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Orvieto saluta "Reno" nel suo Caffè Montanucci il salotto buono della città



Certo, la camera mortuaria al bar non si era mai vista. Ma quel Bar, immenso e anche intimo (come scrive l'avvocato orvietano Fausto Cerulli), bar con libri e sculture del legno di Gualverio Michelangeli, il Caffè Montanucci, salotto di Orvieto e meta di processioni internazionali di turisti, era la "casa" vera di Reno (Nazareno) Montanucci. Imprenditore liberale, colto, ironico, morto poco prima di Natale nella sua (e anche nella mia) Orvieto. Forse sanno più in Giappone o in Francia o in Usa che da noi chi fosse Reno, piccolo, geniale "eroe" della magnifica provincia italiana. Però, uno che negli anni '70 si mise in testa di tappezzare le pareti del Bar con i fogli dei quotidiani fu un precursore. E quindi anche da quelle pareti si poteva apprendere del Vietnam ecc. Forse fu il primo a tagliare i giornali, nel senso letterale del termine, ma solo per divulgarli. Uno spesso liquida ciò che non gli piace come una battuta da bar.


Solo che Reno nel suo "Caffè Montanucci" la battuta "da bar" te la poteva buttar là anche sul castello o sugli affreschi della necropoli di Vulci, in quel territorio etrusco di cui Orvieto era una delle capitali. La sua adorata "Tuscia", tra Umbria e Toscana, come scrive su Orvietonews.it, in ricordo del suo "immenso amico Renny", Gianni Marchesini, giornalista e scrittore, fratello di Anna Marchesini. Cultura e ironia, in fondo credo che il Bar Montanucci sia stato anche un po' l'humus di alcune battute della grande Anna Marchesini e del celebre Trio. Reno, come scrive Gianni Marchesini, era un uomo lieve, sospeso sul parapetto del mondo. Aggiungo: un po' come Orvieto, la città alta e strana (così la definì Fazio degli Uberti) eretta sulla sua Rupe tufacea, come una navicella dalla quale si guarda il mondo che scorre in basso sull'Autostrada del Sole.


Città alta e strana e dalla lieve ironia. Certo, Reno che, come ricorda Gianni Marchesini, risponde da ragazzino discolo ai testimoni di Geova, che suonano alla porta, in puro slang orvietano "Raga' qui non ce serve niente, de testimoni c'è l'emo anche troppi", sembra uno sketch del Trio con Anna. Reno "tremava" per aver partecipato incolpevole a "una strage di lampadine", scrive Gianni. In una delle ultime interviste date ai siti locali Reno dice scherzando (e preannunciano di fatto la sua morte, chissà...) come riporta Orvietolife.it, che magari lui non è Reno Montanucci, "magari colto da un malore", ma solo "il figlio della Rosina", l'adorata mamma, vera istituzione del Bar che un giorno, anni '80, a una signora un po' pettegola e bacchettona la quale protestava contro donne e uomini dai troppi facili costumi rei di fare questo e quell'altro:"Non te preoccupa' cocca, tanto a noi non ce tocca... ".


di Paola Sacchi

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