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Pecoraro Scanio: “La politica non sia pavida sul clima. Rischiamo l’estinzione della specie umana"

Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione Univerde, già ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura




Pecoraro Scanio, il rapporto pubblicato ieri dall’ICCP, l’organismo dell’Onu che valuta i cambiamenti climatici, ha lanciato l’allarme rosso. Il tempo è scaduto. La catastrofe è in corso…


L’emergenza climatica è peggiorata in modo drammatico negli ultimi tempi. Nel 2019 ho promosso una petizione con centomila firme chiedendo al Parlamento italiano di dichiarare lo stato di emergenza climatica. C’è stata una risposta prima del Comune di Roma e poi del Parlamento ma, mentre la Sindaca Virginia Raggi ha elaborato un piano strategico, il Parlamento non ha dato nessun seguito operativo alla dichiarazione d’intenti. L’attuale Governo ha addirittura riaperto alle trivellazioni di idrocarburi. Una plateale dimostrazione della distanza che separa il dire dal fare. Come si può dire che si vogliono ridurre le emissioni di Co2 e poi autorizzare investimenti per nuovi combustili fossili, dimenticando che le emissioni di Co2, come è scritto peraltro anche nel Rapporto Onu pubblicato ieri, andrebbero quantomeno dimezzate nei prossimi dieci anni.


Le catastrofi ambientali vengono sempre da lontano. Quando era ministro dell’Ambiente aveva lanciato l’allarme?


Nel 2007 fu presentato un Rapporto dell’Onu che già conteneva delle previsioni drammatiche. Quel Rapporto, molti lo avranno dimenticato, vinse il Premio Nobel per la pace. Era il primo Rapporto che riconosceva la causa antropica dei cambiamenti climatici. Io, come ministro dell’Ambiente, convocai a stretto giro nel mese di settembre presso la Fao la più la più grande conferenza sul clima mai organizzata in Italia, in cui fu stabilito un piano non solo per la riduzione delle emissioni, ma anche per l’adattamento perché, anche se domani noi smettessimo per incanto di utilizzare combustibili fossili, i cambiamenti climatici continuerebbero a essere molto rilevanti nei prossimi dieci, venti, forse anche tenta anni. Gli incendi e le alluvioni di questi giorni dimostrano che il clima è già cambiato in una direzione catastrofica. Noi chiediamo che si esca subito dalle combustioni fossili per scongiurare il rischio dell’estinzione della specie umana.


Forse è per questo che Draghi ha istituito il ministero della Transizione ecologica. Poi, però, si invocano le ragioni dell’economia che suggeriscono prudenza…


Oggi a parole è tutto ecologico, ma è evidente che per cambiare veramente le cose, non si può pensare di non scontentare nessuno. Io ebbi il coraggio di scontentare i petrolieri, finanziando nel contempo gli investimenti per l’energia solare. Subii allora, come ministro dell’Ambiente, attacchi furibondi. Non si può parlare di transizione ecologica senza spiegare ad alcuni settori produttivi che devono avviare in tempi rapidissimi una riconversione totale, magari con qualche aiuto da parte dello Stato. Ci vogliono scelte radicali, non cerchiobottiste. Non c’è spazio per un pragmatismo peloso. Anzi è proprio il pragmatismo a imporre un’accelerazione immediata perché è pragmatico dire che noi non vogliamo l’estinzione della specie umana. Non è ideologia, ma la drammatica realtà.


Il tempo è scaduto è scritto nel Rapporto dell’Onu. Ci sarà finalmente una reazione adeguata o si farà ancora finta di niente?


Purtroppo anche al recente G20 di Napoli sono state fatte affermazioni a cui non sono seguite scelte adeguate. La sensazione è che in questo momento la politica sia, prima ancora che miope, ipocrita. Si dice che si vuole fare, ma poi le decisioni non sono coerenti. Io dico che siamo obbligati al cambiamento. Sembra, invece, ancora un percorso verso l’inferno lastricato di buone intenzioni. E il fuoco, e non solo il fuoco, di questo periodo, evoca l’inferno anche da un punto di vista fisico. La Corrente del Golfo sta collassando. Sembra diventare in prospettiva una possibilità reale quello che si vedeva a livello fantascientifico nel film “L’alba del giorno dopo” con la glaciazione del Nord Europa. E’ uno sconvolgimento climatico drammaticamente pericoloso, di fronte al quale la politica è ipocrita e falsa perché ha paura.


Senza distinzioni?


Le distinzioni ci sono sempre, ma sostanzialmente c’è dappertutto poco coraggio. Quello che emerge di interessante non a caso non viene dalla politica. Una parte del mondo economico e finanziario intuisce che il collasso climatico può produrre una drammatica crisi economica. Lo dico provocatoriamente. Il mondo della finanza, quando sente parlare di estinzione della specie umana, non può non considerare a livello tema di programmazione la possibilità dell’estinzione anche dei profitti. Accade, quindi, che non per motivi ecologici, ma strettamente economici, in molti stiano disinvestendo sulle miniere e sulle centrali di carbone. Io spero che i finanziamenti e le risorse destinate all’utilizzazione dei fossili si estinguano presto del tutto e dappertutto.


Il rischio immediato quale è?


Il rischio nasce dalla mancanza di un piano operativo. Manca anche la giusta consapevolezza. Quello che sta accadendo in questi giorni era largamente previsto. Io avevo lanciato un appello già ad aprile chiedendo il rafforzamento di tutte le misure di prevenzione e di protezione. Avremo ancora incendi, alluvioni e bombe d’acqua, ma non c’è al momento nessun piano attivo per la riduzione dei danni. A questo quadro apocalittico va aggiunta per completezza la scelta scellerata di Matteo Renzi, quando decise di far confluire il Corpo forestale dello Stato in quello dei carabinieri. Un’Arma prestigiosa, che si occupa, però, soprattutto del contrasto al crimine e che naturalmente spero arresti tutti gli incendiari. Serviva e servirebbe ancora, però, quel Corpo dello Stato che aveva una storica conoscenza del territorio e delle pratiche agroforestali. Un patrimonio insostituibile, compromesso da una decisione demagogica e senza senso.


di Antonello Sette

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