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Pressing di Pechino sull’Europa per aderire alla Via della Seta



“Basta sudditanza agli Stati Uniti. Dire che l’accordo potrebbe danneggiare la reputazione globale del Paese”, significa disprezzare l’intelligenza degli italiani”. Gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare l’attitudine del “boss”. E l’Europa dovrebbe smetterla di farsi “dettare da loro la sua politica estera”. All’indomani del duro avvertimento di Washington al governo Conte a fare marcia indietro sul memorandum per l’adesione al mega progetto di investimenti infrastrutturali della Cina , chiamato “Via della Seta”, è arrivata la sprezzante risposta di Pechino. Sul Global Times, quotidiano ufficiale del Partito Comunista cinese, un editoriale senza firma, pubblicato solo in cinese, accusa l’Europa di sudditanza e invitandola ad uscire dal legame della storica alleanza con gli americani.


L’Italia che con il vicepremier Di Mario, ha manifestato l’intenzione di appoggiare il progetto cinese, rischia quindi di trovarsi schiacciata tra due giganti, Cina e Stati Uniti, oltre che isolata in Europa. Al momento nessun Paese europeo, tranne Grecia e Ungheria hanno aderito. L’Italia quindi sarebbe il primo Paese del G7 e il primo membro fondatore dell’Europa a sostenere il grande piano cinese. Il piano detto Via della Seta, o Belt and Road Initiative, prevede la creazione di una rete di infrastrutture con cui la Cina vuole accorciare le distanze con Europa, Asia centrale e Africa. Strade, ferrovie, porti con cui far viaggiare merci e persone. Ma anche reti energetiche e fibra ottica, per accelerare la trasmissione del nuovo petrolio, i dati. Un progetto che sul piano della geopolitica rappresenta una sorta di “colonizzazione economica”. Il dossier della BRI prevede 173 progetti, per un controvalore di mille miliardi di dollari (circa sette volte il piano Marshall). La partita in italia è stata condotta a livello diplomatico dal sottosegretario al ministero degli Esteri Michele Geraci che è convinto dei vantaggi di un accordo con i cinesi sul nostro commercio. Uno dei corridoi commerciali avrebbe come porta d’ingresso il porto di Trieste. La sigla del memorandum di intesa dovrebbe avvenire durante la visita di Xi Jinping nel nostro Paese, prevista a fine mese.


Ma una mossa in tal senso riposiziona l’Italia sullo scacchiere della geopolitica internazionale. Da alcuni anche dentro il governo viene visto come un passo azzardato in un momento in cui l’Europa sta cercando di contrastare in maniera più decisa la sua penetrazione nel Continente e gli Stati Uniti di compattare gli alleati dalla loro parte.

Nell’editoriale il Global Times sollecita la UE a smarcarsi dagli USA. L’Europa dovrebbe capire che “questa alleanza si è formata durante la Guerra Fredda e non è più coerente con i suoi bisogni e quelli del mondo di oggi” si legge nel giornale di Pechino. Conclude poi invitando l’Unione a “non farsi dettare più la politica estera da Washington”, perché schierarsi con il suo progetto di contenimento della Cina equivarrebbe a perdere la propria centralità, mentre impegnarsi con Pechino porterebbe maggiori benefici e la aiuterebbe a “definire più accuratamente la propria posizione nel XXI secolo”. Una specie di scelta di campo. In un mondo sempre più polarizzato, l’Italia è di nuovo la linea del fronte. All’interno del governo poi non c’è unicità di vedute. Salvini non la pensa come Di Maio e alla Farnesina non sarebbero d’accordo con il ministero delle Infrastrutture. Ci sono quindi tutti i presupposti per arr fare a un memorandum ridimensionato nei contenuti. Un po' come con il Tav.


di L.D.P.

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