Il fuoco concentrico di Lega e M5S sul tema dei ‘mini-bot’, con il ministro Tria preso d’assalto e svillaneggiato come “un piddino qualunque” pare che abbia un retropensiero. “Matteo, e se mandassimo Tria a Bruxelles, come commissario, così ce lo togliamo di torno e facciamo la manovra che vogliamo noi, sforando i parametri Ue?”. “Ci devo pensare, Luigi, ma potrebbe essere una buona idea”. Di Maio e Salvini, ormai diventati – o meglio tornati ad essere – i buoni e dialoganti amici e partner che sono stati per lunghi mesi, forse non hanno avuto questo così diretto e franco scambio di battute, ma molti loro colonnelli sì.
L’ultima ideona di Di Maio e Salvini: liberarsi di Tria
L’ultima bella pensata che è venuta in testa ai due Dioscuri, infatti, più che a un rimpasto di governo, rassomiglia a una ‘bomba atomica’: mandare Giovanni Tria, titolare del Mef, a Bruxelles, come commissario della nuova Europa a 27, e liberare una casella nevralgica, quella di Tesoro e Finanze, per darla a un leghista (magari non un ‘mattacchione’ che vuol “uscire dall’Euro” stile Borghi o Bagnai, ma di certo un uomo di Salvini, una specie di ‘Paolo Savona bis’) e cogliere, così, due piccioni con una fava, specie per l’M5S: togliersi di mezzo il ‘nemico pubblico n. 1’, nel governo, uno che il reddito di cittadinanza non voleva proprio farlo, e affibbiare la patata bollente a Salvini nella logica dell’occhio per occhio: “Ha vinto lui le elezioni europee? Bene, ora si intesti la manovra economica lacrime e sangue, così poi ci va lui, in televisione, a spiegarla agli italiani…”. Salvini, nel contempo, potrebbe ottenerne un vantaggio: puntare tutto, tra il suo ministero (gli Interni, sui migranti e sulla sicurezza) e il Mef (i cordoni della borsa) per andare ‘a la guerre comme a la guerre’ con Ue, mercati, sinistra. Il Putin di Lambrate, insomma, con lo scolapasta in testa.
Salvini e Di Maio, invece, non vogliono Moavero in Ue
Si vedrà, anche perché – prima di scalzare Tria dalla sua poltrona, bisognerà convincere Mattarella, che di Tria è il Lord Protettore e che, invece, a Bruxelles, come italiano, vuole mandarci Moavero Milanesi, il ministro degli Esteri che a Salvini, come a Di Maio, puzza lontano un miglio di Trilateral, Bindelberg, Soros e tutta la compagnia cantante. Ma certo è che, se salta Tria e arriva un leghista, altro che ‘rimpastino’, nel governo Conte, siamo nel Conte bis vero. Eppure, i 5Stelle frenano in curva e fanno sapere che “per ora di rimpasto noi non vogliamo neppure sentir parlare”, anche perché la prossima settimana sono già impegnati a fare la ‘graticola’ ai loro – poverini, fanno già tenerezza – sottosegretari cui i parlamentari sottoporranno, per tema (sanità, scuola, economica, etc.) un fuoco di fila terribile di domande. Se rispondono ‘bene’, ok, verranno ‘promossi’. Se rispondono ‘male’, via, bocciati, dimissioni dal governo. Un’altra di quelle cose che, se provi a spiegarla a Mattarella ti manda i corazzieri a casa: li nomina lui i ministri e i vice (Conte, che nomina i sottosegretari, non dirà né ah ne bah).
Non serve un ‘contratto’ bis, c’è già “l’agenda Salvini”
Certo è che, arginato lo scoglio, e il rischio, della crisi di governo e della possibilità di andare a elezioni anticipate (anche se, almeno fino a metà luglio, la possibilità che tutto salti e si corra a elezioni a metà settembre c’è, in teoria) la nuova ‘agenda di governo’ della maggioranza gialloverde non prevede di scrivere un nuovo “Contratto di governo”. Tanto, i temi in cima ai pensieri e all’azione del governo ci sono già e sono quelli di Salvini (decreto Sicurezza bis, flat tax, Autonomie, forse persino Tav e riforma della giustizia) mentre i presunti temi nell’agenda del Movimento (salario minimo, legge sul conflitto d’interessi, diritti civili, etc.) sono spariti (puf!) in un lampo come se non esistessero più.
Nessuno nuovo contratto, tanto l’agenda la detta Salvini
E così, tra una finzione giuridica - il braccio di ferro con la Ue: di sicuro si aprirà la procedura di infrazione all’Italia ma si farà ottobre prima che la procedura si avvii davvero - e una finzione narrativa, non resta che sedersi a un tavolo, sì, come stanno per fare, di nuovo, Salvini e Di Maio (con il premier Conte nel ruolo di illustre soprammobile), lunedì, nel vertice di governo a tre, ma per spartirsi le poltrone.
Il caro, vecchio, rimpasto, evergreen della I Repubblica
Uno di quei ‘riti’ tanto vituperati della Prima Repubblica che prevedono di arrivare al tavolo col coltello tra i denti, il “manuale Cencelli” in una mano, la forza dei numeri – le truppe parlamentari come pure i voti nelle urne – nell’altra. Come si faceva, appunto, nei governi monocolore della Dc tra le varie correnti e ‘anime’ democristiane. Lo si faceva pure nei governi di coalizione (quelli quadri o pentapartito) tra alleati ‘grandi’ (la Dc), ‘medi’ (il Psi) e ‘piccoli’ (Psdi, Pli, Pri). E lo si faceva anche durante la II Repubblica, sia sotto i governi di centrodestra (tra FI, An, Lega e Udc) sia sotto i governi di centrosinistra (Ds, Margherita e affini).
Ma il ‘rimpasto’, di suo, è una specie di fisarmonica: può prendere la formula del ‘rimpastino’ o del ‘rimpastone’. Il che si porta dietro la sopravvivenza dell’attuale esecutivo con alcuni, semplici ma delicati, innesti in un paio di caselle (rimpastino), o di un tale rivolgimento della struttura dell’esecutivo (più ministeri che ruotano e cangiano colore) da stravolgere gli equilibri della maggioranza (rimpastone).
È evidente che il primo sentiero (il rimpastino) è agevole, porta alla sopravvivenza dell’attuale assetto di governo e, dunque, alla permanenza del ‘Conte 1’. Invece, il secondo sentiero (il rimpastone) porta, per forza, alla nascita di un ‘Conte bis’. Mattarella, infatti, non accetterebbe mai che il valzer tra le poltrone di governo, specie se sono ‘pesanti’, e magari l’aumento dei ministri leghisti a scapito dei 5Stelle, passi indenne. Obbligherebbe Salvini e Di Maio (e, buon ultimo, il povero Conte) a giurare di nuovo nelle sue mani e, di conseguenza, a presentarsi davanti alle Camere per verificare se il governo otterrà di nuovo, da esse, la fiducia.
Rimpastino o rimpastone? Il secondo porta al Conte bis
Il che, peraltro, è un’operazione a rischio. Infatti, se alla Camera la somma di Lega e M5S non presentati rischi (il totale dei due partiti fa 346 deputati su 630, ben sopra la maggioranza assoluta di 316), al Senato i numeri (e il terrore) corre sul filo. Lega e M5S viaggiano su un numero assai più ristretto, rispetto alla maggioranza assoluta (161), diciamo intorno alle 165 unità, ma con ‘in pancia’ ben 4/5 dissidenti grillini che, in caso di voto di fiducia, potrebbero farsi venire “casi di coscienza” e combinare un bel patatrac.
Scenari apocalittici, ma meglio tenerli a mente. Infatti, un governo che non ottiene la maggioranza assoluta può, dal punto di vista formale, governare come se nulla fosse (“basta che i sì battano i no”, ricordano sempre i costituzionalisti, cioè basta strappare la maggioranza relativa, non quella assoluta), ma gli effetti politici, economici e pure psicologici, sarebbero davvero devastanti.
Morale, il rimpasto (-ino o -one) è da maneggiare con cura. Prima di dire delle caselle, che ci sarà pare fuor di dubbio. Il governo Conte, così com’è, non va avanti. Lo sa Salvini, lo sa persino Di Maio, che ieri – poverino – ha ‘aperto’ persino all’ultima follia dei leghisti, quella dei mini-Bot, ma che vorrebbe evitare il rimpasto perché – gli stanno dicendo molti dei suoi – “per noi sarebbe puro tafazzismo”.
Salvini ha molto da prendere, Di Maio tutto da perdere
Ma Di Maio può permettersi scarsi margini di manovra. Ieri ha visto Beppe Grillo, in un faccia a faccia a Bibbona (sic), per ritrovare forza e slancio grazie ai saggi consigli del Padre Fondatore e rilanciare il Movimento. Fonti interne fanno sapere che “M5S tornerà più forte di prima” (a Roma, quando dici cose così si usa rispondere ‘sì, ciao core…’). L’M5S, da un rimpasto, in effetti, ha solo da perderci. Matteo Salvini – il quale, ovviamente, dice “Io non chiedo nulla, ma se ci fosse necessità di una squadra più compatta sono disponibilissimo” – ha invece tutto da guadagnarci.
Le poltrone ‘intoccabili’ per i 5Stelle sono solo tre
Le poltrone ‘intoccabili’, in teoria, per i 5Stelle sono tre: la seconda poltrona Di Maio (il Mise, cioè il ministero delle Attività produttive, che Salvini vorrebbe per poter dare “nuovo impulso alle cose da fare”) dopo quella del Lavoro (che gli sta creando, con centinaia di crisi aziendale aperte, problemi a non finire, peraltro); la Difesa, in mano alla Trenta, che i grillini difendono a spada tratta nonostante Salvini la detesti e i tutti generali sotto il suo tacco anche; l’Ambiente, governato da Sergio Costa, posto simbolo e chiave, per i pentastellati, causa Ilva, Terra dei Fuochi, etc. Ma anche il posto di Costa, nelle ultime ore, balla assai, e pericolosamente: Di Maio lo avrebbe dato per sacrificabile.
Su tutto il resto, invece, Di Maio è disposto ad ‘aprire’, cioè a ‘cedere’. Un ‘calar le braghe’ (questa si dice a Milano) rischioso, ma tant’è. “Se vogliono Sanità e Trasporti va bene, ma devono essere loro a chiederlo. Ci sediamo e ne parliamo”, è il ragionamento degli stellati. Di Maio non si prenderà mai la responsabilità di cacciare Giulia Grillo o Danilo Toninelli, ma trattasi di pedine sacrificabili in nome della neo pax romana, quella imposta da Salvini sulla scorta di Tucidite: “fecero un deserto e lo chiamarono pace”.
Le pedine sacrificabili: Salute (Grillo) e Mit (Toninelli)
Il nome della Grillo è tra quelli più in bilico. Malvista, praticamente, dall’inizio, anche da Di Maio, ritenuta “incapace, una bambina viziata, un’isterica” dentro l’M5S, il ministro si sente accerchiata e già cerca una via di fuga, protestando contro presunti “tagli alla Sanità” (mai chiesti da nessuno) che, “se ci saranno, vedranno dimettermi”. Insomma, la sua poltrona è pronta per finire in casa Lega - dove si chiede la Salute anche perché un ministero con competenze strettamente legato al tema delle Autonomie – o per restare in casa M5S, mettendoci Pier Paolo Sileri, silenzioso presidente della commissione Sanità del Senato.
L’altra testa pronta a rotolare è, ovviamente, quella del titolare del dicastero dei Trasporti e delle Infrastrutture, dove siete Danilo Toninelli, ormai noto all’ironia perfida dei social come ‘Toninulla’. Inanellatore di gaffe straordinarie e memorabili, ormai commissariato sulla Tav, come, di fatto, su tutto il resto delle Grandi e piccole opere, il povero Toninelli è stato nascosto anche in campagna elettorale come uno di cui ci si debba vergognare. Scaricato dall’M5S, detestato da Salvini, ‘la fine è nota’, per lui: nonostante i suoi disperati appelli (“Lavoro come al solito”) verrà sacrificato. Ma Di Maio vuole mantenere la casella del Mit, strategica per fare le Opere, a sé e al Movimento, non ha alcuna intenzione di cederla alla Lega, che vuole farne il cavallo di battaglia per fare lo ‘strapieno’ al Nord. Ecco perché è partita la caccia al successore, ma di casacca pentastellata. Il nome individuato è quello di un altro M5S, Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato, fedele dimaiano.
La Lega pretende gli Affari europei e il commissario Ue
Come si sa, però, nel governo Conte, un posto da ministro vacante, e da mesi, c’è, in realtà, ed è quello del titolare degli Affari europei, da quando Paolo Savona (di ‘area’, ma indicato da Salvini) si è dimesso per presiedere la Consob. Conte si è preso l’interim, ma soprattutto ha svuotato quel dicastero, nevralgico per le trattative con Bruxelles, di competenze e temi che sono passati agli Esteri (Moavero). Il dicastero, ormai è stato deciso, andrà alla Lega, ma Salvini vuole anche rimpolparlo delle competenze scippate, anche perché di Moavero Milanesi – rimasto, con Tria, il solo ministro che ascolta dettami e desiderata del Colle – proprio non si fida. Inoltre, la Lega ha chiesto, e ottenuto, di poter indicare il prossimo commissario in ‘quota Italia’ dentro la nuova Commissione. Dovrebbe essere, dato il teorico peso dell’Italia, un dicastero economico importante, ma il nostro Paese, ormai, è vissuto come l’appestato e il ‘gran malato d’Europa’, nei nuovi equilibri dell’Unione, e dunque, molto probabilmente, si tratterà di un ruolo minore.
Giorgetti, con la sua uscita e sparata a favore dei ‘mini-Bot’ si è, di fatto, tagliato fuori da solo (forse perché, si dice, di andare a Bruxelles non ha nessuna voglia), l’attuale ministro alla Famiglia, il cattolico tradizionalista Fontana, è improponibile, il nome di Guido Crosetto un ballon d’essai. E se, appunto, la soluzione fosse di spedire Tria nella Ue? Salvini e Di Maio, come s’è detto prima, ci stan pensando.
Mancano i rimpiazzi dei leghisti dimissionati Siri e Rixi
Bisogna inoltre ricordare che la Lega ha perso ben due sottosegretari. Prima Armando Siri, sottosegretario alle Infrastrutture, indagato per corruzione, costretto alle dimissioni da Di Maio. E, dopo, Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture e dei trasporti, condannato a tre anni e cinque mesi per peculato e falso, dimessosi subito, a differenza di Siri, per precisa scelta politica di Salvini. Ovviamente, per due leghisti entreranno altri due leghisti e, ancora più ovviamente, ‘chi’ saranno lo deciderà Salvini.
La follia della ‘graticola’ inventata in casa pentastellata
In casa pentastellata, invece, dove in fatto di inventiva non si fanno mancare nulla hanno inventato ‘la graticola’: una via di mezzo tra il pollice verso in giù o in su ai gladiatori e un’edizione speciale Masterchef (“mi stai ‘dilundendo’!”).
La “graticola” prevede l’esame, fatto dai parlamentari del Movimento, naturalmente sotto la stretta regia di Di Maio, di tutti i sottosegretari pentastellati: quante volte, figliolo? sarà la domanda, non hai risposto a noi, tuoi dante causa? I parlamentari si riuniranno per temi e un giorno alla volta, quindi ci vorrà una settimana per espletare la pratica della nuova Santa Inquisizione grillina. Un modo come un altro per prendere tempo rispetto a un rimpasto che l’M5S e Di Maio temono come la peste. Non foss’altro perché sancirà, in modo definitivo, la vittoria di Salvini e la loro sconfitta.
di Ettore Maria Colombo
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