Rimpasto, nuove elezioni o nuovo governo a trazione Lega? È su questo trittico di domande che si scervellano i deputati e gli addetti ai lavori mentre l’aula della Camera sta per votare, con il voto di fiducia oggi e il voto finale sul provvedimento domani mattina, domenica 30 dicembre, la prima manovra economica targata governo ‘gialloverde’. Un trittico che, però, prevede una sola risposta possibile, tra le tre indicate, escludendo di fatto, ovviamente, le altre due. L’incauta apertura, durante la conferenza stampa di fine anno, del premier Giuseppe Conte all’ipotesi di un ‘rimpasto’ di governo ha, ovviamente, scatenato i giornali di oggi nelle più ardimentose letture di parole che - sia pur ‘dal sen fuggite’ e subito dopo anche seccamente smentite dallo stesso portavoce del presidente del Consiglio, Rocco Casalino (primo caso nella storia in cui un portavoce smentisce il suo dante causa…) – pesano come un macigno. I giornali si sono sbizzarriti nelle ricostruzioni e nei retroscena su quali (Tria è il più probabile, seguono a ruota Toninelli, la Trenta, la Grillo, Bonisoli, etc.) e quanti (uno? Due o tre? Di più?) dicasteri finiranno nel ciclone rimpasto che dovrebbe concretizzarsi subito, a gennaio, ove mai Tria dovesse decidersi a mollare subito la poltrona causa il fuoco di fila cui è sottoposto insieme ai suoi uomini chiave al Mef da parte dei 5Stelle, oppure più avanti, dopo le Europee.
Quando la Lega, forte (si presume) dei numeri reali e non solo dei sondaggi che sanciranno il suo trionfo elettorale, il 26 maggio, potrebbe – così molti osservatori dicono – bussare alla porta di Di Maio e chiedere il conto delle urne, pretendendo di acquisire dicasteri più pesanti degli attuali: le Infrastrutture di sicuro, dove Toninelli è stato di fatto già commissariato dagli stessi 5Stelle, ma anche la Difesa, dove la Trenta è ormai in rotta di collisione con Di Maio, e poi giù giù pe’ li rami, dato che l’appetito vien mangiando. Ma, paradossalmente, questo scenario, quello del rimpasto, prevede che “l’amalgama”, come lo chiama Conte, o la “fusione fredda”, come la definisce Di Maio, che regge il governo gialloverde scavalli, politicamente e di calendario, l’intero anno solare 2019. Una prospettiva che, invece, molti altri osservatori vedono come sempre più precaria e difficile a realizzarsi. Se, invece, le contraddizioni tra Lega e M5S dovessero esplodere in via definitiva cosa potrebbe succedere? La via maestra, ovviamente, resta quella del voto anticipato. Così dice, ogni due per tre, Salvini e così, anche se molto più blandamente, sostiene anche Di Maio. Ma elezioni politiche anticipate ‘prima’ o subito ‘dopo’ le elezioni Europee, già fissate per il 26 maggio, sono più difficili a farsi che a dirsi, dato che a febbraio si vota in almeno due regioni (Abruzzo e Sardegna) e che, a giugno, si terrà un’importante tornata di elezioni amministrative. Dopo, come si sa, arriva ‘il generale Agosto’ (in Italia, è implausibile votare da metà giugno a fine settembre) e, dopo ancora, sarebbe Mattarella a mettersi di traverso.
Infatti, a fine settembre e, al massimo, entro il 15 ottobre, inizia la nuova sessione di bilancio e il Capo dello Stato “piuttosto che mandare il Paese alle urne con la Ue che ci chiede la manovra, i mercati e lo spread che tornano a schizzare in alto, ci manda i corazzieri in Parlamento…”, commenta un esponente in alto grado della truppa leghista. Dunque, si torna ‘a bomba’. Rimpasto? Per Salvini resta “l’ipotesi A”, ma sta prendendo piede anche “l’ipotesi B”. Quella, cioè, non del rimpasto, ma di un ‘nuovo governo’. La cosa curiosa è che mentre tutti parlano dell’operazione ‘Scoiattolo’ (conosciuta anche come “adotta un grillino”) che Berlusconi avrebbe in mente per dare vita, grazie a un consistente nugolo di parlamentari pentastellati pronti a ‘cambiare casacca’ per dar vita a un governo di centrodestra – Salvini starebbe pensando di metterla in campo lui un’operazione che, più che ‘scoiattolo’ si potrebbe chiamare ‘operazione volpe’ (la volpe, ovvio, è Salvini). Un alto dirigente del Pd, renziano e dalla memoria lunga, rispetto ai cambi di casacca dentro Montecitorio, la spiega così: “Non appena Salvini si renderà conto che il contratto di governo con i 5Stelle gli costa sacrifici eccessivi, dall’impossibilità di fare le Grandi Opere alla crescente insofferenza degli imprenditori e degli stessi governatori leghisti delle regioni del Nord, base sociale della Lega, si piazzerà nel bel mezzo del Transatlantico e, allo scoperto e senza sotterfugi, chiederà ai parlamentari grillini di seguirlo per dar vita non a un nuovo governo targato centrodestra (cioè, appunto, con Forza Italia, ndr.), ma a un nuovo governo targato Salvini e allargato, a destra, alla Meloni”.
Un governo, cioè, di ‘destra-destra’, si potrebbe definirlo, che da un lato porterebbe alla definitiva ‘cannibalizzazione’ delle truppe azzurre (che difficilmente resisterebbero alla tentazione di far parte di un governo, ma che dovrebbero abbandonare, a loro volta, Berlusconi per Salvini) e, dall’altro, svuoterebbe l’M5S fino a renderlo residuale e, soprattutto, spedendolo all’opposizione. Certo, i numeri sono i numeri e a Salvini, per compiere una tale operazione, ne mancano parecchi, ma – assicura sempre il dirigente Pd – «Quaranta grillini sono già pronti al salto della quaglia e altri quaranta si trovano per strada». Una strada impervia, certo, ma non impossibile da esplorare. Salvini farebbe, ovviamente, il premier e una truppa raccogliticcia ma salda gli permetterebbe di completare, o quasi, la legislatura. Naturalmente, la contro-indicazione a un tale scenario, è che a Salvini converrebbe, in ogni caso, passare per le urne, ma se Mattarella fosse irremovibile a sciogliere le Camere, uno scenario simile potrebbe acquistare via via consistenza. A quel punto, infine, con i 5Stelle relegati all’opposizione (e il Pd pure), la piena sovranità della Lega sul centrodestra sarebbe affermata in via definitiva e i mal di pancia di parlamentari azzurri che, un tempo, costituivano il ‘cerchio magico’ del Cavaliere (da Francesca Pascale a Mariarosaria Rossi che diversi boatos danno in via di uscita dal partito), conterebbero assai poco. Non è un caso, forse, che in vista di un Salvini sempre più centrale, nella scena politica, sia Mediaset che la famiglia Berlusconi (Marina in testa a tutti) si stiano acconciando a un futuro parallelo in cui papà Silvio non è più il centro del mondo, ma lo è Salvini, al di là della suggestione – dopo Crono/Berlusconi che ‘mangia’ i suoi figli – di Zeus/Salvini che lo spodesta per sempre.
di Ettore Maria Colombo
Comments