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Presi i lanciatori di uova, niente razzismo, una bravata Hanno attaccato italiani, cercati per Daisy



Nient'altro che una «goliardata». Sebbene quello utilizzato dai militari dell'Arma che hanno indagato e alla fine acciuffato i responsabili dell'uragano mediatico della settimana che aveva già bollato come razzista il Paese, facendolo carambolare in una spirale di tutti contro tutti, non sia esattamente il termine più proprio per indicare l'idiozia che certe volta si insinua come un germe nei gesti delle persone, l'accertamento del fatto che la matrice razzista sia l'ultimo dei motivi che ha causato l'aggressione ai danni di Daisy Osakue è la definitiva conferma della spirale paranoica in cui è piombata l'Italia da quando il tappeto rosso di ingresso e accoglienza nel nostro Paese è stato riarrotolato e riposto in cantina.


Lo squallido, a tratti preoccupante, massiccio attacco social, in stile fake news tanto condannata dagli stessi quotidiani che già si esibivano in capriole editoriali a chi accusava di più e in maniera più diretta protagonisti, tutt'altro che consapevoli, di una vicenda che resterà negli annali delle toppe con cui la sinistra si cuce ormai da sola il vestito, è nulla più che la conferma di quanto asserito con biblica calma dai protagonisti politici e mediatici dell'avventura governativa. Gli unici, i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, a tenere botta dopo l'ondata artificiosa e artificiale di sdegno preconfezionato e plastificato che ha intaccato anche qualche membro, di non basso profilo, delle fila governative. Un bombardamento feroce come quello dei quei tre scemi che nell'afosa nebbia estiva del torinese non hanno trovato nulla di meglio da fare se non bersagliare di uova malcapitati passanti. Sì, avete letto bene, passanti, persone qualsiasi, come voi, me o Daisy. Nessun accanimento contro neri, ebrei, islamici, o juventini, soltanto stupidità alimentata da noia e caldo, quella che ha portato il giovane, fregato dalla macchia di uovo sul furgone del padre che spesso guidava e da cui partivano gli attacchi scellerati e indiscriminati contro chiunque si trovasse a tiro, a ideare e compiere per un numero accertato, secondo la confessione dello stesso, di almeno sette diversi episodi, lo stupido gesto che gli costerà ben più di una tirata d'orecchie.


Il razzismo al contrario. Il paradosso è bello che servito. Se poi ci aggiungiamo che uno dei "lanciatori", ipotesi e non fatto, sarebbe figlio di un consigliere comunale del Pd, il tutto assume i contorni del comico grottesco, una situazione che nemmeno il Bulgakov dei migliori giorni avrebbe saputo architettare. Discriminazione all'inverso, si diceva. E non ci sembra di andare così controcorrente. I fatti, già denunciati dalle precedenti vittime del lancio del proteico ordigno, non avevano evidentemente riscosso la necessaria popolarità per avere un seguito in termini giudiziari, ma è bastato che la vittima cambiasse colore perché il caso diventasse di portata interplanetaria, con polizie e task force all'opera per scovare i pericolosi frombolieri. Una situazione che non lascia per nulla sereni, e intanto i tre, per questa "colorata" bravata si beccheranno una denuncia per lesioni e omissione di soccorso, un giusto epilogo per un racconto breve, ma non abbastanza da aver avvelenato gli animi in un'estate già bollente in quanto a turbolenze politiche.

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