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Netflix vs Europa: più produzioni europee, ma le librerie avranno molti meno titoli


A poco meno di un anno da adesso, Netflix e altre piattaforme simili come Amazon Prime Video potrebbero essere obbligati dall’Europa ad aumentare i costi degli abbonamenti e apportare enormi modifiche alle librerie dei titoli. La vicenda parte dalla Germania dove lo scorso maggio la Corte di Giustizia europea ha respinto le proteste avanzatele dal gigante dello streaming legale americano Netflix. La protesta era indirizzata a una particolare legge imposta dalla Germania che obbliga il colosso a pagare una tassa alla FFA, che si occupa di finanziare il cinema tedesco, nonostante l’azienda non sia tedesca e non abbia sedi o uffici all’interno dello Stato. E’ quindi comunque obbligato a contribuire economicamente al fine di tenere vive le produzioni locali. Tutto ciò ora potrebbe diventare una normativa europea che richiederà agli stati membri dell’Unione di fare qualcosa di molto simile: piattaforme come Netflix, Amazon Prime Video e Sky saranno costrette a pagare dei contributi al cinema locale.

Lo scopo dietro la legge è chiaro: tutelare il cinema europeo per evitare che non muoia soffocato dalle moltissime produzioni americane veicolate nel nostro continente tramite servizi di streaming. Ma ci sono due aspetti della legge che la rendono preoccupante, almeno per il consumatore finale, ovvero noi.

In primo luogo parrebbe di capire che il contributo sia devoluto a livello nazionale, non europeo questo significa che gli italiani pagano per l’Italia, i tedeschi per la Germania e i polacchi per la Polonia a dispetto di quanto sia presente o nota l’industria cinematografica locale.

Inoltre un altro cambiamento riguarda le librerie di prodotti tra cui scegliere che, per effetto di questa legge, rischiano di restringersi o modificarsi notevolmente.

Parlando di Netflix l’Italia si piazza al penultimo posto per il numero di titoli disponibili nelle librerie offerte allo spettatore, con 3080 titoli. Per dare un’idea della differenza con la casa natale della piattaforma, gli Stati Uniti vantano di una libreria di 5480 titoli. Le ragioni che costituiscono così tante differenze sono molteplici, ma vi è soprattutto la questione dei diritti: per Netflix è più semplice portare sullo schermo show autoprodotti rispetto a comprare dei diritti per trasmetterne alcuni, che spesso in Italia sono in mano ai concorrenti.

La legge in questione vorrebbe obbligare i paesi ad avere cataloghi personalizzati come ulteriore misura di tutela delle produzioni locali, in modo che i contenuti nazionali siano presenti da un minimo del 30% sino a un massimo del 40.

Per chiarire quindi se Italia nel 2020, anno entro il quale dovrebbe essere applicata la legge, dovessimo ancora avere la situazione attuale con un totale di 3080 titoli potrebbe aprire la strada a 3 possibilità. La prima e più ovvia è quella di caricare almeno il 30% di film o serie italiani, quindi 930, una cifra pressoché irraggiungibile dalla nostra industria cinematografica. Questo porta alla seconda opzione: rimuovere titoli di produzione d’oltreoceano per raggiungere l’equilibrio con il 30% dei film italiani che si riusciranno a mettere. Ad esempio se ipoteticamente si riuscisse a caricare annualmente 100 titoli di produzione italiana, l’ammontare totale della libreria non supererebbe i 250 titoli.

La terza opzione potrebbe essere quella di apportare una modifica alla legge, ma ascoltando le parole del responsabile europeo Roberto Viola le speranze sembrerebbero sfumare. Viola ha infatti promesso per ottobre un documento che spieghi chiaramente in cosa consista la legge, ma ha anche aggiunto che il voto finale previsto per dicembre sarebbe una pura formalità.

Un paese come l’Italia, che pure ha una grande cultura cinematografica alle spalle, non è in grado di stare al passo con i volumi delle produzioni d’oltreoceano. Per non parlare di altri stati europei come ad esempio la Svezia: come riuscirebbe a coprire il 30% di titoli in una libreria che si aggira anch’essa sui 3000 titoli.

Una notizia a dir poco sconcertante per tutti i consumatori che usufruiscono dei servizi di streaming di queste aziende che potrebbero non metterci troppo a disdire l’abbonamento.


Niccolò Lumini

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