Si dice che i morti non abbiano colore. È buona norma lasciarli fuori dalle discussioni perché perdono il diritto di replica e un po' perché il trapasso spaventa tutti e tendiamo a dare meno importanza agli errori di qualcuno che non c'è più. Chi invece un colore ce l'ha è l'assassino. In nome delle ideologie, politiche e religiose, sono morti più uomini di quanto la fame e le malattie riescano a fare insieme, a riprova che non solo è importante conservare memoria di ciò, ma diviene fondamentale se l'obiettivo è un'umanità in grado di imparare dagli errori fatti. E parte fondamentale di questo processo a ritroso di presa di coscienza di ciò che siamo come risultato di ciò che eravamo, consiste nel dare un nome e un cognome preciso a carnefici e perseguitati. A non fare un unico calderone di buoni e cattivi, ma a distribuire con pertinenza meriti e colpe. Si spiega in tal senso l'intervento irruento, a gamba tesa, di Marco Rizzo, noto giornalista e segretario generale del Partito Comunista, contro il divulgatore e figlio d'arte Alberto Angela, reo, secondo Rizzo, di aver fatto del revisionismo storico alludendo, durante la messa in onda di un suo programma sulle reti Rai, che anche l'Urss, durante il periodo della dittatura nazista, avrebbe contribuito a consegnare (e condannare) ebrei alla polizia tedesca.
«Anche il programma condotto da Alberto Angela non ha resistito alla tentazione della falsificazione storica anticomunista, affermando che l'URSS consegnò propri cittadini ebrei ai nazisti. La discriminazione razziale in Unione Sovietica non è mai esistita, basti ricordare che una parte rilevante dei dirigenti bolscevichi erano di origine ebraica, anche tra i più stretti collaboratori di Stalin. L'URSS fu rifugio per migliaia di ebrei che scappavano dalla Germania. L'Armata Rossa liberò gran parte dei campi di sterminio nazisti, tra cui quello di Auschwitz, consegnando al mondo le prove dello sterminio hitleriano. Rispondiamo colpo su colpo ai tentativi di equiparazione e alle campagne anticomuniste che vengono dai media».
Questo il contenuto del pensiero che Rizzo ha affidato ai social. Un elogio della verità forse, che non cancella le efferatezze di cui il regime staliniano si sarebbe poi macchiato contro disertori, avversari politici, contro i nemici del Comunismo. Ma pur sempre una chiarificazione: il fatto che nell'Urss si siano compiuti atti spregevoli non fa certo sì che altri altrettanto spregevoli gli debbano essere riconosciuti. E questo non certo per una triste e poco edificante gara a chi ha fatto meno peggio tra i due disastri che scaturirono, per ovvie e diverse ragioni, dalle esperienze totalitarie, ma per rispetto di chi quei lutti li ha vissuti. Per quelle esistenze strappate in nome della follia. È a loro che si deve la verità, quella sì, senza colore.
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