"Sono la cambiale che lo Stato italiano deve pagare per l'avvenuta consegna di Cesare Battisti. Il Brasile ha consentito la cattura dell'ex terrorista rosso e adesso l'Italia deve cedermi al presidente Bolsonaro". Parla tramite uno dei suoi legali l'imprenditore italo-carioca Renato De Matteo Reginatto, 37 anni, cittadino italiano, che si esprime in perfetto portoghese, sposato con una brasiliana. Ancora non si è capito se è un Paperone de' paperoni o un truffatore dei due mondi. È distante dal Brasile dov'è finito al centro di una mega-vicenda giudiziaria per una presunta astronomica truffa da circa 1,3 miliardi di dollari versati nei fondi pensionistici in 28 città di sette Stati e poi spariti. Un mega-raggiro che avrebbe fatto piangere folle di risparmiatori con annesso ipotetico riciclaggio che sarebbe andato avanti dal 2012 al 2016. Tempo fa mister Renato è sbarcato negli Stati Uniti. Le autorità dicono che abbia fatto il nababbo investendo palate di soldi in barche, immobili a New York, Miami, Boston e in altri affari. Ne hanno parlato i giornali brasiliani e perfino l'affollata Comunità italiana. E proprio in Italia comincia l'altra storia dell'imprenditore. A febbraio, a Roma il manager viene arrestato su ordine delle autorità brasiliane. Con tutte queste accuse pare un epilogo scontato. Eppure, la stessa magistratura d'Oltreoceano che lo ha voluto dietro le sbarre appare contraddittoria. Si pronuncia su di lui più volte, a distanza di pochi giorni l'una dall'altra, definendo Reginatto una volta reo e la successiva estraneo alla vicenda penale. Un serie di carte bollate che per l'avvocato Alexandro Maria Tirelli, uno dei suoi legali, rappresenterebbe "un vero e proprio oltraggio del diritto internazionale" e rivelerebbe altro. Il manager - è il pensiero del legale - è la contropartita di una di trattativa tra i due Stati. Un patto non scritto che avrebbe messo fine a oltre trent'anni di fuga dell'ex super latitante ricercato per quattro omicidi commessi (poi confessati) nel Belpaese alla fine degli anni 70. Le ultime mosse di Battisti lo dimostrerebbero: cacciato dal Brasile, accolto dalla Bolivia, ammanettato dai nostri Servizi.
"COLPEVOLE", "INNOCENTE": L'ALTALENA DELLA GIUSTIZIA D'OLTROCEANO
Stando alla ricostruzione della difesa, al presunto scambio Battisti-Reginatto si arriverebbe attraverso un groviglio di atti giudiziari, "la prova - secondo Tirelli - della persecuzione di cui è vittima l'imprenditore, priva di ogni fondamento legale". In sostanza, la giustizia sudamericana prima accusa Reginatto, poi revoca l'arresto. Torna a chiedere la sua estradizione e un'altra volta lo cancella dalla lista dei ricercati. Sembra la tela di Penelope: si fa e poi si disfa. La giustizia italiana è tira in ballo. Il 12 febbraio di quest'anno a Roma, su mandato della Corte federale di San Paolo (Brasile) i magistrati arrestano l'imprenditore per truffa. Due giorni dopo lo scarcerano. Il 18 del mese altra richiesta di estradizione da San Paolo. Quarantott'ore dopo l'Appello della Capitale procede ma con misure lievi: obbligo di firma e ritiro dei documenti d'espatrio. Altra corsa. Il 19 marzo il Tribunale regionale federale brasiliano revoca l'ordine di carcerazione di due mesi prima, cancella Reginatto dalla lista rossa dei cattivi da catturare e la Corte d'appello brasiliana pronuncia nei suoi confronti il non luogo a procedere riferito all'arresto spiccato il 18 gennaio 2019. Ora il nuovo evento. È la richiesta di estradizione della Procura brasiliana di Minas Gerais sulla base del mandato di arresto dell'8 novembre 2018 per un fatto già trattato dal Tribunale federale della sezione giudiziaria di San Paolo. Tanti provvedimenti penali che potrebbero giustificarsi con i tanti procedimenti aperti in città di Stati diversi del Brasile contro Reginatto "ma assolutamente ingiustificati - continua Tirelli - perché una persona non si può giudicare due volte per lo stesso reato".
L'APPELLO AL MINISTRO ITALIANO
Attualmente Renato De Matteo Reginatto è a Roma. È indagato, sottoposto all'obbligo della firma. Non si fa vedere. Non risponde a domande scritte. Al cellulare replica solo con messaggi di cortesia. Il suo avvocato legale sibila: "Lui è la spina nel fianco del nostro ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Il giorno del rimpatrio di Cesare Battisti all'aeroporto di Ciampino, a Roma - graffia Tirelli - si è fatto vedere ai margini della pista assieme al collega ministro dell'Interno Salvini". A metà aprile il legale ha scritto una lettera al ministro Bonafede per spiegare questa "palese persecuzione politica e giudiziaria che rappresenta un vero e proprio oltraggio ai sacri principi che ispirano il diritto internazionale e lo specifico trattato di cooperazione in materia penale che lega il nostro Paese al Brasile". E conclude alludendo al retroscena. Tirelli fa riferimento alla "sospetta debolezza del Governo italiano nei rapporti con il Governo brasiliano sulla vicenda ora illuminata, che rischia di sacrificare, anche sulla base di recenti e clamorosi episodi di estradizione andati a buon fine, sull’altare dei corretti rapporti bilaterali con il Brasile l’insopprimibile diritto di libertà di un cittadino italiano". Informato sui fatti, il Ministero di Giustizia non ha ancora fornito una sua versione.
di Fabio Di Chio
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