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Nasce il partito della cultura, liste nelle città per un'Italia delle competenze



Un microscopio e un fascio di note musicali, con un segno grafico che riecheggia la falce e il martello, sopra un fondo bianco, e la scritta “Partito della Cultura”, in fondo blu. Attorno, come una cornice, i colori della bandiera italiana.



Questo il simbolo, già depositato, del “Partito della Cultura” di Alberto Veronesi, noto direttore d’orchestra da sempre impegnato politicamente, che sarà presentato il 14 luglio a Roma, giorno della presa della Bastiglia, con un concerto-manifestazione sulle note della Marsigliese.



La necessità di un partito della Cultura nasce dalla ormai evidente deflagrazione del MoVimento 5 Stelle, il partito che aveva posto al centro del proprio progetto politico l’uomo qualunque, il “buon selvaggio” di Rousseau.



Quella dei Cinque Stelle è stata a suo modo una rivoluzione, sia nella versione rappresentata da Grillo che da quella proposta da Conte. In ogni caso, una rivoluzione destinata al fallimento, e i frutti li stanno vedendo adesso gli elettori pentastellati e tutti i cittadini.



Il problema principale è che si è voluto sostituire al soggetto operaio e contadino, al centro dei vecchi partiti comunisti e socialisti, un soggetto cittadino pre-civile, a partire da una presunta reinterpretazione del filosofo Rousseau, basandosi su un’impostazione dell’”uno vale uno”, che ha portato sia al reddito di cittadinanza - che premia un concetto originario e passivo di cittadinanza – sia soprattutto a una rappresentanza politica rigorosamente priva delle competenze tecniche necessarie per governare, che ha generato tutti quei problemi amministrativi che sono stati sotto gli occhi di tutti nel precedente governo: strade bloccate dai lavori in pieno luglio, problemi di gestione dei trasporti, approvvigionamento di materiali inutili, tipo banchi a rotelle e mascherine inefficaci, città invase dai rifiuti, ministri del lavoro alla loro prima esperienza lavorativa.



I 5 Stelle, a cui va riconosciuto il legittimo e onesto tentativo di imporre un cambiamento alla società italiana, sono stati in passato - e sono tuttora - perfettamente coerenti con le proprie premesse politiche, ma sono proprio queste ad essere sbagliate, e infatti al vaglio della realtà sono tristemente deflagrate, indipendentemente dall’esistenza presente o futura del Movimento.



Ma se il soggetto politico di riferimento non può essere, come sostengono i 5 Stelle, il cittadino qualunque, è altrettanto vero che è cambiato, rispetto al passato, il soggetto protagonista, che oggi non è più l’operaio, se si considera che il capannone industriale, luogo simbolo dello sviluppo economico e della lotta operaia, è ormai sempre più spesso un luogo abbandonato e in rovina.



Lo spazio principale dello sviluppo economico oggi è quel luogo immateriale che si chiama “idea”, ed è nella battaglia senza esclusione di colpi per impossessarsi delle “idee” che oggi si conquista l’egemonia politica ed economica.



Di conseguenza, come un tempo la rivoluzione mirava alla socializzazione dei mezzi di produzione, l’atto rivoluzionario oggi è la socializzazione delle “idee”, e cioè la diffusione capillare e professionalizzata degli strumenti culturali, scientifici e tecnici.



Per questo il Partito della Cultura ritiene che, oggi in Italia, non sia prioritario stipendiare il cittadino in quanto cittadino, ma sostenere e dare un reddito, continuativo e completo, a tutti coloro che, giovani o meno giovani, sostengono con profitto studi regolari di carattere tecnico, scientifico e culturale.



Questo sarebbe il vero atto rivoluzionario.



E ancora, il modello di società cui tende idealmente il Partito della Cultura non è quello improntato a occupare il proprio tempo lavorando, e a studiare solo nel poco tempo libero. Piuttosto è un modello di società in cui prevalentemente si studia e si sviluppa la propria creatività e, in subordine, in un tempo sempre più ridotto, si lavora e si applica quanto appreso, in un contesto produttivo sempre più avanzato, tecnologico e automatizzato, con forti elementi di sviluppo di intelligenza artificiale.



Il Partito della Cultura, quindi, si presenta come degno erede del partito dell’Enciclopedie di Diderot e D’Alembert, e infatti verrà presentato nel giorno della rivoluzione illuminista, e cioè della rivoluzione francese, culminante con la presa della Bastiglia il 14 luglio 1789.



Ma il Partito della Cultura si pone anche come erede dei partiti socialisti di carattere operaio, conscio che la realizzazione di una società pienamente democratica si attua solo espugnando, da parte di vaste masse, il Palazzo del Sapere, proprio quel Palazzo del Sapere che le classi dominanti cercano di rendere impermeabile e inaccessibile.



Reddito universale di studio, diminuzione delle ore di lavoro, creazione di eserciti studenteschi, riforma della Rai in senso culturale, creazione di scuole, accademie, corsi di studio su tutto il territorio nazionale, lotta per la creazione di uffici capillari di orientamento allo studio e alla formazione professionale, politiche attive del lavoro e fine delle politiche passive, obbligo di convertire parte dei profitti delle aziende in borse di studio, investimento nella ricerca scientifica, raddoppio delle risorse nei potenziamento dello spettacolo dal vivo e nei musei, ma anche utilizzo delle più moderne tecnologie per il contrasto alla criminalità, rotazione dei dirigenti nella pubblica amministrazione e merito e terzietà nella selezione della burocrazia, contrattazione aziendale e nuovo patto del lavoro basato sull’art 46 della Costituzione (collaborazione nella gestione delle aziende).



Queste alcune delle battaglie che il Partito della Cultura svilupperà, presentandosi coerentemente con proprie liste già alle elezioni amministrative del 2021, per cominciare a ottobre le assise dei propri Stati Generali.



Da Roma il 14 luglio comincerà la marcia per conquistare la Bastiglia italiana del Sapere. Liberare la cultura per liberare la nostra vita.

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