La Commissione Ue dà ragione ai produttori italiani di riso: c'è stato danno economico causato dalle importazioni a dazio zero da Cambogia e Birmania, paesi per i quali potrebbe essere presto ristabilito il dazio. Sono le conclusioni dell'indagine iniziata nel marzo scorso dall'Esecutivo europeo, a seguito di un’istanza presentata nel febbraio scorso dall’Italia. Il nostro Paese è il principale produttore di riso dell’Unione europea, con 1,50 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da circa 4mila aziende di 234.300 ettari, che copre circa il 50% dell’intera produzione. L’iniziativa ha avuto il sostegno di Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, Ungheria, Romania e Bulgaria. Ma l’iter non è finito. Ora si attende il voto dei 28 Stati membri. Il regime di preferenza commerciale adottato dalla UE a favore dei Paesi poveri, ha portato ad un aumento esponenziale di tessuti e riso.
Secondo dati presentati dall’Ente Risi a Bruxelles lo scorso gennaio, il flusso maggiore di export di riso viene dalla capitale della Cambogia, Phnom Penh, con un incremento dal 2012 dell’822% (da 27mila a 249mila tonnellate). Tra settembre 2017 e luglio 2018 le importazioni UE di riso dalla Birmania sono aumentate del 66%.
Il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, ha espresso soddisfazione per il risultato raggiunto anche se non definitivo. «La Commissione ha chiuso l’indagine salvaguardia riso riconoscendo il danno alla risicoltura italiana. Nei prossimi giorni lavoreremo per avere la conferma definitiva», ha scritto su Twitter.
La Cia afferma che l’aumento ininterrotto dal 2009 dell’import “selvaggio” di riso dai Paesi asiatici, con costi di produzione e standard di sicurezza non paragonabili a quelli Ue, ha creato grosse difficoltà al comparto. “Con cali delle superfici coltivate e conseguenze non solo a livello reddituale e occupazionale, ma anche ambientale, vista la costante opera di difesa idrogeologica che i risicoltori portano avanti”. Secondo Coldiretti, “non è accettabile che l’Unione Europea continui a favorire con le importazioni lo sfruttamento e la violazione dei diritti umani nell’indifferenza generale ed è invece necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro gli alimenti ci sia un percorso di qualità che riguarda ambiente, salute e lavoro, con una giusta distribuzione del valore”.
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