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Pensioni, tutti i trabocchetti delle nuove norme



Avrebbero dovuto mettere fine all’odiosa legge Fornero e invece, stando a quanto emerso finora, le nuove norme non sono poi così vantaggiose. Innanzitutto l’uscita anticipata con quota 100. Chi ha raggiunto i requisiti, ovvero 62 anni di età e 38 anni di contributi (per un totale di 100) prima di poter lasciare il lavoro dovrà aspettare l’apertura di una delle quattro finestre che il governo fisserà il prossimo anno per le uscite anticipate. La soluzione non è obbligatorio perché chi ritiene sia più vantaggioso il vecchio sistema Fornero può continuare a restare al lavoro. Facile? Non del tutto. Per uscire bisogna avere come requisito di base 38 anni di contributi. Questo significa che chi non è arrivato ancora a questo traguardo ma ha 62 anni, deve aspettare. In questi casi la quota non sarà più 100 ma salirà con l’aumetare dell’età anagrafica per arrivare al limite dei 38 anni di servizio. Si avrà pertanto quota 101, 102 e così via.

Altro punto dirimente per chi sceglie di uscire prima, è l’ammontare della pensione. L’agevolazione non è a costo zero. L’Inps ha calcolato, ma ognuno può farsi i conti da sè, che si verrebbero a perdere circa 500 euro pari a cinque anni in meno di lavoro che corrispondono ad altrettanti minori versamenti di contributi. Non dimentichiamoci che con il sistema contributivo la pensione è calcolata sul montante dei versamenti effettuati. Rinunciare al 21-25% non è poco.

Altra considerazione è che le aziende, proprio in virtù della possibilità di far uscire anticipatamente i propri dipendenti, non esiterebbero a spingere verso la finestra anche chi non ha affatto intenzione di lasciare prima, proprio per non rinunciare ad un assegno più consistente.

Altra criticità della riforma è che lascia a terra le donne. Nel senso che si limita a riproporre “l’opzione donna”, che consente alle lavoratrici con 58 anni, se dipendenti, o 59 anni, se autonome, e 35 anni di contributi, di andare in pensione. Anche in questo caso c’è un costo. A chi aderisce a questa soluzione, l’assegno è calcolato esclusivamente con il metodo contributivo. Sono numerose le donne che hanno un sistema misto (contributivo e retributivo, più vantaggioso) e per queste la perdita è innegabile e sostanziosa.

Non finisce qui perché, siccome la quota 100 è costosa, il governo starebbe pensando a fonti di entrata proprio dalle pensioni. Allo studio ci sarebbe l’ipotesi di bloccare la rivalutazione delle pensioni per gli assegni superiori ai 2.500 euro. Questo meccanismo noto come perequazione, consente di proteggere gli assegni previdenziali dal caro vita. La riforma Fornero ha introdotto regole più penalizzanti per la rivalutazione che però si concluderanno il prossimo dicembre. Dal 1 gennaio 2019 tutto dovrebbe tornare come era prima e di conseguenza ci dovrebbe essere il ripristino delle precedenti percentuali, contenute nella legge 388/2000 che porterà a un piccolo aumento. Il condizionale però non è casuale perché il governo starebbe pensando di bloccare la rivalutazione delle pensioni per gli assegni superiori ai 2.500 euro.

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