Matteo Renzi – che ieri ha tenuto per circa quattro ore un discorso stile Fidel Castro al teatro Elfo Puccini di Milano davanti al popolo dei suoi fans più accaniti e cocciuti, le centinaia di persone dei ‘suoi’ Comitati civici Azione civile - ha deciso: nessun nuovo partito, nessuna fuga ‘in solitaria’. L’obiettivo è riprendersi il Pd, riconquistarlo. Il combinato disposto della riforma Fraccaro (taglio del numero dei parlamentari) e del Rosatellum (la sciagurata legge elettorale da Renzi voluta e oggi in vigore), con soglie di sbarramento che diventano altissime e che rendono, di fatto, la Lega il solo partito ‘pigliatutto’, alle prossime elezioni politiche, con tutti gli altri dietro, schiacciati anumero di eletti, per i piccoli, infinitesimali, non permettono esperimenti in vitro, partitini, avventure solitarie, velleitarie. Meglio, dunque, puntare all’obiettivo ‘grosso’: riprendersi il Pd, partito da cui oggi Renzi si sente scippato come se ne sentiva scippato (da Renzi) D’Alema.
Renzi, osannato come una star, vuole riprendersi il Pd
Gli ‘hyksos’, i barbari venuti dal mare, Zingaretti&co., hanno conquistato ed espugnato un fortino che era suo come i renziani distrussero e incendiarono la ex ‘Ditta’. Ma i partiti servono, senza di loro la politica, banalmente, non esiste. Sono uno strumento e – come Renzi ha scoperto, avendo sul punto, cambiato idea (alla ‘cugina’ Elisa Simoni una volta disse: “Io voglio un partito personale, solo e tutto mio, senza corpi intermedi di nessun tipo”, lei ne inorridì) -sono come la serva per Totò, ‘servono’. E così l’operazione reconquistaè partita. Sarà operazione complessa e faticosa, oltre che ardita, ma tant’è. A Renzi, si sa, le sfide esaltano: “Il collante di Lega e M5S è il potere che hanno appena assaggiato: litigano, ma non rompono. Non si vota”, nota soddisfatto l’ex premier dal palco – anche perché, con elezioni anticipate, i renziani sarebbero stati decimati, essendo oggi il potere, dentro il Pd, in mano a Zingaretti - , “mettetevi comodi. La partita sarà lunga, ci vuole calma, bisogna restare lucidi e sereni, impostare una strategia Ci aspetta un lungo lavoro culturale, di studio, sui territori”. Sembra di sentir parlare un Togliatti 2.0, ma ‘Matteo’ – osannato e applaudito come una star – è in giacca bianca (colore che si porta tantissimo, tra i maschi, anche in sala) e jeans slavati e sdruciti, giovane tra i giovani, anche se i veri ‘giovani’, sugli spalti, son pochi, abbondano chiome canute. Ma, sotto i baffi, Renzi già pregusta la vendetta a posteriori, un piatto che, come si sa, è più gustoso se servito freddo.
Zingaretti ha la contromossa: il ‘regolamento Stumpo’
“Appena Zingaretti perderà, a valanga, Umbria e Calabria, dopo aver perso tutte le elezioni regionali dell’ultimo anno (Molise, Friuli, Basilicata, Sardegna, Abruzzo, ndr.) e tanti cruciali comuni italiani, arriverà il turno del voto in Emilia-Romagna. Perde anche quella ed è kaputt, finito”, spiega un colonnello renziano che ha il fiuto cattivo della iena ridens. A quel punto, “basta chiedere un congresso straordinario, ottenerlo e vincerlo: il gioco è fatto”. Il renziano si esalta, e la fa pure troppo facile. Zingaretti, oggi, durante i lavori della prima Assemblea nazionale seguente alla sua elezione, ha già in serbo la contromossa che proporrà presto e che, avendo una maggioranza schiacciante, farà passare. Non consiste, più di tanto, nella frustra questione della separazione delle cariche tra segretario del Pd e candidato premier - totem primigenio del veltronismo democrat che Zingaretti vuole sconfessare e i renziani vogliono, invece, difendere con le unghie e i denti – ma di un tema più raffinato e, in teoria, oggetto di dibattito tra pochi intimi. Un nuovo ‘regolamento’congressuale, per le primarie, che consisterebbe in una nuova ‘regola Stumpo’. Infatti, l’ex segretario e mente organizzativa di Bersani, Nico Stumpo, calabrese coriaceo e massiccio quanto raffinato e arguto, quando Renzi si contrappose all’allora segretario del Pd per tentare la prima ‘Opa’ ostile della sua carriera politica, si inventò la ‘pre-registrazione’ dei votanti alle primarie aperte (erano, allora, nel 2013, primarie di coalizione), tra primo e secondo turno, per stoppare artificialmente la corsa del ‘Bullo’ fiorentino. Come in effetti avvenne, dato che un grosso numero di persone (circa 400 mila) si scoraggiarono e, a causa dell’inghippo procedurale, non tornarono a votare favorendo, di fatto, la riconferma netta di Bersani su Renzi. Insomma, un regolamento procedurale, di fatto, ostativo e limitante la partecipazione (i fan di Renzi hanno attitudini e comportamenti elettorali più fluidi e meno irreggimentati, quelli di Zingaretti sono, per lo più, iscritti e militanti dem), potrebbe mettere i bastoni tra le ruote a Renzi, se davvero mai volesse cercare di riconquistare la ‘casamatta’ dem, tanto per parlare in termini gramsciani a lui poco consoni.
Renzi è tornato in palla, i renziani sono tornati in massa
Ma Renzi va avanti, è caricato a pallettoni, i renziani pure e, “dato che non si vota”, come ripete sorridendo a 48 denti (Zingaretti e i suoi avevano scommesso tutte le loro fiches su elezioni politiche anticipate proprio per operare un radicale ‘change’ dentro i gruppi parlamentari, oggi ancora largamente colorate dalle ’50 sfumature di grigio’ del renzismo, e per ottenere, finalmente, gruppi a loro fedeli), hanno fila e lana da tessere. La rappresentazione plastica del fatto che ‘dirsi renziani’ non è più un’infamia e una colpa sono le prime fila, quelle ‘vip’, del teatro Puccini: da porte di servizio ed ascensori secondari, mentre il fan peone e solitario fa la fila sotto il sole cocente di Milano a luglio, entra la creme del renzismo di ieri come di oggi. Maria Elena Boschi, ovviamente, discreta e imperiosa, ammirata da tutti (anche perché, onestamente, sempre più bella). Le deputate Lucia Annibali e Teresa Bellanova, vari maschietti che sono deputati o, in ogni caso,renziani della prima ora. L’ufficiale di collegamento di Renzi in Europa, l’ex sottosegretario Sandro Gozi, che con Macron e i liberali Ue lavora, ogni giorno, fianco a fianco. Ma anche il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, e – a sorpresa – il sindaco di Milano, Beppe Sala, che va bene che è il primo cittadino, ma con Renzi ha avuto mille e uno scontri e invece ora è in prima fila che se lo sente tutto per intero (c’è pure l’assessore Maran, in un angolo, da notare che Renzi parla per ore, ma tutti i suoi sono entusiasti, tranne i cronisti che mostrano evidenti segni di sonno e cedimento strutturale). Il prete di strada don Enzo Mazzi. L’ex direttore dell’agenzie delle Entrate Ruffini. Imprenditori (pochi) e militanti renziani che ancora rimpiangono il loro leader, vedovi e vedove del ‘renzismo’ come stato d’animo perenne prima ancora che come forma di partito e potere. Le punte di lancia deldream team dei renziani pasdaran, Roberto Giachetti (che almeno evita la corsa affannosa alla prima fila) e Anna Ascani (in ritardo), ma anche tanti deputati che, in teoria, militano dentro “Base riformista”, la nuova area dem di Guerini e Lotti che dovrebbe, in astrazione, raccogliere non renziani sfegatati ex renziani o renziani delusi che, invece, stanno tutti qua (Borghi, Paita, Fanucci, Marattin, peraltro applauditissimo da Renzi e dagli astanti). Come a dire, e dichiarare, che ‘al cuore non si comanda’ o che, ‘il richiamo della foresta’ è troppo forte, impetuoso. E poi, ovviamente, Francesco Bonifazi, ex tesoriere dem, che Renzi cita una continuazione dal palco, per sfotticchiarlo, ma a cui è legatissimo, mentre la Boschi – quando si parla, guarda un po’ – di educare i giovani attraverso una Summer school di politica (“Meritare l’Italia”) che si terrà ad agosto (in Toscana, ca va sans dire) – urla dalle prima fila dove è, “alle primarie i sedicenni votano!”. Ecco, appunto. Renzi a quello pensa: a riconquistare il Pd. Sembra che non ne parli, ma ne parla in continuazione e in modo quasi ossessivo.
“Siamo una corrente del Pd? No, basta, abbiamo già dato. Chi vuole fare le correnti le faccia”, dice con disprezzo, “nnoi siamo una corrente culturale, riformisti contro populisti, in Italiala democrazia non è in pericolo (e qui c’è l’unica volta in cui la sala rumoreggia, quasi contrariata, ndr.), ma l’Internet delle cose, i social, gli algoritmi sono loro che mettono in pericolo la democrazia”, è la tesi di Renzi, corredata da una lunga – e stucchevole – elencazione di tutte le cose ‘buone’ fatte dal suo governo (Jobs Act, 80 euro, lotta alla povertà, servizio civile, terzo settore, etc.), un rapido passaggio sulla polemica sui migranti che lo ha visto attaccare, a muso duro, sia Minniti che Gentiloni (ministri e successori del suo governo), qualche slogan di buon livello e ad effetto (“Siamo noi legge e ordine contro l’illegalità e il caos!”) e, soprattutto, il frontale con Salvini.
Il frontale con Salvini sul rapporto con la Russia
“Io non ci sto a lasciare a Salvini l’uso della parola ‘legalità’ – urla Renzi mentre sembra che il teatro Elfo Puccini stia per venire giù - perché Salvini non sa cos’è la legalità e noi quellaparola ce la dobbiamo riprendere”. E, riferendosi all’inchiesta su presunti finanziamenti russi alla Lega, continua: “Faccio una provocazione: io non credo che la Lega abbia preso quei soldi, 65 milioni di dollari, ma il punto è che membri della delegazione del vicepremier Salvini quei soldi ai russi li hanno chiesti. Se li hanno presi è corruzione internazionale e se li hanno chiesti questo è alto tradimento e sull’alto tradimento a Salvini e ai suoi collaboratori bisogna chiedere spiegazioni”. Infine, la stoccata ad effetto che dimostra che è ancora un mattatore: “A Salvini lo dico in russo: ‘Tovarish Salvini, glasnost’!”.
Renzi ne ha, di botte, da dare anche al presidente del Senato, Elisabetta Casellati, che ha definito ‘pettegolezzo’ la vicenda, impedendo all’aula del Senato di discuterne e riconrdando le intemerate del suo Dario Parrini (insieme a Andrea Marcucci renziani perinde ac cadaver) sui finanziamenti occulti alla Lega: “Il comportamento della Casellati è inaccettabile. Alla presidente del Senato chiedo che abbia rispetto delle prerogative dei parlamentari”.
Zero autocritica. La colpa delle sconfitte è ‘degli altri’…
Liquidati Di Maio e Toninelli, come Raggi e Appendino, con scudisciate urticanti (“il modello culturale dei 5 stelle si basa sul pressappochismo e sul cialtronismo”), Renzi, però, vuole, appunto,parlare del suo partito e di ‘come’ ha perso. Come Henry Fonzie in Happy Days la parola ‘ho sbagliato’ non riesce a pronunciarla: è sempre colpa degli altri, dei ‘nemici’ interni ed esterni, se ha perso il referendum, il governo, il partito e, già che c’era, le elezioni del 2018: “L’algida sobrietà ci ha condannato a sconfitta - dice -. Dopo il referendum abbiamo perso la voce. Io voglio capire come abbiamo fatto a perdere e come torniamo a vincere. Loro magari si romperanno prima del previsto e noi intanto prepariamoci per bene, non perdiamo neanche un giorno, e torneremo a governare il Paese”. “È semplicissimo dire – insiste nella sua coriacea autodifesa - che è tutta colpa del caratteraccio di Renzi, ma non è un problema di carattere ma di politica,anche perché il caratteraccio di Renzi non cambia. Noi le cose le abbiamo fatte ma siamo stati così autolesionisti da non inserirle in un racconto complessivo”. “Noi non eravamo forti, bravi e fighi perché non basta essere forti, bravi e fighi bisogna anche saper raccontare quello che si fa. E perché non si è fatto? Perché non tutti ci credevano, c’era una parte dei nostri che non ci credeva, troppo impegnata a riprendersi la Ditta e a dirci che non eravamo di sinistra”. Insomma, se il Pd ha perso le elezioni, la colpa non è stata sua, dei suoi errori, ma della piccola, microscopica e inutile, scissione di LeU di D’Alema&co., oltre che, ovvio, della mancata e perfetta ‘comunicazione’ delle – tantissime e bellissime - cose fatte. I fan applaudono ma siamo sempre lì: “Renzi è sempre lui”, direbbe Ligabue. Le proposte sono vaghe e tutte ego-riferite: proposte di leggeanti-fake-news per smascherare le ‘balle’ mondiali ,e già che ci sono, contro di lui, che ha iniziato una serie di cause civile e penali che, sicuramente, lo faranno diventare milionario perché potrebbe davvero vincerne tante; una class action da far partire sempre sulle fake newsda parte dei comitati e, appunto, una scuola di politica per giovani. Ma dietro, appunto, c’è l’obiettivo grosso, la reconquista del Pd. Renzi, per ora, finge di disinteressarsi di Zingaretti e del gioco tra le correnti, ma non vede l’ora di rituffarvisi. Solo che gli serve una ‘massa di manovra’ nuova e fresca: ecco che, all’uopo, tornano comodi i comitati. Persone e profili che appaiono un po’ democrat ‘orfani’ del Capo e un po’ ceti medi affluenti e benpensanti (molte le ‘pantere grigie’) che stanno e vivono fuori o ai ‘confini’ del Pd. Tutta gente, però, che – al di là del numero, impressionante e considerevole, anche solo a guardare i 3 mila di ieri – quando poi si tratterà di andare a votare alle primarie vota.
I comitati civici, immagine e somiglianza del Capo
Il solito retroscena dei soliti, malevoli, giornalisti? Non proprio. Renzi, di fatto, lo dice e lo fa capire durante il suo – lungo, lunghissimo – discorso che tiene al primo raduno annualedei “Comitati civici Azione civile – Ritorno al Futuro” che si è tenuto ieri a Milano, al teatro Elfo Puccini e che si è svolto sotto la regia organizzativa della ‘teutonica’ Ada De Cesaris, vicepresidente del consiglio comunale di Milano e renziana sfegatata quanto rigorosa. Un appuntamento preparato con cura e per tempo dai due nuovi ‘colonnelli’ di complemento del ‘nuovo’ renzismo’: Ettore Rosato, già capogruppo alla Camera che, oggi, ne è vicepresidente, e Ivan Scalfarotto, deputato dem ‘semplice’, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Renzi. Cattolico ed ex margheritino tendenza Franceschini il primo e gay dichiarato e radicale sui diritti civili il secondo, sono un mix perfetto, per Renzi. Il primo è un ‘organizzativo’, il secondo un ‘creativo’: i comitati dei renziani ultra ortodossi (di questo si tratta, poche storie: c’è un solo Capo osannato come una star, ed è lui, il resto è noioso, confuso, contorno) sono già mille, ma ‘Matteo’ sogna in grande: “per quando terremo la Leopolda (a novembre, sarà la decima edizione, ndr.) ne voglio duemila, avete capito?”. I due colonnelli obbediscono, le masse di fan accorse come quadrate falange oplitiche ad ascoltare il loro beniamino si spellano le mani. I comitati, un po’ dentro e un po’ fuori il Pd, sono stati creati a immagine e somiglianza del leader, stile Mao-Tse-Dong ai tempi della rivoluzione culturale: devono sparare sul ‘quartier generale’, ma quello di Zingaretti, mica il loro. Solo il tempo ci dirà se la ‘manovra di aggiramento’ di maoista memoria di Renzi avrà avuto successo dentro il Pd.
di Ettore Maria Colombo
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