Carlo Calenda ha molti difetti e pochi pregi. Tra questi ultimi c’è, di sicuro, il dono della schiettezza. Sono due giorni che i suoi post (oggi era un video) fanno rumore, dentro un Pd terremotato dal ‘caso Lotti’ quanto dal ‘caso Segreteria’. Il secondo, quello di oggi, è il più fresco, in quanto a oggetto di polemica e pure in quanto a post di Calenda, che scrive: “Siamo al giorno della marmotta, siamo a dove era il Pd prima del 4 marzo, ricominciando daccapo con divisioni assurde non sulle politiche, sui cui fondamentali siamo d’accordo, ma sulle cavolate. Ci sono due eventi che hanno determinato questa implosione: il caso Luca Lotti sul cui comportamento io sono stato chiaro e ho reputato inaccettabile perché non aveva alcuna delega per occuparsi del Csm e il caso della segreteria che non ha funzionato ed evidentemente è stato un colpo mancato”. Calenda definisce, con intelligente perfidia, il Pd “un kindergarten (letteralmente vuol dire “giardino d’infanzia”, ma per le famiglie benestanti come la sua, ndr.), un asilo”. “Ora - continua l’europarlamentare neo-eletto nelle liste del Pd e a capo del movimento “Siamo europei” - Paolo Gentiloni chiami tutte le componenti, facciano il sacrosanto favore di sedersi e costruire un governo ombra tosto, allargato a persone fuori del Pd e un programma”. Nel primo post, quello di ieri, non era stato meno tenero: “Facciamola finita con questo cazzeggio. E quando vince Renzi lo sabotano da sinistra e quando vince Zingaretti si incazzano gli altri. Che palle, ‘sto partito. Ma andiamo a fare opposizione! Basta. Zingaretti senta Renzi, Giachetti, Martina, etc. e troviamo una soluzione”, dice l’ex ministro. Ora, al di là del fatto che, a Calenda, le ‘cene per farli conoscere’, di solito riescono malissimo, ha ragione, ma è la ragione del neofita che, del Pd non conosce, le nuances. Un partito, il Pd, di fatto, a rischio scissione conclamata.
Matteo Renzi tace, ma è gonfio di ira, per la messa al bando del 'suo' Luca (Lotti), e pensa solo a costruire i suoi ‘Comitati civici’, da tempo in mano alle amorevoli cure di Ivan Scalfarotto, Sandro Gozi ed Ettore Rosato (tutti e tre ancora, formalmente, nel Pd. Ormai, la possibilità che i destini si separino, tra zingarettiani e renziani (tutti, ex e pasdaran) si fa ogni giorno che passa più concreta. Domani, la Direzione dem, già convocata, sarà una vera resa dei conti.
La polemica, nel Pd, ha superato il livello di guardia
Certo è che la polemica interna, nel Pd, ha superato ampiamente il livello di guardia. In teoria, il dibattito verte sul “rapporto tra politica e giustizia”, ma in pratica è su Lotti, autosospesosi dal partito, dopo le rivelazioni sul ‘caso Csm’ e pesantemente attaccato da esponenti di rilievo del Pd di Zingaretti (vedi alla voce: Luigi Zanda) e da intellettuali esterni al Pd, ma molto legati ad esso (il filosofo Massimo Cacciari, l’ex magistrato Gianfranco Carofiglio, manca solo, all’appello, Roberto Saviano…).
I renziani partono lancia in resta contro Zingaretti e la “caccia alle streghe” che sarebbe partita, dentro il partito, attaccando “l’insopportabile giustizialismo del nuovo Pd di Zingaretti”. Questo è anche quanto emerge dall’assise nazionale dei pasdaran, la mozione “Sempre Avanti!” di Giachetti e Ascani che si è tenuta, per due giorni, ad Assisi, tra i fuochi d'artificio, e che si è chiusa ieri.
Il ‘taglia fuori’ ai renziani nella segreteria di Zingaretti
Zingaretti – arcistufo dei continui attacchi ricevuti dai renziani, nonostante abbia cercato, a lungo, di non ‘infierire’ su Lotti (cosa che, invece, Luigi Zanda ha fatto) – decide, a metà pomeriggio di sabato, dulcis in fundo, la nomina della sua nuova segreteria politica e dei vari Dipartimenti e aree tematiche. Segreteria che - dopo essere rimasta ferma ai box per mesi, e cioè dal giorno della sua elezione, proprio nel tentativo di aprire un canale di dialogo con le minoranze (soprattutto con la corrente “Base riformista” capitanata, da Lorenzo Guerini e Lotti) - si risolve in un ‘tutti dentro’ per i fedelissimi del leader (area Zingaretti, come area Orlando, Cuperlo e Martina) e un ‘tutti fuori’ per tutti gli altri, cioè per i renziani.
Il coordinatore della nuova Segreteria è Andrea Martella (area Orlando, epurato da Renzi alle Politiche del 2018), la ex ministra Roberta Pinotti va alla Sicurezza, Enzo Amendola agli Esteri, la fassiniana Marina Sereni agli Enti locali, Stefano Vaccari (sindaco del modenese) all’Organizzazione (reparto cruciale), il romano Roberto Morassut ha la delega alle Periferie, Nicola Oddati al Mezzogiorno, Chiara Braga all’Ambiente, Andrea Giorgis alle Riforme istituzionali, Maria Luisa Gnecchi al Welfare, Camilla Sgambato alla Scuola, Antonella Vincenzi alla Pa, Rita Visini al Terzo settore-non profit.
A Maurizio Martina il compito di ‘studiare’ la riforma del nuovo Statuto del Pd e Gianni Cuperlo presiederà la nuova Fondazione dem, pur se ancora priva di nome.
Vengono riconfermati i due capigruppo di Camera (Graziano Delrio, ex renziano, ora con Martina) e Senato (Andrea Marcucci, renzianissimo) e, ovviamente, il tesoriere dem, Luigi Zanda, e il presidente del partito, l’ex premier Paolo Gentiloni, cui peraltro Zanda è legatissimo.
Completano il quadro della nuova Segreteria due vicesegretari in pectore da mesi: Paola De Micheli (ex lettiana, coordinatrice della mozione congressuale di Zingaretti) e Andrea Orlando. In tutto, otto uomini e sette donne, tutti/e della maggioranza, tranne il 'povero' Martina, ‘lassato solo’ dalla minoranza renziana che lo ha ripudiato.
A completare la squadra di Zinga mancano solo la responsabile nazionale delle donne dem, che sarà eletta in un'apposita assemblea (di donne), e il responsabile dei Giovani democratici (idem). Ma alcuni ‘giovani’ (maschi) - che, di fatto, 'non' stavano nel Pd - come Peppe Provenzano (area LeU), che si occuperà di Politiche del lavoro ed è stato l’animatore del movimento “Sinistra anno zero”, dopo aver rinunciato a correre alle Politiche del 2018 in aperto contrasto e dissenso con Renzi, accusato di “gestione padronale” del partito, e Marco Furfaro (area Boldrini, non iscritto al Pd) - assurgono a ruoli di responsabilità e di comando. L'offerta di Zinga di ‘aprire’ alle minoranze, almeno a quella dei renziani ‘dialoganti’ (l’area di Lotti e Guerini) diventa così carta straccia. E a poco serve, da parte del segretario, mettere l’ex renziano – nonché riconfermato sindaco di Bergami - Giorgio Gori a capo del Forum degli amministratori locali o assicurare che, nei Dipartimenti saranno previsti posti alle minoranze.
“Scelte provocatorie, sembra il Pds” dicono i renziani
“Scelte provocatorie”, quelle della nuova Segreteria, le bollano i renziani, ormai tutti uniti e dove, anche dentro Base riformista, sanno di stare per finire ‘schiacciati’ sulle posizioni oltranziste di Giachetti&co. “Il nuovo Pd non esiste, sembra il Pds di Occhetto” tuonano i renziani, Andrea Marcucci in testa, mentre Sandro Gozi, molto vicino a Renzi, e coordinatore dei Comitati civici, spiega che “bisogna costruire qualcosa di più ampio, oltre il Pd”. Martedì, in Direzione nazionale dem, se ne vedranno delle belle. I renziani, di fatto, si preparano ad andarsene? La domanda resta aperta, e Zingaretti prova a correre i ripari.
I renziani, assai acidi, ricordano a Zingaretti, in merito alla composizione della nuova Segreteria, “il Pds di Occhetto” o “i Ds di Fassino” e, ovviamente, “la ‘Ditta’ di Bersani”. Gli zingarettiani, dopo aver morso il freno e mangiato polvere per anni (“Pane e cicoria” avrebbe detto Rutelli), non vedevano l’ora di rendere pan per focaccia “a quelli della Margherita” (partito da cui proveniva Rutelli, ma anche Renzi e tutti i suoi), per non dire del PPI che fu, il partito di Castagnetti, Marini, Franceschini e… Mattarella. Divisioni e rancori che si perdono nella notte dei tempi. Pezzi di partito diversi e distanti che non si sono mai fusi.
La maledizione di D’Alema (“Il Pd è un amalgama mal riuscito”), l’insofferenza per Prodi e Veltroni (“due flaccidi imbroglioni”, copyright sempre di D’Alema), l’odio profondo e sordo per la calata degli hyskos, i renziani del ‘giglio magico’, che si appropriarono di un partito, il Pd, e di un luogo, il Nazareno, operazione legittima ma che “gli altri” (gli eredi, alla lontana, della tradizione post-comunisti) hanno vissuto come una vera “usurpazione” come ha dimostrato la scissione di Bersani&D’Alema che hanno deciso di ‘tornare a casa’ solo quando, appunto, Renzi è stato disarcionato e, nel Pd, ha vinto Zingaretti. Il Pd, appunto, si dimostra quello che è: un partito mai nato.
Ma ora, dentro il Pd, tutti i nodi vengono al pettine…
Oggi, però, complice il ‘caso Csm’ e, soprattutto, il ‘caso Lotti’, tutti i nodi vengono al pettine e il Pd si dimostra per quello che, in realtà, è da molti anni: un partito terremotato, diviso, intriso di odi, rivalità e vendette (alcune ataviche), dove tutti, maggioranza e minoranza, si marcano a uomo.
Archiviata – si fa per dire – la questione Lotti con la difesa appassionata e per nulla d’ufficio – di tutti, ma proprio tutti - i renziani di ogni grado, appartenenza e lombi di renzismo, la polemica – ad alzo zero, tanto per cambiare – si sposta sulla ‘fisiognomica’ della nuova segreteria di Zingaretti. L’occasione è la convention nazionale della mozione “Sempre Avanti”, guidata da Giachetti e Ascani. che ha chiuso i suoi lavori ad Assisi con i fuochi d’artificio. Vi convergono anche alcuni esponenti del renzismo che, in teoria, non ne fanno parte. Il deputato Ettore Rosato, oggi impegnato a costruire i Comitati civici di Renzi, prima usa l’ironia (“Scelta legittima di Zingaretti, la Segreteria, costruita a immagine del Pd che vuole”), poi affonda: “Se partiamo dal principio che la politica richiede leadership, dico che di leadership in giro se ne vedono tante, ma di quelle che muovono il Paese ne ho vista una sola” (e qui intende, ovviamente, il convitato di pietra, Matteo Renzi).
L’ex ministro Maria Elena Boschi, invece, frena: “Dentro il Pd ci sono tante anime che speriamo possano essere ascoltate e valorizzate. Il nostro segretario ora è Zingaretti, rispettiamone il lavoro, ma ci aspettiamo proposte nuove”.
I renziani pasdaran preparano le valigie
La tocca piano, da par suo, la Ascani: “Ci dipingono come il passato e fa ridere. Fa molto ridere. Zanda è il futuro e io e gente di 30/40 anni come me il passato. Le comiche. Chi pensa di superare il passato recente recuperando il passato remoto è un pazzo. A noi tocca recuperare la spinta (Renzi, ndr.). Il problema della rottamazione è non averla fatta”. Chiude, però, Giachetti, in versione stranamente soft: “E’ stato frainteso il senso di un post ironico su Instagram in cui prendevamo le distanze sulle nomine della segreteria. Da parte nostra non c’è stata nessuna irritazione per l’esclusione perché frutto di una scelta consapevole”.
Ma il problema, ovviamente, non è un post su Instagram, ma quella che, nel Pci, si chiamava “la linea politica”. Marcucci ha parlato di “deriva identitaria” (cioè del vecchio Pci-Pds-Ds), Alessia Morani del “più potente esercizio di bullismo correntizio dalla nascita del Pd”. Già, peccato che Renzi, quando disse ai suoi renzianissimi ‘andiamo a comandare’, fece esattamente come Zingaretti, se non peggio. La verità è che il Pd è un partito già finito perché, forse, mai nato. Prima o poi le strade di Zingaretti da un lato e di Renzi e i suoi dall’altro si divideranno. Con matematica certezza alle future Politiche, forse pure prima. Anche perché se, oggi, il grosso delle truppe parlamentari è fedele – ancora? – a Renzi, domani – quando Zingaretti compilerà le nuove liste per le Politiche – non lo sarà più.
di Ettore Maria Colombo
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