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Riforma del catasto, Cazzaniga: «E’ una batosta per l’edilizia. Chi investe, andrà via»


Il noto imprenditore Gianmario Cazzaniga, in un’intervista a Spraynews, rivela come la riforma dell’edilizia voluta dall’attuale governo rappresenti un tappo per lo sviluppo del Paese e non un’opportunità.


Che idea si è fatto sulla tanto paventata riforma del catasto?


«E’ una mazzata sull’edilizia. Aumentando gli estimi, crescono le tasse. Nessuno, poi, fa investimenti senza sapere i costi che dovrà sostenere, a maggior ragione in edilizia. Stiamo parlando, però, di un settore fondamentale per lo sviluppo. Trovo incomprensibile un accanimento sul vero traino dell’economia».


Quale strada bisognerebbe, quindi, percorrere?


«Tornare alle riforme fatte da Tremonti, cioè la detassazione degli utili reinvestiti e quella degli utili investiti in immobili produttivi, dando così una spinta all’economia senza gravare sullo Stato perché ciò che quest'ultimo perderebbe sulle tasse lo recupererebbe con l’Iva, con i valori di ricchezza prodotta, i posti di lavoro e tanto altro. Considerando il Covid e le conseguenze della pandemia, servirebbe creare le condizioni per implementare lo sviluppo e non tappi. Con questa riforma, salvo torchiare i soliti noti, non riesco a comprendere i vantaggi per l'Italia. Chi ha molto denaro da investire, vivendo nella libera Unione Europea, andrà a farlo dove la situazione è molto meno onerosa in termini fiscali».


A suo parere, quindi, l’esecutivo Draghi starebbe commettendo qualche errore?


«Tutto quella che paventa una nuova tassazione sul valore immobiliare è un danno reale all’economia del Paese e non un vantaggio. Se lo faccia Draghi o qualunque altro governo è lo stesso. Un premier tecnico e un uomo riconosciuto nel mondo per le sue qualità, a maggior ragione, dovrebbe saperlo».


La sorprende che nell’attuale esecutivo, soprattutto per quanto riguarda le riforme, aumentino le divisioni?


«Assolutamente no! E’ una maggioranza fatta da opposti».


Ciò ricade sulla credibilità della politica. Non a caso, nell’ultima tornata elettorale, non è passato inosservato il dato dell’astensione…


«Da cittadino e non da imprenditore, ritengo che molte persone non hanno votato perché disilluse. E’ questo è molto grave. Se metà degli elettori scelgono di disertare le urne, certamente, non è un dato positivo per la democrazia. Le ragioni sono tante, come quella a cui facevo riferimento prima. Posso fare tanti altri esempi, come quello degli alberghi, eccellenza italiana colpita duramente dalla pandemia. In questo caso gli imprenditori del settore certamente non sono motivati a ristrutturare le strutture se si trovano di fronte a nuove imposte. Chi ha grandi capitali andrà altrove. L’Imu che grava su un immobile di Milano è dieci volte quella di uno di Londra».


Come non farsi trovare impreparati di fronte alla sfida del Pnrr?


«Una parte di questi fondi andrebbero messi a disposizione per ridurre l’Iva, almeno per un periodo, sugli immobili produttivi, ovvero quelli che creeranno lavoro. Il 22% è inammissibile. Quello che lo Stato perde sull’Iva, lo guadagna sugli investimenti. L’Iva sulle costruzioni è un costo, mentre quella sui ricavi è una parte del guadagno. C’è una bella differenza. Serve una detassazione a costo zero per lo Stato. Persino nel Medioevo il signorotto feudale si accontentava della decima e non del 22 per cento. Non c’era lo Stato di diritto, ma i poveri contadini vessati. Uno Stato che esagera spinge gli italiani a scappare e andare via. Non si riesce, purtroppo, a guardare al futuro, ignorando le multinazionali che cambiano la sede o realtà che si trasferiscono in paesi confinanti».


Una parte delle risorse del Pnrr dovrebbe essere destinata alla formazione?


«Serve innanzitutto una rivoluzione culturale. In Italia tutti pensano che sia nobile essere avvocato, medico, dentista, mentre sia quasi disonorevole fare l’idraulico o il piastrellista. Non ci dobbiamo meravigliare se per questi lavori poi arriva il marocchino o l’albanese. Forse occorre che la scuola professionale venga riconsiderata e rivalutata, con uno sbocco e non più considerata di serie b ma di serie a, esattamente come il liceo. Conoscere un’opera di Kant non è meglio di sapere come si costruisce un impianto».


Il vero gap da recuperare è quello infrastrutturale. Soprattutto nel Sud Italia troppo spesso ci troviamo di fronte a eccellenze che si trovano in aree dove non funziona internet o è difficile arrivarci…


«In alcune aree del Sud, penso a Bari, l’esperienza dei consorzi dei distretti industriali è stata sicuramente positiva. In realtà dovrebbe esserci semre n’autorità locale e tutta Italia dovrebbe promuovere lo sviluppo industriale, con infrastrutture e tecnologia. Non c’è stata fino a ora una crescita coordinata. Una piccola parte degli aiuti dovrebbe essere destinata all’Italia che produce e si sposta in treno e in auto. Le gallerie, ad esempio, non sono connesse alla rete telefonica e nemmeno funziona bene internet».


Di Edoardo Sirignano

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