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Può un sindaco fare ‘disobbedienza civile’ a una legge? Il dibattito è aperto tra i giuristi


Michele Ainis

I sindaci di cinque importanti città (Palermo, Napoli, Firenze, Reggio Calabria e Parma), si sono opposti all’applicazione del decreto Sicurezza voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini e approvato dal Parlamento, e hanno promesso di disobbedire ad alcune disposizioni contro gli stranieri che considerano incostituzionali e in violazione dei diritti umani. Molti altri, tra cui il sindaco di Milano e il presidente dell’associazione dei comuni italiani (Anci), Antonio Decaro, sindaco di Bari, hanno criticato duramente il decreto e hanno chiesto al governo Conte di modificarlo. Salvini ha risposto annunciando che i sindaci che non applicheranno la legge saranno denunciati. Il “decreto sicurezza” era peraltro già stato molto contestato all’atto della sua attuazione perché costringeva di fatto centinaia di stranieri presenti regolarmente in Italia, tra cui numerosi bambini, ad abbandonare alloggi e integrazione. I sindaci che, come Orlando, tradurranno in ordinanze scritte la loro protesta rischieranno una denuncia per abuso d’ufficio. In quel caso, il giudice del procedimento potrebbe decidere di ricorrere alla Consulta, che sarebbe chiamata a giudicare sulla costituzionalità del decreto Sicurezza.


Ma già si apre un altro fronte, caldissimo. I sindaci che si contrappongono al ministro dell’Interno e non applicano il decreto Sicurezza “rischiano di perdere l’incarico”. Ad affermarlo è il professor Michele Ainis, costituzionalista: “Possono essere denunciati dai prefetti per abuso d’ufficio - spiega Ainis all’agenzia AGI - e possono anche essere rimossi dall’incarico perché il Testo Unico degli Enti Locali, all’articolo 142, prevede che quando un sindaco si renda colpevole di gravi violazioni della legge il ministro dell’Interno con un decreto lo possa rimuovere”. Non solo. “La norma – sottolinea Ainis - contempla che possano essere gli stessi prefetti a sospendere i sindaci. E’ lecito avere dubbi sulla legittimità costituzionale della legge nella misura in cui nega agli immigrati alcuni diritti fondamentali - prosegue il costituzionalista - ma in base al nostro ordinamento sindaci o amministratori non possono sostituirsi alla Corte Costituzionale, stabilendo cosa sia o non sia costituzionale. Questo compito spetta alla Consulta, altrimenti si determina una fuga dalla legge”. In sostanza, dice Ainis, “nessuno si può sostituire alla Consulta disapplicando la legge perché questa non gli piace. Sono d’accordo con i sindaci invece - aggiunge - se la loro iniziativa diventa un modo per interpellare la Corte Costituzionale e andare a un giudizio sulla legge”. Quanto all’invito rivolto dal ministro dell’Interno ai sindaci a rinunciare per coerenza ai fondi, per Ainis è infondato: “Non rischiano di perderli perché sono fissati per legge”.


Ma resta la domanda, etica e politica, prima che giuridica: può un sindaco disubbidire a un ordine dello Stato centrale? Può disapplicare una legge votata dal Parlamento nei ‘confini’ del suo territorio, cioè della città che amministra? E fin dove può spingersi il suo atto di ‘disubbidienza’, ovviamente espressa in modo ‘civile’, almeno così si spera? Domande – alcune vecchie come il mondo o, meglio, come la stessa, lunga, storia del rapporto tra poteri dei sudditi e poteri dello Stato (prima lo stato sovrano, in epoca medioevale e moderna, poi lo stato di diritto, in epoca contemporanea) – che tornano oggi di prepotente attualità. Il decreto sicurezza, fortemente voluto dal ministro dell’Interno, Salvini, è stato anche un decreto regolarmente convertito in legge dal Parlamento nei termini stabiliti dalla Costituzione (60 giorni dall’approvazione del decreto legge in cdm) e, cosa non di poco conto, firmato e vidimato dal Capo dello Stato il quale effettua, su ogni legge, un controllo di costituzionalità sia preventivo che successivo. Senza la firma del Capo dello Stato, per capirsi, una legge dello Stato non viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale e ‘non’ diventa legge scaturendo tutti gli effetti che prevede.


Una cosa è certa: il sindaco non può ricorrere alla Consulta, dichiarando di non voler ottemperare a una legge dello Stato, in via diretta, come può fare, invece, il governatore di una Regione, unico ente ‘periferico’ titolato – dopo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2006 - a sollevare una questione di costituzionalità portandola direttamente davanti alla Consulta proprio perché, da allora, le Regioni – anche quelle a statuto ordinario, dopo quelle a statuto speciale – sono diventate enti riconosciuti dallo Stato e dotati di ‘pari diritti’ rispetto allo Stato centrale. Un sindaco, che dello Stato rappresentata l’amministrazione ‘periferica’, può solo ‘provocare’ – se portato in giudizio, cioè davanti a un tribunale ordinario dello Stato – il ricorso alla stessa Consulta in via ‘incidentale’: è, cioè, il giudice ordinario che, dichiarandosi incompetente nell’esaminare il conflitto di attribuzione che si crea tra poteri dello Stato, che può ‘rimettere’ alla Consulta la questione affinché essa ne esamini i profili di costituzionalità e decida nel merito. Insomma, come si vede, il potere dei sindaci è ‘affievolito’, già in partenza, rispetto a altri poteri dello Stato (le regioni). Ma si tratta, in ogni caso, di un atto legittimo o illegittimo? Sul punto – etico e giuridico, prima ancora che politico – la ‘dottrina’, come si dice in questi casi, offre pareri discordi.


Cesare Mirabelli

Il presidente emerito della Corte costituzionale, il professor Cesare Mirabelli, è stato molto chiaro sin da ieri, negando in modo reciso che i sindaci possano accampare tale diritto. Mirabelli, intervistato dall’Adnkronos, spiega che: “La mancata applicazione della legge Sicurezza, nella parte che riguarda i migranti, annunciata dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, al quale si è associato il primo cittadino di Napoli Luigi De Magistris, è un atto politico. I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi. La pubblica amministrazione – spiega Mirabelli - non può sollevare questioni di legittimità costituzionale e deve uniformarsi alla legge, a meno che non sia liberticida, il che potrebbe darsi solo in un caso eccezionale, cioè con una rottura dell'ordinamento democratico. Bisogna vedere se si tratta di norme rispetto alle quali è prevista un’attività del Comune che ha carattere di discrezionalità, che la legge impone e che il sindaco ritiene di disapplicare. Non può essere una contestazione generale. Se ci sono atti che la legge prevede per i Comuni il sindaco non può disapplicarla. Se la disapplica, e in ipotesi interviene il prefetto o un’altra autorità, sorge un contenzioso e allora potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale. Al momento – ribadisce Mirabelli - è solo un atto politico”. Insomma, per il costituzionalista ‘emerito’, i sindaci stanno compiendo un atto ‘illegittimo’ e, quindi, di fatto un reato.


Sabino Cassese

Altri costituzionalisti, invece, la pensano in modo diverso. Secondo numerosi ex giudici della Corte Costituzionale, intervistati oggi da ben tre quotidiani (Repubblica, Stampa e Mattino) e, in particolare secondo l’illustre costituzionalista e ‘padre’ del diritto pubblico italiano, Sabino Cassese, è anzi molto probabile che la Consulta decida di giudicare incostituzionali alcune parti del decreto, sospettato di numerose forzature già al momento della sua discussione e approvazione lo scorso autunno. Infatti, anche se non tutti gli ex giudici concordano sulla regolarità del modo di protestare deciso dal sindaco Orlando, sono tutti d’accordo nel dire che la parte contestata dal decreto non sembra rispettare i trattati internazionali sottoscritti dall’Italia in materia di protezione dei diritti delle persone. Inoltre, proprio secondo Cassese, ex giudice della Consulta, le azioni di Orlando avrebbero un’ulteriore giustificazione, poiché il decreto Sicurezza non modifica esplicitamente la legge del 1998 che consente agli stranieri di essere iscritti all’anagrafe grazie al permesso di soggiorno. Ovviamente, un costituzionalista da sempre vicino ai democrat – e, oggi, deputato del Pd - Stefano Ceccanti, coglie la palla al balzo: “Invito a leggere l’intervista di Sabino Cassese. I sindaci fanno bene a tentare la strada non della disobbedienza civile, ma del ricorso alla giustizia, per verificare se alcune norme del decreto sicurezza siano conformi al diritto europeo e alla Costituzione. Se il giudice reputa violata la normativa europea disapplica direttamente la norma interna; se invece si tratta di violazione della Costituzione il giudice invierà le carte alla Corte costituzionale”. Insomma, per Ceccanti “l’iniziativa dei sindaci è preziosa perché può portare presto il decreto sicurezza alla Corte costituzionale. Un qualsiasi operatore del diritto chiamato ad applicare una norma legale, ma che la reputi in coscienza illegittima dal punto di vista costituzionale, ha il diritto-dovere di rifiutarsi di applicarla. Certo, andrà incontro a denunce, ma di fronte al giudice chiederà il rinvio alla norma di fronte alla Corte costituzionale e, nel caso del decreto sicurezza, avrà molte ragioni da far valere. L’iniziativa dei sindaci è quindi preziosa perché consentirà di arrivare presto alla Corte costituzionale, a cui non basterà certo l'argomento del ministro Salvini secondo cui la legge è stata firmata dal Presidente Mattarella. I controlli dei due organi di garanzia sono infatti ben diversi tra di loro”. Resta però, appunto, proprio questo il punto ‘aperto’. Mattarella ha firmato, senza eccepire, il decreto Sicurezza varato dal governo Conte, non ravvisando alcun profilo di incostituzionalità. Potrà la Corte costituzionale smentire il Capo dello Stato?


di Ettore Maria Colombo

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