Mai dire mai. Il primogenito dell’ex capoclan Francesco Schiavone, mentre si trovava sotto al regime del 41bis, venti giorni fa ha scritto ai magistrati, inaspettatamente, dal carcere, dichiarando di esser disposto a collaborare con la giustizia.
Una notizia quasi stupefacente, visto che tra i nuovi boss, ovvero quelli appartenenti alla seconda generazione del clan dei Casalesi, Nicola Schiavone aveva la fama dell’irriducibile, uno di quei camorristi che non avrebbero mai accondisceso a trattare con lo Stato. Invece il figlio dell’ex capoclan Francesco Schiavone soprannominato Sandokan, vuole collaborare con la Magistratura e potrebbe così, sin da subito, rivelare una serie di segreti in grado di far vacillare alcune poltrone della politica, quelle ancora sfuggite alle indagini della Dda di Napoli per esempio.
Un pentimento che reca anche un grande peso simbolico, non soltanto pratico. Infatti Schiavone ha già rilasciato le sue prime dichiarazioni ai sostituti procuratori Graziella Arlomede, Fabrizio Vanorio e Vincenzo Ranieri, tutti appartenenti al pool antimafia della Procura della Repubblica di Napoli, incaricata delle indagini sui clan del Casertano, che verificherà ogni sua dichiarazione dal momento che il pentito ha a sua disposizione centottanta giorni, come vuole la legge, per poter rivelare tutto quanto conosce in merito a fatti criminali.
Nicola Schiavone ha preso le redini del clan dal momento stesso dell’arresto del padre, avvenuto nel 1998. Dapprima in maniera non appariscente, poi completamente con “pieni poteri” dalla metà del 2000, fino al alla sua cattura avvenuta nel giugno 2010, quando i poliziotti fecero irruzione nella sua villa-bunker di Casal di Principe, dotata di ogni comfort e protetta da alte mura.
Allora il figlio di “Sandokan” era ricercato per il triplice omicidio di Francesco Buonanno, di Modestino Minutolo e di Giovan Battista Papa. Per questi delitti il primogenito del boss è stato condannato all’ergastolo seguito poi da un altro ergastolo per il duplice omicidio Salzillo-Prisco, avvenuto nel marzo 2009.
Anche i suoi quattro fratelli lo hanno voluto imitare in un percorso di malavita, finendo tutti in carcere tranne uno: Ivanohe, che comunque è stato in cella per un periodo. Tra questi familiari spicca la figura del terzo fratello, Carmine, che dopo l’arresto di Nicola divenne “reggente del clan” per poi finire in ceppi nel 2013. L’ultimo figlio del “padrino” a vedere il sole a scacchi è stato quindi il secondogenito Walter, arrestato nel 2017 al quale è stata contestata l’imputazione di associazione mafiosa.
Non resta che attendere la mole di rivelazioni sull’attività criminale della sua cosca, che il “figlio di Sandokan” rilascerà a breve agli inquirenti campani.
DPF
Comments