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Proseguono le trattative sulla manovra e Tria non vuole rispondere alle domande dei deputati



E alla fine il caso vuole che il professor Giovanni Tria, dopo aver risposto, o comunque aver tentato di farlo, ai quesiti dei giornalisti a margine di una conferenza stampa a ottobre sulle linee guida della manovra, dove non erano ammesse domande, non risponda invece a quelle dei deputati. Segno evidente della delicatezza e della difficoltà della trattativa in atto tra Roma e Bruxelles. Le opposizioni alle 8 di sera del 4 dicembre abbandonano per protesta la commissione Bilancio della Camera. Ma prima ancora era stato il ministro dell'Economia a minacciare lui stesso di andarsene. «Si tratta di un'informativa e non di un'audizione, in tal caso non essendo questa appunto un'audizione, se me lo consentite, io me ne vado».

Il professore lo dice con tono educato naturalmente, con quella sua aria un po' da consapevole cireneo del governo Conte. Ovvero quel premier che è stato investito formalmente dai due grandi azionisti della maggioranza Matteo Salvini e Luigi Di Maio del ruolo di portavoce sulla trattativa con la Ue.


Pur naturalmente essendo Tria, il ministro "tecnico", il dominus dell'elaborazione dei conti. Alla fine Tria, dopo aver spiegato che lui era appena sbarcato da un aereo e che era venuto alla Camera per un'informativa e non un'audizione, di fatto un po' risponde, in sostanza confermando che certo la manovra non cambia nei suoi capisaldi ma che bisogna vedere come tagliare nei due provvedimenti cardine: quota 100 per le pensioni e reddito di cittadinanza: «Il punto è capire se una maggiore definizione di queste misure richiede meno risorse di quelle poste nel fondo». A quel punto Renato Brunetta, responsabile economico di Forza Italia, sbotta: «Giovanni, devi dirci se il governo vuole cancellare il reddito di cittadinanza e quota 100 o se vuole solo perdere tempo, dando per scontata la procedura di infrazione». E il sipario cala a colpi di "Ma tu, Renato...»; «Ma guarda, Giovanni» in una nuova querelle tra i due "amici-nemici", entrambi cresciuti alla scuola del riformismo socialista craxiano, entrambi legati dallo storico legame con Gianni De Michelis. La capogruppo azzurra alla Camera Mariastella Gelmini attacca: «Imbarazzante informativa di Tria. Basta con questa pantomima». Il pressing di Fi contro la manovra del governo giallo-verde è fortissimo. Antonio Tajani, presidente del parlamento europeo e numero due di Forza Italia, annuncia: «Opposizione durissima. Qui si rischia la recessione».


Fi si fa portavoce di quell'Italia produttiva, di quei ceti imprenditoriali scesi in piazza a Torino per il sì alla Tav, cui ha dato voce il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Il numero due del Cav in una conferenza stampa illustra i contenuti della «Contro manovra per ripartire», che al culmine di una serie di presidi e iniziative vedrà venerdì 7 dicembre a Roma all'hotel Ergife una manifestazione con lo stesso Berlusconi. Il vicepresidente degli azzurri si rivolge a Salvini e Di Maio: «Non basta far contenti Moscovici o Juncker... Serve credibilità, serietà e responsabilità. M5S e Lega devono capire che così l'economia va a rotoli».

Poi la stoccata: «Regalerò a Salvini e Di Maio una fotografia di Renzi... È facile perdere il consenso». Tajani conferma l'assenza degli azzurri in piazza con la Lega il prossimo 8 dicembre: «È una festa religiosa, io sarò in piazza di Spagna, è la piazza che mi interessa quel giorno». E alla Nanni Moretti: «Salvini, fai qualcosa di centrodestra. Noi chiediamo alla Lega di ricordarsi che il partito è stato votato con la coalizione di centrodestra, con un programma di centrodestra». Infine lancia l'allarme: «Dopo aver dichiarato guerra a tutti e aver giocato la partita del capitan Fracassa, ora il governo è terrorizzato dalla procedura d'infrazione, fa marcia indietro e va a Bruxelles con il cappello in mano... Non si rendono conto che stiamo pagando un prezzo altissimo per l'ostilità nei confronti dell'Europa».


Salvini però si dice "ottimista" sull'esito della trattativa con la Ue, anche se sull'onda delle proteste del Nord esce allo scoperto e dice che la Lega è "per il sì alle infrastrutture". Parole che non sono musica per i Cinque Stelle. Ma galvanizzato dalla manifestazione leghista dell'8 dicembre a Roma, a piazza del Popolo, Salvini sembra anche lanciare un nuovo fronte nel centrodestra sulle alleanze locali quando ribadisce che la coalizione andrà unita, e anzi la prossima settimana si chiuderà sui nomi, ma aggiunge anche che l'accordo dovrà essere trovato su candidature "valide". Ad esempio dice che gli piacerebbe una candidatura leghista per l'Emilia Romagna dove si voterà in autunno. Ma la frase ha alimentato i soliti sospetti tra gli alleati e cioè sull'ipotesi che ambisca anche a un candidato leghista in Piemonte dove invece dovrebbe andare uno di Fi, secondo gli accordi di massima fin qui trovati. Chissà, forse quella piazza di Torino pro-Tav potrebbe aver suscitato nella Lega la necessità di non farsi sfuggire un certo malcontento proprio del Nord. Ma intanto la manovra resta lo scoglio numero uno. E il "cireneo Tria" cerca di tener botta con il parlamento.


di Paola Sacchi

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