Padre Ripamonti, la maggioranza degli ucraini, che arrivano in Italia, in fuga dalla devastazione e dal rischio di morte, non si sentono rifugiati politici, ma sfollati. La loro speranza è di tornare il più presto possibile nella loro patria e, se le bombe non le avranno distrutte, nella loro casa. Questa diversità ha comportato problemi specifici nell’organizzazione dell’accoglienza?
In questo momento il nostro sistema organizzativo sta cercando di reperire dei posti soprattutto di accoglienza diffusa. Effettivamente, come lei ha detto, sperano di ritornare al più presto in patria. Non a caso, la maggioranza di loro si è sistemata presso connazionali, che hanno messo a loro disposizione spazi provvisori. A mano a mano che passano i giorni, si stanno, però, sempre di più rendendo conto che la devastazione in atto imporrà tempi di permanenza prolungati e che la loro speranza di un percorso immediato all’incontrario sta pian piano svanendo e molti stanno già cercando soluzioni meno precarie e provvisorie.
A chi si rivolgono?
Alle istituzioni e a tutte le realtà del terzo settore. Noi stiamo, giorno dopo giorno, cercando di capire come poterle concretamente aiutare.
Quante persone stanno cercando di aiutare a trovare una sistemazione più stabile di quella, spesso di fortuna, offerta dai loro connazionali?
I dati ufficiosi parlano di oltre diecimila persone, che già sono arrivate a Roma. Tremila di loro hanno già chiesto un permesso di soggiorno temporaneo. Le altre settemila sono ancora in attesa di capire quello che sarà nell’immediato il loro destino. La metà dei diecimila ucraini arrivati a Roma sono bambini. Una buona parte di loro è già stata inserita nel nostro sistema scolastico. Altri bambini, nella prospettiva di un ritorno in Ucraina, stanno cercando di portare avanti il loro percorso di studio con la didattica e l’apprendimento a distanza.
La fondazione “Alleanza Nazionale” invierà alcuni bus per trasportare gli sfollati ucraini in Italia. Il senatore Ignazio La russo ha, a questo proposito, detto che, se le persone hanno la tua stessa cultura e la tua stessa religione, l’accoglienza viene naturale, riproponendo di fatto la distinzione fra profughi veri e falsi, buoni e cattivi. Non trova che rischiamo di trovarci di fronte a una sorta di razzismo umanitario?
Per noi non esistono rifugiati veri e falsi, di serie A e di serie B. Chi scappa dalla violenza e dalla guerra è, indipendentemente dalle problematiche legate al suo territorio, è a tutti gli effetti una vittima. L’articolo 10 della nostra Costituzione, che riconosce il diritto d’asilo per tutti quelli che scappano da un Paese in cui sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche. Non si esistono rifugiati veri o falsi. Quello che conta è il motivo per cui arrivano da noi.
Quanto la fanno arrabbiare le distinzioni dettate, temo, solo da un tornaconto politico?
Purtroppo le persone troppo spesso parlano di cose che non conoscono in profondità. E’ ancora una volta la disinformazione, o l’informazione strumentalizzata, a orientare le opinioni e le scelte, piuttosto che la conoscenza profonda di fenomeni che sono anche complessi. C’è, ad esempio, chi scappa per una serie di motivi che accomunano la stessa persona. Magari inizialmente scappo dal mio territorio perché la desertificazione mi ha privato di ogni fonte di sostentamento e poi sono costretto a rimettimi in marcia perché il Paese dove sono arrivato è dilaniato dalla guerra. E’ sempre più difficile trovarsi di fronte a persone che scappano dalla loro terra per un unico motivo.
Quanto è importante per voi la vicinanza di Papa Francesco?
Sin dall’inizio del suo pontificato Papa Francesco è stato sempre vicino ai migranti e alle persone in fuga. Il suo primo viaggio in assoluto fu a Lampedusa, dove pregò per le vittime del Mediterraneo, per tutti che scappando trovano la morte in mare. Da subito lo abbiamo sentito particolarmente vicino. Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, i suoi appelli contro l’uso delle armi e la guerra dipingono l’orizzonte che dovrebbe caratterizzare questo nostro mondo. Un mondo in pace, senza disuguaglianze e senza armi.
di Antonello Sette
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