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Renato Mannheimer: la Lega domenica è diventata un partito nazionale, il governo? Per ora non cadrà


Renato Mannheimer

«L’elemento che meglio descrive queste elezioni è il carattere nazionale del voto della Lega» ci spiega Renato Mannheimer, sociologo e sondaggista che per lunghi anni ha maneggiato le indagini statistiche,nel salotto di Porta a Porta. Poche settimane prima del voto in una conversazione con l’economista Pierangelo Dacrema, pubblicata nel libro “Sognando l’Europa – Grande statista cercasi” (edizioni All Around) Mannheimer sosteneva che «se la Lega vincesse in modo netto, è possibile che Salvini decida di incassare in termini di seggi quanto ha raccolto sin qui. Ma non è scontato che ciò accada, perché potrebbe convenirgli continuare a governare ancora per altro tempo in un esecutivo di cui lui è, fondamentalmente, il leader».


E’ stato profetico professore

Risata. «Non ci voleva molto a capirlo. Non si tratta per Salvini di far saltare il governo per passare all’incasso, perché di fatto questa vittoria clamorosa, il 34 per cento, gli consegna già la golden share sull’esecutivo. La Lega era tanti anni fa un partito del Nord, radicato esclusivamente in quei territori. Con l’arrivo di Salvini è cambiato tutto. Basti pensare al dato della Sicilia, dove il suo partito conquista il secondo posto. E’ una cosa che solo pochi anni fa sarebbe stata inimmaginabile. Quella che esce dal voto europeo è una novità assoluta, per il dato quantitativo certo – il 17 per cento in più rispetto alle politiche del 2018 - ma anche qualitativo. E’ evidente che il partito bossiano ha cambiato pelle, è diventato a tutti gli effetti un partito nazionale. Una volta l’Italia era bianca, rossa, o nera. Adesso è verde. C’è da chiedersi, tuttavia, se una crescita così impetuosa ha delle solide basi o se alla prima occasione gli elettori torneranno da dove sono venuti oppure rifluiranno nel partito più grande quello dell’astensione».


Dei due populismi italiani, per parafrasare il film Highlander, ne è restato soltanto uno. Come valuta il flop dei Cinque stelle – il populismo verniciato di sinistra - in calo non solo rispetto alle politiche del 2018 ma anche alle europee del 2014?

«Penso che il populismo dei Cinque stelle non era tanto di sinistra. Era ed è un populismo trasversale alle classiche famiglie politiche italiane. E’ vero che nella circoscrizione sud continua ad essere il primo partito ma ha avuto una pesante battuta d’arresto anche lì. Al nord poi il movimento è letteralmente sprofondato. I cinque stelle al settentrione d’Italia sono sempre stati deboli, adesso direi che sono a rischio insignificanza. E’ evidente che molti elettori che lo scorso anno avevano messo la loro scheda elettorale nell’urna barrando il simbolo dei Cinque stelle questa volta hanno preso la strada del non voto».


Lei come se lo spiega?

«Perché sono stati delusi da alcune scelte del movimento, penso al reddito di cittadinanza che si è rivelato uno strumento insoddisfacente per molti italiani che ambivano ai famosi e sbandierati 780 euro. Ma penso anche agli ondeggiamenti sulla Tap, all’Ilva di Taranto, alla gestione, diciamo non brillante, del comune di Roma. Insomma arrivati al governo sull’onda di grandi aspettative i Cinque stelle si sono dimostrati meno capaci e meno preparati della Lega. Le polemiche innescate nelle ultime settimane di campagna elettorale da Di Maio poi sono apparse ai più pura tattica preelettorale».


Salvini emerge come leader nazionale. Potrà essere anche un leader europeo?

«Questo dipenderà da lui. Salvini ha cambiato spesso posizione nelle ultime settimane di campagna elettorale. Vedremo, ora che ha questa grande responsabilità nei confronti di tutta l’Italia e non solo del nord, come si comporterà nei confronti dell’Europa. E’ possibile che i toni bellicosi di queste ultime settimane verranno dismessi, anche perché di alleati su cui fa conto nell’emiciclo dell’europarlamento non è che ne abbia molti».


Torniamo un attimo a palazzo Chigi e dintorni. Il governo potrebbe pure tenere ancora un po’, però i rapporti di forza rendono Di Maio un ostaggio del Capitano. Che pensa?

«Nessuno conosce il futuro. In linea di massima i firmatari del famoso contratto di governo, pur a rapporti di forza invertiti, hanno tutto l’interesse ad andare avanti. Certo Salvini adesso si farà valere di più, sulla Tav come sulla flax tax o l’autonomia. Vedremo quale sarà la reazione dei Cinque stelle, ma ragionevolmente nel breve periodo – boatos a parte - non succederà nulla di significativo. In questo momento Salvini non ha interesse a cambiare la sua maggioranza. E i Cinque stelle sono troppo deboli per tentare colpi di testa. Certo, in quel partito si è aperta da domenica una tensione fortissima che non escludo possa portare a lacerazioni. D’altronde era già successo col Pd a guida Renzi».


A proposito di Pd, si aspettava il risultato di Zingaretti?

«Quello del Pd a leggerlo bene è un risultato di sostanziale tenuta. Al di là delle percentuali rimane che il Pd ha perso più di 100mila voti rispetto alle politiche. Quello che ha tramutato una tenuta in una mezza vittoria è stato il tracollo dei Cinque stelle».


Che Europa esce fuori dal voto? Salvini dice che è cambiata la geografia in Europa, però nel resto della Ue, come sottolineava prima, i sovranisti sono cresciuti molto al di sotto delle attese.

«Negli altri paesi europei il voto è andato in modo diverso dall’Italia, che, anche da questo punto di vista, continua ad essere una anomalia. Le forze populiste e antieuropee del Vecchio Continente non hanno avuto il successo che si aspettavano e quindi probabilmente l’Europa non corre i rischi che si temevano. Certo, l’Europa dovrà cambiare comunque, Salvini o non Salvini, perché da parte di tutti gli elettori c’è una critica radicale verso questa Europa. La necessità di una organizzazione e di una leadership diverse da quelle attuali è vissuto come una necessità improcrastinabile anche dagli europeisti. Ma diciamo che l’idea di Europa si è mantenuta e questo può aiutare gli organismi europei ad andare avanti sulla strada di una possibile riforma delle istituzioni comunitarie».


di Giampiero Cazzato

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