di Michele Lo Foco
Se c’è un metodo antidemocratico, verticistico, umiliante per gli operatori è quello utilizzato dalle piattaforme più importanti, Netflix e Amazon e avallato da Anica e da pochi altri.
Il metodo si chiama algoritmo, che vuol dire “schema o procedimento sistematico di calcolo”. Detto diversamente il prodotto audiovisivo viene immesso in un computer/calcolatore che sulla base delle istituzioni ricevute elabora una risposta che è fedele ai dati immessi nel macchinario. Pertanto non servono né conversazioni né dirigenti ma solo tecnici che provvedono ad aggiornare i dati, creando una sotto/specie di intelligenza artificiale che è poi la controparte del produttore.
L’operatore audiovisivo medio e soprattutto realmente indipendente non ha pertanto alcuna possibilità di trattativa, non parla con nessuno, ma riceve messaggi che gli indicano accettazione o rifiuto del prodotto ed anche le condizioni, prendere o lasciare.
L’algoritmo prevede che non ci sia alcun modo per scavalcare il computer, e pertanto le piattaforme non sono contattabili, non hanno telefoni o sedi certe, non hanno una mail normale, un centralino, un indirizzo di posta.
I capi delle piattaforme, o i dirigenti più elevati, che talvolta sono stranieri e posizionati in altre nazioni, sono raggiungibili solo con un cellulare (che è conosciuto esclusivamente dai vertici della produzione nazionale, che più o meno corrispondono ai vertici Anica), e si concedono esclusivamente, come donne bellissime, solamente a quelli ricchi e famosi.
Con questi ultimi studiano strategie che consentano alla piattaforma di pubblicizzare alcuni prodotti di punta, che servono a trainare centinaia di prodotti prevalentemente modesti che la piattaforma ha raccolto in giro per il mondo e che ha spesso sottotitolato nella lingua del paese ospitante.
Ai produttori indipendenti, quelli veri, non è consentita alcuna trattativa e costoro devono ricorrere agli amici degli amici per individuare qualcuno che abbia un rapporto con le piattaforme meno freddo.
Il governo precedente è stato, insieme al Covid, il miglior alleato di questi colossi multimediali che si sono inseriti serpentescamente nel tessuto dei media grazie alla politica dei prezzi bassi e del prodotto più famoso.
Quale famiglia con bambini, per sei, sette, otto euro al mese, può rinunciare agli spettacoli offerti da Disney?
Quale giovane preferisce la attempata offerta della Rai, ancora basata sul Festival, su Carlo Conti, e la Carlucci invece delle serie infinite di Netflix con Emily in Paris e Mercoledì, che escono da un algoritmo mirato ai ventenni?
Non è possibile certamente oggi opporsi al camino della tecnica, e non v’è dubbio che i cartoni della Disney siano infinitamente più belli dei prodotti nazionali, ma quello che non è tollerabile, ed è sintomatico del grado di corruzione delle nostre strutture, è innanzitutto il fatto che queste major non paghino le tasse in Italia per i loro ricavi, e secondariamente che si pongano nei confronti del mercato, e degli operatori, come strutture fantasma cui non è possibile accedere se non tramite pochi eletti ma pronte a ricevere tutti i benefici statali.
Anche ammesso che i prodotti degli operatori indipendenti siano bruttissimi e intrasmissibili, è diritto di tutti poter proporre e ricevere una risposta, come si conviene ad una organizzazione sociale libera e democratica
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