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Padovani: “Palamara, vittima sacrificale di un rito tribale”

Tullio Padovani, già professore ordinario di Diritto penale alla Normale di Pisa, accademico dei Lincei, Presidente onorario del Partito Radicale.




Professor Padovani, mala tempora currunt per la giustizia. Strapotere delle correnti, scontri fratricidi, innocenti in carcere, processi teleguidati. La riforma Cartabia, votata praticamente dall’intero Parlamento, è il toccasana che serviva?

Un toccasana non direi. E’ una riforma che sicuramente produrrà qualche effetto positivo. Ne avrebbe prodotti molti di più, se avesse potuto attenersi alle linee originali della Commissione Lattanzi, molto più incisive. Sappiamo tutti come è andata. Si è scesi a qualche vistoso compromesso. Il risultato è evidentemente al ribasso. Non so se si debba applicare la massima secondo la quale un compromesso è buono quando scontenta tutti. Non credo che in questo caso possa essere considerato soddisfacente per nessuno, salvo forse per i Cinquestelle, che cantano vittoria sulla prescrizione. E’ un passetto in avanti. Niente di più.

Perché i referendum sulla giustizia, promossi dai radicali, sono uno spartiacque fondamentale?

Possono essere un grande motore di cambiamento. I problemi della giustizia, in estrema sintesi, sono sostanzialmente tre: l’esercizio dell’azione penale, la responsabilità dei magistrati, la separazione delle carriere. E’ inutile continuare a spolpare la mela come se non ci fosse un torsolo che poi resta lì. I processi sono di un numero nettamente superiore alla capacità del sistema. Il sistema non può smaltire tutto ciò che affluisce. Nessun altro Paese prevede, come dogma invalicabile, l’obbligatorietà dell’azione penale. Un’obbligatorietà che inevitabilmente sfocia nell’arbitrio più assoluto. Dal momento che non si possono perseguire tutte le notizie di reato che arrivano sui tavoli delle Procure, alla fine bisogna scegliere. Un potere di scelta che sinora è stato esercitato in modo incontrollabile. Non discuto tanto quello che si è fatto in concreto. Io vedo l’effetto finale. Una massa di reati che non si può perseguire. Non dimentichiamo che il sessanta per cento dei reati sono per questa semplicissima ragione condannati alla prescrizione. L’obbligatorietà dell’azione penale è di fatto l’anticamera dell’arbitrio. La riforma Cartabia su questo punto qualcosa fa. Stabilisce l’ordine delle priorità, ovvero i criteri che devono regolare lo smaltimento dei carichi di lavoro. Questo vuol dire che qualcuno arriva prima e qualcun altro necessariamente mai. E’ insomma un modo elegante per stabilire quello che non verrà trattato perché trattare tutto è impossibile. Il legislatore può e deve fare di più stabilendo in modo verificabile e qualche misura coercibile le modalità dell’esercizio dell’azione penale. I referendum su questo non possono fare niente, perché per modificare la Costituzione è necessaria una legge a maggioranza qualificata.

Sulle altre questioni fondamentali i referendum possono invece scrivere una pagina nuova…

Ogni potere, il cui esercizio, non comporta una vera forma di responsabilità, diventa un potere incontrollato e incontrollabile. Il potere di chi può fare tutto quello che vuole senza renderne conto. I rischi ci sono, come quello di minacciare il giudice di una ritorsione in sede di risarcimento civile per condizionarne le decisioni, ma soluzioni adeguate possono trovarsi. Deve essere una responsabilità civile nei due sensi della parola. Il referendum su questo punto può essere un propellente di proporzioni nucleari. Una bomba atomica.

Rimane la questione della separazione delle carriere…

E’ un punto che non viene digerito facilmente perché è il nocciolo duro del potere giudiziario. Di un sistema in cui l’accusa fa parte della magistratura giudicante. Solo discutere di questa mancata distinzione è mortificante. Nessun sistema al mondo è come il nostro e noi ci vantiamo proprio perché siamo gli unici, perché noi soli siamo perfetti. Non facciamoci ridere dietro. C’è tanto da ridere, ma anche da piangere.

L’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara che ha scoperchiato il vaso marcio della giustizia italiana nel Sistema, il libro intervista di Alessandro Sallusti, ha deciso di candidarsi alle elezioni suppletive per la Camera dei Deputati nel collegio di Roma Primavalle. Condivide la sua scelta. Palamara deputato potrebbe essere una chance in più per risollevare le sorti di una giustizia malata nel profondo?

Non mi permetto di stabilire che cosa una persona debba o non debba fare nell’esercizio dei suoi diritti legittimi. La candidatura di Palamara è assolutamente legittima. Io posso solo esprimere un’opinione personale. Palamara è stato visibilmente trattato come un capro espiatorio. Su di lui si è voluto celebrare un rito purificatorio, come se attraverso il suo sacrificio esemplare l’intero ordine giudiziario potesse riscattarsi. Un meccanismo viziato, fraudolente, anche, se vogliamo usare questa parola, criminoso, solo perché c’era lui. La rete era, invece, con tutta evidenza, molto ma molto più vasta. Non si può, però, dire che Palamara fosse estraneo a questo meccanismo. Lui stesso ha ora mutato radicalmente le proprie opinioni e io ne prendo atto con grande soddisfazione. Come radicali, lo abbiamo accolto più che volentieri. Io dico sempre, però, che Fra Cristoforo si riscatta, diventa un sant’uomo, ma non diventa Papa. Detto questo, Luca Palamara ha tutto il diritto di candidarsi. Se poi riuscirà a diventare deputato non dipenderà dal professor Padovani, ma dagli elettori. E io da cittadino e da radicale mi inchinerò davanti alla loro scelta.


di Antonello Sette

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