Associazione Demetra donne in aiuto, riflettendo sui femminicidi e gli omicidi dei bambini da parte dei padri abusanti, in particolare alla luce dei recenti due terribili fatti di cronaca di Sassuolo e Vetralla.
Come dovrebbero affrontare il Governo e le leggi la situazione per fermare i femmicidi e tutelare le donne e i bambini vittime di violenza?
In teoria abbiamo tutti gli strumenti, sia in sede penale che civile. Ricordiamo che la convenzione di Istanbul dice che le donne vanno tutelate a prescindere dalla denuncia penale, e il nostro sistema ha i mezzi per farlo, l'ordine di allontanamento si può chiedere anche in sede civile. Ci sono poi la legge sullo stalking, il codice rosso per intervenire e sanzionare i violenti. Dalla fine degli anni 80 poi hanno cominciato a sorgere i centri antiviolenza e le case rifugio (anche se purtroppo oggi non sono in numero sufficiente. Per essere a norma con le direttive europee ne dovremmo avere 5 mila, mentre ve ne sono poco più di seicento).
Qual'è quindi il problema?
Che abbiamo strumenti che non sono usati. Questo per vari motivi.
La relazione della Commissione femminicidio presentata lo scorso 16 giugno ha rivelato che non ci sono procure specializzate e non c'è abbastanza formazione nei magistrati. Anche il personale delle forze dell’ordine non svolge una formazione capillare tra agenti e militari.
Poi c’è il problema dei consulenti tecnici d'ufficio, che anzi sono formati nelle scuole di psicologia giuridica orientate sulla PAS, la sindrome di alienazione parentale rigettata dalla comunità scientifica internazionale ma riformulata in altre sigle e definizioni quali madre malevola, madre adesiva, madre ostativa per dire la stessa cosa, ovvero, se un bambino rifiuta il padre è colpa della madre che lo ha manipolato. Rifiuto che viene addebitato a colpe materne anche se c’è violenza.
La maggior parte dei consulenti tecnici d'ufficio, come è emerso da una recente ricerca condotta da una studentesse dell’Università di Trieste, non sono formati sulla violenza e sono portatori di stereotipi e pregiudizi sulle donne, e pure i giudici fondano decisioni gravi come quelle di allontanare bambini da madri accudenti sulla base di queste consulenze fondate sulla alienazione parentale. Una follia.
Persiste il pregiudizio della denuncia strumentale “per ottenere casa coniugale e affidamento dei figli“ secondo la propaganda di certe associazioni misogine molto attive sui social.
In realtà solo il 27% delle donne accolte nei centri antiviolenza della rete DiRe denuncia.
Persiste una difficoltà a riconoscere la violenza che viene confusa con il conflitto, fino ad una vera e propria rimozione della violenza. Questo avviene quando i tribunali civili devono decidere sull'affidamento dei figli: nonostante ci siano delle denunce fatte da una donna per violenze o addirittura delle condanne incaricano ugualmente delle CTU per valutare quale sia il genitore adeguato. Secondo il loro preconcetto l'uomo violento può essere un buon padre.
Persistono pregiudizi arcaici che trovano accoglimento nei tribunali; "la donna provoca la violenza" e quindi se è avvenuta la separazione sussiste il convincimento che se la donna non è più a contatto col "pover'uomo" vessandolo fino a farlo esplodere e fargli commettere spropositi, a quel punto il problema è risolto.
Viene completamente ignorata se non demonizzata la paura che le donne hanno dei violenti. È normale che una madre che tutela il figlio non si fidi a lasciarlo con un uomo violento, che abusa di alcol o di cocaina, eppure questa madre si trova messa sullo stesso piano del partner violento e valutata per le capacità genitoriali.
Oltretutto, dopo la legge 54/2006 che ha introdotto nel nostro ordinamento la legge sull’affido condiviso, si è radicato il convincimento che la bigenitorialità sia una sorta di dogma da applicare a qualunque separazione per cui se una donna che ha subito violenza non si mostra conciliativa e benevola verso l’ex che le ha usato violenza, viene mal giudicata fino ad essere ritenuta ostativa o alienante e rischia di perdere anche definitivamente l’affidamento dei figli.
Tutto questo sta spingendo le donne a tacere, a piegarsi al violento, a cedere su tutte le sue richieste rispetto alla separazione. Per questo l'Associazione Nazionale D.i.Re ha annunciato oggi, che abbiamo istituito un Osservatorio Nazionale sulla Vittimizzazione Secondaria.
Per quel che invece riguarda la tutela delle donne e bambini da contesti come quelli che sono avvenuti in questi giorni, la strage di Sassuolo e l'uomo che ha ucciso il figlio a Vetralla?
Questo avviene perché non c’è un lavoro di rete tra le forze dell’ordine, i servizi sociali e i centri antiviolenza e non viene fatta una valutazione del rischio.
La denuncia da sola non basta a tutelare le donne da ritorsioni dei violenti. L’ordine di allontanamento è solo un pezzo di carta.
L’arresto in flagranza avviene raramente, così come è raro che un uomo finisca in carcere per maltrattamento e quando avviene sono passati anni.
Allora cosa dovrebbero fare le forze dell'ordine ed i servizi sociali per evitare che queste donne vengano ammazzate?
Quando una donna fa una denuncia per maltrattamenti o stalking, prima va fatta la valutazione del rischio. Ci sono degli indicatori che possono far capire se sussistono rischi per la donna e i figli . Prima di procedere con la denuncia se esiste il rischio, la donna va messa in protezione con i figli nelle case rifugio e se c'è un'elevato rischio la donna dovrebbe essere trasferita momentaneamente anche in un'altra regione.
Adesso col codice rosso la violazione dell'ordine di allontanamento è un reato, che prevede in teoria l'arresto, ma purtroppo in pratica se non sono colti in flagranza non sono mai arrestati. Potrebbero esserci altri strumenti da utilizzare per controllare violenti per esempio i braccialetti elettronici: perché non li utilizzano?
Le situazioni naturalmente non sono tutte uguali. Ci sono uomini che basta che sappiano che la moglie li ha denunciati e si fermano, temono l’autorità giudiziaria ma purtroppo come abbiamo visto nelle ultime 48 ore ci sono quelli che fanno le stragi. Sono quelli che pensano di non aver più nulla da perdere, perché capiscono che sono stati messi fuori dalla vita delle ex. E allora si vendicano e uccidono.
Il lavoro di intervento a difesa delle donne deve essere quindi giocato da più attori che devono essere coinvolti : forze dell'ordine, centri antiviolenza, case rifugio, tribunale, servizi sociali.
Purtroppo pure nella mia esperienza di attivista ho notato come queste realtà siano poco coordinate tra loro.
Per concludere, il Ministro della Giustizia Cartabia si è recentemente espressa dicendo che la PAS non esiste e non va usata nei tribunali. Questo riuscirà per te a cambiare le cose in materia?
Sono scettica. La Corte di Cassazione nel 2013 negò scientificità alla Pas, fino alla sentenza della Cassazione dello scorso mese di maggio. Ma il costrutto della pas o ap, o madre malevola o adesiva continua a trovare accoglimento nei tribunali perché viene costantemente riformulato. Rinasce dalla sue ceneri perché sorge su un pregiudizio misogino difficile da superare senza una formazione adeguata. Il pregiudizio della donna mentitrice e vendicativa e quello dell’onnipotenza del materno.
Si deve intervenire nella formazione dei magistrati; poi andrebbe messa fuori dai tribunali la pas in ogni sua forma e costrutto. Intorno al processo civile che spesso si trasforma in un processo kafkiano e infinito sono entrati anche interessi economici. Questo è un’altro triste dato di realtà.
Attribuire automaticamente alla madre la colpa del rifiuto paterno del bambino, è una vera e propria deresponsabilizzazione dei maltrattanti per le loro azioni.
Conosciamo storie di uomini ricchi che grazie a questa teoria, pur essendo stati condannati per violenze hanno ottenuto l‘affidamento esclusivo dei figli, pagando profumatamente le loro ctp.
Quando un genitore viene rifiutato, ci sono dei motivi e quasi sempre riguardano sue azioni. Non nego che ci siano situazioni di manipolazioni materne ma queste vanno provate e indagate, i bambini non amano a prescindere padri o madri perché l’amore non si impone, si insegna e si ispira.
Di Umberto Baccolo.
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