Inizialmente, diciamo fino a poco meno della metà degli anni ’90, la rotta privilegiata per il trasporto della cocaina dal Sudamerica all’Europa era quella che univa la città colombiana di Medellín e la siciliana Palermo. Si trattava di una rotta, tutto sommato, marginale per l’allora Patrón del narcotraffico mondiale Pablo Escobar, il cui “core business” si snodava dalla Colombia, via Panama, Messico, ad un certo punto pure la Cuba dei fratelli Castro, per arrivare sulle coste, o in certi casi nei mari, della Florida e da lì irradiarsi, per mezzo di narcos locali, quali il famoso Boston George, fino a raggiungere quelle città statunitensi il cui spaccio di sostanze stupefacenti era stato egemonizzato dal Cartello di Medellín.
All’epoca, la ’Ndrangheta, malgrado il già forte radicamento territoriale e la partecipazione ad attività delittuose quali il narcotraffico, anche su scala internazionale, non aveva ancora raggiunto il rilievo criminale, in tale tipo di business, che ha oggi, mentre il brasiliano PCC (Primeiro Comando da Capital) muoveva i primi passi all’interno dell’Istituto Penitenziario di Taubaté, nella Valle del Paraíba (Stato di San Paolo) avvalendosi dell’aiuto, in termini organizzativi e di strutturazione della neonata facção criminale, di due camorristi del calibro di Renato e Bruno Torsi.
Gli scenari, gli attori criminali in esso coinvolti, come pure le sostanze trafficate, cambiano in maniera sempre più rapida, ciò che ci conduce al PCC di oggi, alla ’Ndrangheta come player criminale centrale in Sudamerica e al Paraguay quale Stato di rilievo fondamentale sul narco-scacchiere del Cono Sur. Del resto, è da tempo che le autorità federali brasiliane seguono le tracce di questo network tra gli irmãos dell’organizzazione paulista e sodalizi quali la ’Ndrangheta o la mafia serba.
Probabilmente anche a causa dell’estremo eclettismo organizzativo del PCC, nel solo 2020 la Polizia Federale brasiliana ha identificato la presenza di membri della fazione criminale di San Paolo negli Stati Uniti, in vari Stati dell’America Latina e in Europa. Dato, questo, cui va aggiunto il continente africano, in particolare il Mozambico, dove uno dei leader del PCC, Gilberto Aparecido dos Santos, conosciuto come Fuminho, è stato arrestato il 13 aprile del 2020. Fuminho, il quale gestiva la rete del narcotraffico sull’asse PCC-’Ndrangheta. In almeno un caso, inoltre, quello relativo al giudizio di André do Rap nello Stato di San Paolo, gli avvocati formanti il collegio della difesa erano gli stessi di esponenti della ’Ndrangheta arrestati e detenuti in Brasile.
Sappiamo da tempo quali sono le rotte della droga che uniscono, quasi in un’unica grande rete, i vari Stati, dall’America del Sud all’Europa e più recentemente anche all’Africa, il più delle volte usati come “sponda” per sviare le autorità, mantenendo i porti europei come destinazione finale. Dinamiche, quelle concernenti la rotta atlantica, piuttosto chiare anche alle autorità: la cocaina viene dalla Bolivia, dalla Colombia e dal Perù, previo accordi tra esponenti del PCC e della ’Ndrangheta, e di qui arriva in Paraguay, dove la logistica passa nelle mani di piccoli clan familiari, che provvedono ad organizzare e a smistare i carichi, sempre sotto l’occhio vigile del Primeiro Comando da Capital, che controlla ogni aspetto delle operazioni.
Nel quadro della già menzionata rotta atlantica, la centralità del Paraguay è data dal fatto di costituire una sorta di primo punto di arrivo per i carichi provenienti da Bolivia, Colombia e Perù. Via terra, tali carichi raggiungono i porti delle regioni sudorientali del Brasile, in particolare Santos, Paranaguá, Itajaí, ma in certi casi anche il porto di Salvador, nello Stato di Bahia, e quello di Rio de Janeiro. Di qui, il viaggio continuerà alla volta dell’Europa, soprattutto in direzione dei porti di Rotterdam, Anversa, o verso la Spagna (soprattutto Galizia, come raccontato nel bel libro di Nacho Carretero, Farinha) e in certi casi il Portogallo.
Tramite le rotte fluviali, la cocaina, sempre partendo dal Paraguay, viene smistata verso il porto di Montevideo, in Uruguay, e quello di Buenos Aires, in Argentina. I container rappresentano il mezzo, mediante il quale la droga viene fatta viaggiare da un emisfero all’altro, ciononostante, come dichiarato dal magistrato brasiliano José Laurindo de Souza Netto, l’uso dei container è soltanto la punta dell’iceberg, costituendo appena uno degli espedienti tramite il quale il narcotraffico internazionale di stupefacenti funziona.
Uno stato di cose evidenziato anche, nel mese di giugno di quest’anno, dall’avvocata e attuale Ministra della Segreteria Nazionale Antidroga paraguaiana (Senad), Zully Rolón, la quale, alla luce delle indagini attualmente in corso, ha ricordato gli stretti legami tra la ’Ndrangheta e il Primeiro Comando da Capital in Paraguay con riferimento al traffico di stupefacenti: “I broker della mafia sono talmente potenti da trattare direttamente con il PCC, essendo già presenti in Paesi come la Colombia, la Bolivia, il Perù e il Paraguay, utilizzati come rotte di transito”. La ‘rotta NarcoSur’, complementare e in certa maniera alternativa alla rotta caraibica, che ha il proprio baricentro nel Messico e nei cartelli della droga locali connessi con gli altri della regione, in primo luogo quelli presenti in Guatemala, Honduras e El Salvador.
Il ruolo rivestito dal Paraguay nel Cono Sur è mutato molto nel corso degli ultimi anni, sostanzialmente a causa di due elementi, probabilmente anche irrelati fra loro: l’esplosione del narcotraffico alla frontiera tra Brasile e Paraguay, nei dipartimenti di Amambay e dell’Alto Paraná, e una relazione sempre più stretta con gli Stati Uniti, essendo attualmente, il Paraguay, il più importante referente di Washington nella regione. Alla luce di questa nuova inserzione sullo scenario internazionale, non può sorprendere la rinnovata intesa, sul tema della lotta al narcotraffico, tra Paraguay e Italia, siglata con la firma da parte della Ministra della Giustizia di Asunción, Cecilia Pérez Rivas, nel mese di novembre di quest’anno, di un accordo per l’estradizione in Italia di condannati per reati di criminalità organizzata.
L’accordo fa parte di una più ampia strategia di lotta alla ’Ndrangheta, che prevede l’ingresso del Paraguay all’interno del progetto I-CAN (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta). Tale progetto si fonda su una collaborazione avviata tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno italiano e il Segretariato Generale della Interpol con l’obiettivo di migliorare la cooperazione internazionale nel contrasto alla ’Ndrangheta in tutte le sue ramificazioni mondiali. Si tratta di una iniziativa multilaterale, che, oltre all’Italia e al Paraguay, coinvolge anche Argentina, Australia, Brasile, Canada, Colombia, Francia, Germania, Spagna, Svizzera, Stati Uniti e Uruguay, mentre Olanda, Belgio e Polonia hanno manifestato interesse nei confronti dell’iniziativa.
Tra i principali obiettivi del progetto I-CAN figura l’organizzazione e il coordinamento di operazioni internazionali volte a scoprire, sequestrare e confiscare gli asset finanziari ed economici riconducibili alla ’Ndrangheta, come pure localizzare e arrestare ovunque i suoi latitanti e identificare nuove tendenze di infiltrazione nell’economia legale. I-CAN sarà attivo fino al 2023 e si concentrerà sull’individuazione di meccanismi di prevenzione atti ad impedire l’infiltrazione della ’Ndrangheta, in associazione al PCC, all’interno del sistema di assegnazione degli appalti pubblici in Paraguay, oltre al capitolo concernente la prevenzione e lotta alla corruzione nella Pubblica Amministrazione.
La preoccupazione maggiore, espressa dalle autorità di Asunción e messa in luce dalla stessa Ministra della Giustizia, verte sui sempre più concreti rischi di infiltrazione della ’Ndrangheta calabrese in Paraguay, servendosi del know-how criminale del Primeiro Comando da Capital, da tempo attivo tra Pedro Juan Caballero e Ponta Porã e sulla Triplice Frontiera nella regione dell’Alto Paraná. In particolare, le autorità paraguaiane e quelle italiane ritengono che ’Ndrangheta e PCC abbiano stretto accordi con l’obiettivo di inserirsi, tramite imprese di facciata, all’interno del redditizio sistema di assegnazione degli appalti pubblici al fine di poter riciclare ingenti somme di denaro.
Per questo, ha spiegato la Ministra Pérez, la Direzione Nazionale per gli Appalti Pubblici (DNCP) ha recentemente preso parte ad un corso sulla lotta alla corruzione, previsto all’interno del Programma Falcone e Borsellino. Si tratta di un’iniziativa di diplomazia giuridica, avviata il 17 dicembre del 2020, che vede coinvolti il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano e l’Organizzazione Internazionale Italo-Americana (IILA) per la lotta contro il crimine organizzato nei Paesi latinoamericani e dell’area caraibica.
Iniziative, le quali si sono tradotte in un piano di azione immediato messo in atto dalla DNCP paraguaiana, destinato a riformare i sistemi di controllo per l’assegnazione degli appalti pubblici e il riciclaggio di denaro sporco. Un impegno concreto espresso dall’attuale responsabile della Direzione Nazionale per gli Appalti Pubblici, Pablo Seitz, il quale nel corso di un’intervista al giornale ABC Color ha dichiarato che il suo dipartimento, in accordo con il Ministero della Giustizia, sta elaborando un protocollo di controllo e prevenzione contro il riciclaggio.
Tale protocollo è stato avviato in seguito alla segnalazione da parte delle autorità italiane, nel quadro di collaborazione del progetto I-CAN, di un caso riferito al Paraguay, dove l’appalto pubblico aveva rappresentato il canale mediante il quale era stato riciclato denaro di attività illecite: “Analizzando questo esempio e la possibile presenza di gruppi mafiosi dediti al riciclaggio di denaro sporco nel nostro Paese - ha continuato Seitz - abbiamo deciso, assieme alla Ministra Cecilia Pérez, di cominciare a lavorare ad un progetto teso a prevenire rischi di questo tipo”. In tal senso, all’interno del disegno di legge di modifica del sistema degli appalti sarà prevista l’istituzione di una banca dati delle varie imprese vincitrici, le quali verranno sottoposte ad un rigoroso screening al fine di accertare l’eventuale origine illecita del denaro impiegato nell’appalto pubblico vinto.
Quel che resta da capire è come simili decisioni potranno essere articolate dal discusso Governo di Mario Abdo Benitez e più in generale all’interno di un Paese, che per decenni ha rappresentato il rifugio dorato di narcos del calibro di Jorge Rafaat, Fahd Jamil e soprattutto Luiz Carlos da Rocha, conosciuto come Cabeça Branca, per almeno trent’anni il maggiore narcotrafficante, protetto e invisibile, del Sudamerica. Un Paese, il Paraguay, dove la narcopolitica è talmente radicata che “la democrazia - come disse una volta il senatore Arnoldo Wiens Durksen (ANR-Partido Colorado) - dipende in massima parte dalle attività illecite”, perché “la protezione si retribuisce col finanziamento per le campagne elettorali e questo, per converso, si traduce in immunità (per i narcotrafficanti)”.
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