Puntuale come ogni finale estivo, il dibattito politico è tutto incentrato sulla manovra fiscale che il governo si appresta a portare in Aula. Dopo un braccio di ferro che ha visto protagonisti i due vicepremier e il ministro dell'Economia Giovanni Tria, arroccato in difesa dei diktat di Bruxelles su quel famoso, maledetto 1,6% di rapporto deficit/Pil e dopo lunghe sessioni di confronto con sede a Palazzo Chigi, il governo gialloverde è riuscito all'ultimo giorno utile a partorire la nota d'aggiornamento del Documento di Economia e Finanza contenente i provvedimenti, o almeno parte di essi, sbandierati dalle rispettive forze della maggioranza in campagna elettorale. Braccio di ferro che ha visto spuntarla le due teste pensanti della creatura governativa che, toccando il 2,4%, sono riuscite a inserire quei cavalli di battaglia che dovrebbero dar vita e significato al termine "cambiamento" da sempre accostato alla compagine dell'esecutivo sin dalla sua nascita. Uno sforamento di quasi un punto percentuale che non è ovviamente rimasto inosservato e che ha causato la repentina risposta dei mercati, con Piazza Affari che ha chiuso la prima giornata dopo l'annuncio della nota di aggiornamento del Def con un pesante ribasso e lo spread che è volato salendo di circa trenta punti base.
C'è chi però non si stupisce o spaventa per quelle che reputa ovvie conseguenze al cambio di marcia imposto dall'esecutivo in campo economico e analizza la situazione da un punto di vista più ampio, andando a ricercare i motivi che hanno posto in essere una situazione di tale incertezza che non si riduce nel semplice dualismo tra Ue ed Italia, ma che ha basi e radici ancorate nelle politiche degli ultimi anni.
In esclusiva per Spraynews.it abbiamo intervistato il Presidente dell'associazione EURECA Angelo Polimeno Bottai, autore tra gli altri del libro "Non chiamatelo Euro", per far luce su alcuni punti oscuri di un dibattito che coinvolge la generazione attuale e rischia di avere forti ripercussioni su quelle future.
Angelo Polimeno Bottai, quali sono le sue considerazioni in merito ai provvedimenti contenuti nella manovra fiscale partorita dal governo?
«I contenuti della manovra sono quelli che figuravano nei programmi di Lega e Movimento 5 Stelle. Dunque per dare un giudizio occorre attendere e capire questi provvedimenti mirati ad alzare il deficit di che natura sono. Se una forte quota non sarà riservata agli investimenti, e premieranno invece gli aiuti a pioggia per chi non lavora, questo potrebbe rappresentare un problema serio. Al contrario se non ci sarà un forte aumento della spesa corrente e si punterà soprattutto su investimenti nelle infrastrutture e per incentivare l'aumento dell'occupazione, allora l'aumento del deficit potrebbe davvero innescare un processo virtuoso. Occorre un ragionevole lasso di tempo per capire quanto Pil potranno produrre questo genere di provvedimenti»
Una manovra che appare in rottura con la tendenza degli ultimi decenni di operare in condizioni di austerity. Cosa si può dedurre da ciò?
«È proprio questo il punto nevralgico del discorso: le statistiche degli ultimi venticinque anni ci dicono con chiarezza che le politiche adottate in questo lasso di tempo - politiche impostate soprattutto sull'austerità, sulla riduzione del costo del lavoro, sul taglio delle pensioni e sull'aumento delle tasse - hanno prodotto il risultato opposto a quello sperato: il debito pubblico è cresciuto e il Pil è diminuito»
Quindi la soluzione è invertire il processo e tornare a investire?
«Non è così semplice, cambiare non vuol dire necessariamente fare meglio. Si può anche cambiare in peggio. Occorrerà valutare nel merito se i provvedimenti proposti da ambo le parti della maggioranza di governo genereranno Pil o se comporteranno solamente un aumento del debito pubblico»
Per quanto riguarda la risposta dei mercati, c'è da preoccuparsi?
«Non mi preoccuperei. C'è una vera e propria guerra in corso ed è normale che la risposta sia questa. Cosa pensiamo, di opporci a questo sistema trovando il favore di chi da questo ha tratto dei vantaggi enormi? La resistenza sarà strenua e fino all'ultimo, anche perché se l'Italia dovesse spuntarla altri Paesi la seguirebbero a ruota»
L'attenzione mediatica è ora rivolta a come la Commissione europea giudicherà la manovra economica italiana. In caso di bocciatura Salvini e Di Maio andranno avanti come annunciato?
«Siamo in una fase troppo prematura per dare una risposta esaustiva. Non lo so e non lo sanno nemmeno i rappresentanti dell'Unione Europea. Anche loro si comporteranno in base a quali provvedimenti concreti verranno posti in atto dal governo. Ciò su cui andrebbe invece posta l'attenzione è il richiamo giunto proprio dalle sedi Ue all'Italia in merito al rispetto del patto di stabilità se non si vuole incorrere in sanzioni: bisognerebbe fare un passo indietro e domandarsi cosa sia questo Patto di stabilità»
Ci spieghi meglio la natura di questo accordo siglato dai Paesi membri
«Sicuramente è uno dei punti su cui occorre fare chiarezza. Noi come italiani abbiamo la colpa di non aver ragionato a sufficienza sulla natura di questo Patto, anche se qualcuno, compresi noi come associazione EURECA (Europa Etica dei Cittadini e dell'Economia, assoeureca.eu), ha già lanciato l'allarme. Il Patto di stabilità è subentrato come modifica del Trattato di Maastricht, ma c'è una doverosa premessa: un Trattato europeo ha valore costituzionale e può essere aggiornato soltanto con un altro Trattato. Per cambiare un Trattato bisogna sottoporlo al vaglio di tutti i Parlamenti nazionali dei Paesi membri, i quali devono esprimere all'unanimità parere favorevole, pena la decadenza dell'atto. In determinati Paesi anche i cittadini hanno la possibilità di esprimersi per mezzo del referendum, anche se tra questi non figura l'Italia. Il Trattato di Maastricht, siglato nel febbraio del 1992, ha superato questo lungo iter legislativo e gode quindi di piena legittimità democratica. Tuttavia, dopo il '92, quando in Italia è scoppiata Tangentopoli e la politica tutta è stata messa alla sbarra, la Germania, a cui il Trattato di Maastricht non piaceva nonostante l'avesse ratificato, ha iniziato a esercitare forti pressione per cambiarlo. In un primo momento ha tentato di dare vita a un nuovo Trattato, ma presto si è resa conto dell'impossibilità di ottenere il via libera da parte di tutti i Paesi membri. Pertanto il governo tedesco ha iniziato a esercitare fortissime pressioni diplomatiche sugli altri partner perché si convincessero a cambiare il Trattato con un semplice Regolamento, una legge di rango giuridico molto inferiore a quello costituzionale. Purtroppo anche l'Italia, con l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi e con il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, ha firmato il Patto di stabilità, ma quel provvedimento resta illegittimo: non può cambiare un Trattato. Si pensi soltanto che questo Regolamento che da anni impone all'Italia ed altri Paesi membri di tagliare le pensioni, precarizzare il lavoro, ridurre lo Stato sociale, non è mai stato approvato da nessun Parlamento nazionale. Si tratta di una evidente e gravissima violazione di ogni più elementare regola democratica. E anche le regole economiche approvate successivamente al Patto, sono o di rango inferiore rispetto ai Trattati o addirittura estranee al diritto europeo. Quest'ultimo caso riguarda il fiscal compact. Pertanto la questione non è cedere o non cedere sovranità. Questo atto si può compiere ma avendo la garanzia di condividere la propria sovranità all'interno di un'organizzazione sovranazionale in cui regni la chiarezza giuridica e in cui tutti i cittadini degli Stati membri godano degli stessi diritti»
Come è possibile che questo tema non sia all'ordine del giorno del dibattito politico anche in Italia?
«Perché quanto le sto dicendo è devastante. Ci sono responsabilità molto pesanti in Italia, di persone che conoscono questo stato di cose e che lo hanno avallato ed che quindi se uscissero allo scoperto dovrebbero poi rendere conto del loro operato. Io stesso ho incontrato l'ex premier Romano Prodi a Montecitorio e gli ho rivolto queste domande, alle quali lui mi ha riposto di aver sempre ritenuto il Patto di stabilità un «patto di stupidità». Quando gli chiesi perché lo avesse firmato, ha affermato che tutti i Paesi erano d'accordo e lui ha ritenuto giusto apporre la sua firma. Contro questo argomento si è alzato un vero e proprio muro di gomma. Basti pensare che quando questa denuncia, portata avanti dal giurista Giuseppe Guarino, è stata ripresa da Guido Gentili del Sole 24 Ore che vi ha dedicato più d'un articolo, lo stesso Gentili ha ricevuto telefonate in cui è stato invitato a non trattare certi argomenti. È la conferma che dietro a questa vicenda ci sono interessi enormi. Queste norme negli anni hanno arricchito alcuni Paesi europei, Germania in primis, che nella sua intera storia non è mai stata così ricca»
A questo punto la domanda sorge spontanea: può l'uscita dall'Europa rappresentare una valida alternativa?
«Assolutamente no. L'Europa l'abbiamo costruita noi e non dobbiamo rinunciare a un progetto nel quale abbiamo creduto per primi. Dobbiamo invece batterci per riportarla sui binari giusti. L'unica strada è quella di impugnare queste norme illegittime nelle sedi opportune»
Voi come associazione EURECA vi siete mossi in tal senso?
«Come EURECA, assieme al prof. Guarino, all'ambasciatore Giulio Terzi, all'economista Marcello Minenna e al costituzionalista Alfonso Celotto, abbiamo intenzione di mettere sul tavolo delle forze politiche la proposta di aggiornamento delle leggi italiane in relazione con l'Europa. L'articolo 11 della nostra Costituzione stabilisce che l'Italia può cedere quote sovranità purché ciò avvenga in condizione di parità con gli altri Stati membri. Una condizione che però non c'è visto i cittadini italiani non possono pronunciarsi in merito alle leggi europee tramite referendum come accade invece per altri cittadini europei. C'è un'urgente necessità in Italia di aggiornare il nostro assetto giuridico»
Questo andrebbe anche a rafforzare l'immagine che si è un po' persa dell'Ue, percepita oggi come una prigione più che una comunità?
«Certamente, basti pensare che la CEE, specialmente in Italia, godeva di una popolarità molto forte, al contrario l'Unione Europea nel nostro Paese diventa ogni giorno più impopolare. Le persone percepiscono il distacco dall'istituzione e la sensazione che le decisioni vengano prese sulla loro testa è forte e reale. Bisogna scardinare questo meccanismo perverso che sta uccidendo l'Europa e sta mettendo i Paesi uno contro l'altro in nome di una prosperità riservata a pochi, mentre gli altri Paesi si stanno impoverendo»
L'ondata di populismi o sovranismi in auge in tutto il mondo occidentale e quindi anche in Europa è una diretta conseguenza della situazione che lei ha delineato?
«I sovranisti stanno diventando forti perché gli uomini politici che li rappresentano cavalcano l'onda dei tempi e la situazione problematica e reale che stiamo attraversando. Ciò che davvero rimprovero loro è di basare la tesi della loro protesta su basi non oggettive. Non è possibile che in tutti questi anni di attacchi continui all'Europa non sia mai stata posta la problematica del processo legislativo al suo interno che ha perso la sua indispensabile matrice democratica. A tal proposito noi come EURECA, nella persona del nostro responsabile legale Federico Tedeschini, abbiamo attivato una class action pubblica sul fiscal compact. Abbiamo concluso il primo passaggio, che prevede la sollecitazione al governo e al ministero dell'Economia ad interrompere l'applicazione di questo Trattato internazionale. Ora procediamo con la seconda fase: il ricorso al Tar»
di Alessandro Leproux
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