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Primi risultati iscritti Pd: Zingaretti davanti, Martina insegue, Giachetti terzo, sopra Boccia



Gli iscritti del Pd sono 400 mila, ma soltanto in teoria…


Nicola Zingaretti davanti a tutti, (48,6%), a un passo dalla maggioranza assoluta, Maurizio Martina insegue (32,5%), terzo Roberto Giachetti (13,0%), ma alla lontana, pur con un risultato notevole, conquistato soprattutto tra i renziani, e indietro tutti gli altri, compreso Francesco Boccia (4,3%). Infine, con percentuali infinitesimali, i due ‘Carneadi’ delle primarie dem, la lucana Maria Saladino (1%), unica donna, e il giovane romano Dario Corallo (0,6%). Sono questi i primi dati che vengono fuori dalle votazioni nei circoli territoriali di base (6000) di cui si compone il Pd: riguardano, per ora, solo 8mila iscritti (e votanti) su un totale di tesserati 2018 al Pd che si dovrebbe aggirare tra i 390mila e i 410 mila iscritti. Dati, peraltro, del tutto ufficiosi, perché non ancora ufficializzati, ma forniti dall’Organizzazione del Pd. Di certo, però, dati lacunosi: nel 2016 gli iscritti ‘certificati’ dall’allora responsabile Organizzazione del Pd, Lorenzo Guerini, erano 450 mila (per la precisione 450.152, di cui 50 mila iscritti ai Giovani democratici, organizzazione giovanile dei dem, quindi 405.000 over 18). Eppure, oggi, a due anni di distanza dall’ultimo dato certo e certificato, esponenti dem molto attendibili e qualificati sostengono, però, che gli iscritti ‘veri’ al partito non superino le 200/250 mila unità, il che vorrebbe dire una perdita secca di almeno 100mila iscritti.


Solo 8mila votanti, finora, ma i dati, da oggi, sono certi.


Si tratta, quindi, tornando ai dati oggi diffusi ufficialmente dal Pd, quelli sugli 8mila votanti, di dati molto parziali che solo oggi pomeriggio la commissione congressuale, presieduta da Gianni Dal Moro, ha fornito ufficiali. Arrivano, peraltro, solo da alcune regioni, quelle del Centro e del Nord, mentre le regioni del Sud sono, tanto per cambiare, molto più indietro nella fase congressuale. Un Mezzogiorno che potrebbe, di nuovo, quando si sapranno i risultati di molte popolose regioni cambiare di nuovo i dati. Le votazioni si sono aperte, nei circoli, il 7 gennaio e si può votare fino al 23 gennaio, quando i dati saranno affluiti tutti e diventeranno, quindi, definitivi sull’intero piano nazionale. Ma è solo alla Convenzione nazionale, dove si presenteranno tutti e cinque i candidati, già prevista per il 3 febbraio, che si saprà chi di loro accederà alla seconda fase. Alle primarie aperte accederanno, infatti, secondo le regole dello Statuto dem - scritto nel 2007, ormai dieci anni fa, dai politologi Salvatore Vassallo e Stefano Ceccanti - solo i primi tre candidati (e non, dunque, solo i primi due, come invece sarebbe molto più logico…) che abbiano ottenuto almeno il 5% dei voti a livello nazionale o almeno il 15% dei voti distribuiti in cinque regioni o province autonome. Si tratta, dunque, in questa prima fase, di pesare solo il voto degli iscritti, e non il voto di tutti gli elettori del Pd, le cosiddette ‘primarie aperte’, che si terranno il prossimo 3 marzo e a cui potranno votare tutti gli elettori e simpatizzanti del Pd, dopo aver sottoscritto la ‘Carta degli intenti’ del partito e dopo aver versato un piccolo obolo di 2 euro (obolo che il candidato Zingaretti propone di abolire). Infine, entro l’11 febbraio dovranno essere composte tutte le liste a sostegno dei vari candidati che andranno a comporre l’Assemblea nazionale dem (1000 i componenti con diritto di voto), unico organo che ha il potere di eleggere, nella forma ma anche nella sostanza, il segretario del Pd. Un’elezione indiretta, dunque, quella del segretario dem, così recita lo Statuto che potrebbe, paradossalmente, ribaltare il risultato delle primarie aperte, ma solo in un caso, e cioè se nessuno dei tre sfidanti raggiungerà il 50,1% dei voti, la maggioranza assoluta della platea dei votanti alle primarie aperte.

In ogni caso, dati i voti assoluti dei circoli finora pervenuti è appunto facile notare che la prima posizione di Zingaretti sembra ben salda, anche dove meno se lo aspettava, mentre Martina non riesce, da nessuna parte, a scalfire la sua primazia e Giachetti sopravanza Boccia.


‘Zinga’, per ora, vince nelle regioni del Centro-Nord.


In Emilia-Romagna, su 2200 votanti, ben 1193 sono stati i voti per Zingaretti, segue Martina ma solo con 753 voti: pesa di certo la decisione – ad oggi ancora informale, ma già presa – del governatore emiliano, Stefano Bonaccini, di appoggiare la corsa di ‘Zinga’. Anche in Toscana, che pure è una storica roccaforte renziana, Zingaretti è davanti con 763 voti contro i 610 di Martina, anche se il vero exploit è quello di Giachetti, che ottiene ben 243 voti, di cui 80 (su 81!) nella sola Rignano sull’Arno, feudo di papà Renzi, Tiziano. Anche in Lombardia, dove Martina partiva molto forte ed è storicamente radicato, Zingaretti è davanti con 290 voti sui 268 di Martina, mentre l’exploit imprevisto, in terra lumbard, lo registra non Giachetti, ma Boccia con 250 voti. Troppo pochi, invece, i voti in Lazio (295) per dare un risultato significativo, ma i primi scrutini vedono, comunque, ‘Zinga’, presidente di regione e che quindi gioca ‘in casa’, come pure in Liguria (89 voti a 51 per ‘Zinga’ su Martina) e in Campania (91 voti Zingaretti contro i 71 di Martina) per trarne indicazioni significative e trend generali sul voto.


Boccia denuncia i ‘signori e pacchetti delle tessere’.


Certo è che Boccia – il quale, va detto in tutti i sondaggi condotti finora, ma effettuati tra tutti gli elettori del Pd, e non solo tra gli iscritti è quotato più di Giachetti (Boccia sarebbe, in base a questi sondaggi, al 16% contro il 6% di Giachetti, mentre Zingaretti sarebbe al 38,5% e Martina seguirebbe a ruota con il 33,3%) – già denuncia i “pacchetti di voti” dei “turborenziani” e i “signori delle tessere” che, soprattutto al Sud, starebbero inquinando il voto, come dimostrerebbe il caso della Calabria, dove il Pd è stato in questi giorni, di fatto, già ‘commissariato’.


La Boldrini voterà alle primarie. Bersani invece riflette…


Da segnalare che l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini - eletta nelle fila di LeU, ma progetto in cui però non si riconosce più al punto da aver fondato una sua associazione di sinistra, ‘Futura’ - annuncia che andrà a votare, alle primarie, e per Zingaretti, il che scatena subito un nugolo di polemiche perché la Boldrini, a oggi, milita in un altro partito e quindi, in teoria, non potrebbe votare. Bersani come tutti i dirigenti di Mdp-Articolo 1, che orma vivono da separati in casa con Pietro Grasso, SI e un pezzo di LeU, non hanno, invece, ancora deciso per chi esprimersi, e anche se lo faranno, alle primarie. Ma è ovvio che la vittoria di Zingaretti aprirebbe loro uno spazio – quel ‘campo largo’ della Sinistra di cui parla da tempo Bersani – per rientrare nel Pd o, quantomeno, per cercare un accordo, in vista delle elezioni europee del 26 maggio, e creare un’alleanza organica con i dem. A prescindere dal fatto se si tratterà di un ‘nuovo partito’, con un nuovo nome e un nuovo simbolo (la soluzione che, ovviamente, Bersani e i suoi preferiscono per poter rientrare) o di un Pd più ‘largo’.


Intanto, la cena della Chirico scatena nuove polemiche


Un altro caso ha creato forti malumori, in casa dem, è dovuta alla cena organizzata a Roma dalla giornalista del Foglio, Annalisa Chirico, presidente dell’associazione “Fino a prova contraria”. In un noto ristorante di Roma, La Lanterna, sotto il tetto creato dall’architetto Fuksas, si sono ritrovati, oltre a magistrati, imprenditori e varie personalità, esponenti del Pd renziano (Boschi, Bonifazi, il presidente della Fondazione ‘Open’, Alberto Bianchi, da sempre ‘cassaforte’ del renzismo, e il broker d’affari Carrai, che però ha poi annunciato che non avrebbe partecipato alla cena della Chirico) e pezzi da novanta della Lega, a partire da Matteo Salvini fino a due suoi ministri, oltre che a diversi esponenti di Forza Italia. Il motivo (la giustizia giusta), come pure l’obiettivo del ‘far crescere il Pil’, è e sono nobili, ma l’assenza di commensali pentastellati (non invitati, peraltro) e le ‘prove d’intesa’ tra Pd e Lega su vari temi – dalle Grandi Opere, Tav in testa, all’autonomia regionale delle regioni del Nord fino alle riforme istituzionali - hanno fatto indispettire molti dem, non renziani, dall’ex segretario Maurizio Martina a Boccia. Il ‘sospetto’ è che i renziani – forse su indicazione dello stesso Renzi, sempre più lontano dal Pd e dalle primarie – si apprestino a ‘flertare’ con i leghisti per un ‘ribaltone’ al governo in funzione anti-5Stelle. Ribaltone che, però, non servirebbe per mandare a casa, anzitempo, la legislatura, ma per creare una nuova maggioranza, egemonizzata dalla Lega, che renderebbe ‘più facile’, al Pd, fare opposizione, lasciando i 5Stelle, o molti di essi, alla deriva e allo sbando. Dai renziani doc arriva, per contrappasso, il ‘sospetto’ opposto, e cioè che diversi tra i candidati al congresso (Zingaretti e Boccia, ma anche Martina) vogliano ‘aprire’ ai 5Stelle per un dare vita a governo ‘ribaltone’ anti-Salvini.


di Ettore Maria Colombo

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