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Con nota del 18 settembre u.s., la Regione Lazio ha dato delle indicazioni limitative alle strutture sanita- rie private autorizzate all’esercizio della diagnostica in microbiologia, virologia ed immunologia, per l’esecuzione di test per l’identificazione dell’antigene del virus SARS-CoV2
La ricerca degli antigeni è una metodica usata routinariamente dai laboratori e la nota regionale è solo una limitazione ulteriore sia per i laboratori che per i cittadini.
Non si capisce la motivazione per la quale non si autorizza l’esecuzione dei tamponi molecolari che da- rebbe ai cittadini una certezza del risultato e una risposta immediata, costringendoli invece ad eseguire prima il test della ricerca dell’antigene, e poi in caso positivo ad eseguire di nuovo un altro tampone in biologia molecolare, causando ai cittadini una quarantena immediata causata sia dall’attesa per seguire il tampone sia per i tempi della risposta.
I test per l’identificazione dell’antigene del coronavirus sono quelli fino ad oggi utilizzati presso i drive- in, i porti e gli aeroporti.
Alle strutture viene ovviamente imposto il rigoroso rispetto delle procedure di contenimento dell’infezione, metodiche già ampiamente adottate dalle strutture private sanitarie ed il test dovrà esse- re offerto in regime esclusivamente privatistico.
Nulla quaestio sul rispetto delle misure di sicurezza e neppure sull’impegno a praticare un prezzo con- gruo e coerente a quello di riferimento pubblico, la sanità privata rammenta di essere parte del SSR e soprattutto, presidio della salute pubblica.
Ma la “apertura” della Regione desta almeno due perplessità.
Anzitutto, considerato che i test antigenici non sostituiscono i più completi test molecolari, anzi, ne sono spesso l’anticamera, non si vede perché non autorizzare le strutture sanitarie private anche all’esercizio dei secondi. Del resto:
molte di queste strutture sono già abilitate alla biologia molecolare e dispongono di aree e meto- dologie adeguate alle esigenze di contenimento dell’infezione;
è noto che le strutture sanitarie pubbliche non sono in grado di eseguire test molecolari nella quantità necessaria rispetto alla attuale richiesta e per la tutela della salute dei cittadini.
Seconda perplessità: la Regione Lazio impone che le strutture sanitarie private utilizzino reagenti o si- stemi marcati CE IVD semiquantitativi o quantitativi con valori di sensibilità non inferiori al 80% e speci- ficità non inferiore al 97%, rispetto ad un test molecolare di riferimento. Ora, da una prima ricerca di mercato, non risulta che siano disponibili test semiquantitativi o quantitativi per il rilevamento dell’antigene, con entrambi i valori di sensibilità e specificità richiesti dalla Regione.
Meglio farebbe quest’ultima ad indicare quali siano i tipi di test antigenici adottati nelle strutture pub- bliche, con quale procedura di evidenza pubblica e quale sperimentazione, così che i privati autorizzati possano approvvigionarsene e somministrarli, rendendo l’intero sistema di analisi e screening coerente e confrontabile.
Non potendo ovviamente ritenere che le strutture pubbliche impieghino test antigenici con qualità infe- riore a quella pretesa dai privati.
Ma come mai le strutture pubbliche eseguono test per la ricerca dell’antigene dando risposte qualitative (positivo/negativo) mentre alle strutture private si chiede invece di dare risposte con valori semiquanti- tativi o quantitativi (valori numerici)?
Perché le strutture private ed i cittadini non sono messi al corrente quali test per la ricerca dell’antigene vengono utilizzati e delle procedure usate dagli ospedali e dei drive-in?
Siamo in attesa che ci venga comunicato dalla Regione Lazio una serie di prodotti idonei alle richieste dato che al momento non sono presenti sul mercato e che si adegui alle altre regioni nelle quali il tam- pone molecolare è già da mesi permesso.
crorganismo che provocano una risposta immunitaria da parte del soggetto) che non hanno nulla a che
ovvero le molecole del mi-
vedere con il tampone molecolare che ad oggi nella Regione Lazio è vietato
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