Ciriaco De Mita ha detto che i partiti stanno usando la Presidenza della Repubblica, ovvero l'organo di massima garanzia costituzionale, per scaricare le tensioni politiche. Pensa che il ruolo costituzionale della suprema carica dello Stato rischi di venire ridimensionato dalle beghe fra i grandi elettori?
Che sull’elezione si stiano scaricando le tensioni politiche esistenti tra i partiti e dentro ogni partito è sotto gli occhi di tutti. Non è la prima volta. Non sarà l’ultima. Inevitabile, come quando è in gioco una scelta di questo rilievo, lo è ancor di più in un passaggio nel quale l’assemblea elettorale è così frammentata e divisa.
Con i capi elettori più che mai concentrati in modo palese sul destino del loro partito, e i parlamentari proiettati sul voto, il proprio, che nel segreto potrebbe decidere del personale futuro. Altro che piccole beghe.
Una Assemblea così frammentata e divisa, è chiamata più che mai a una scelta che, con uno spirito il più unitario possibile, guardi al futuro del Paese e soltanto ad esso.
Una chiamata che in questo passaggio è rafforzata, sino al punto di farsi quasi imperiosa, dalla necessità che la condotta di governo corrisponda alle attese alimentate all’interno e agli impegni presi all’esterno che sono alla base del PNRR.
Una condotta che, come in questo anno di Governo Draghi sia garantita dall’azione coordinata del Presidente del Consiglio e di quello della Repubblica.
ll ministro leghista dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ha auspicato che Draghi, una volta eletto alla Presidenza della Repubblica, continui a fare anche il Presidente del Consiglio. Una sorta di Draghi double face. È questa una prospettiva surreale o il tentativo concreto di dare vita a un semi-presidenzialismo di fatto?
Guardi in un assetto istituzionale che alcuni costituzionalisti definiscono “parlamentare a correttivo presidenziale”, a partire dalla norma costituzionale che affida al Presidente della Repubblica la “nomina” del Presidente del Consiglio, da tempo si è affermata nei comportamenti una tendenza che avvicina sempre più la nostra architettura ad una Repubblica di fatto semi-presidenziale. Ripeto “di fatto”.
Giorgetti si è preso la di mettere a verbale che questa volta al centro della scelta non sta tanto il nome del Presidente ma la funzione della Presidenza.
Giochiamo insieme. Come finirà? Chi salirà al Quirinale? Draghi? Una donna, come chiedono in tanti, da ultima in ordine di tempo Rosy Bindi? Berlusconi?
No. Non scherziamo. Il gioco sta durando anche troppo.
Ormai è chiaro che la scelta è tra un Presidente che goda del massimo del consenso ed uno che raccolga il minimo dei dissensi.
Di mio posso solo aggiungere che in questo momento l’Italia ha bisogno di un Presidente col profilo del primo.
di Antonello Sette
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