Roma continua a stupire. Perché nel torpore di una città casuale, struccata, condannata al degrado, nella mutazione impietosa da caput mundi a Cloaca maxima, rimane comunque essa a dettare i tempi della bellezza. Così, ancora oggi, tra le macerie umane e le polemiche, nel fruscio del Tevere che scorre piano, riemergono nuove meraviglie, come a voler testimoniare la gloria della civiltà, come un urlo disperato della città. La Soprintendenza ai Beni Culturali, accanto a Ponte Milvio, sulla pista ciclabile che costeggia il fiume porta alla luce un complesso archeologico composto da quattro ambienti e da un'area sepolcrale dove si distinguono ancora anfore e resti umani. Si tratta di un blocco di strati, una stratigrafia in termine tecnico, che dal I secolo arriva al IV dopo Cristo. Gli esperti si stanno interrogando sull’utilizzo di questi luoghi. «La pavimentazione preziosa e l’abside non bastano a definire questi reperti come un luogo di culto, una sorta di parrocchia suburbana come qualcuno ha ipotizzato. Non c’è un altare e mancano decorazioni liturgiche», secondo Giuliano Volpe, professore di Archeologia cristiana all’Università di Foggia e presidente emerito del Consiglio superiore del Mibact. Si potrebbe trattare, invece, di «un importante edificio di età tardo antica con un magnifico pavimento in opus sectile tipico dell’edilizia residenziale delle grandi ville appartenute all’aristocrazia romana. Decorazioni pavimentali in porfido, serpentino e marmi che richiamano le ville patrizie di Porta Marina a Ostia antica».
Gli scavi hanno avuto inizio lo scorso autunno e potrebbero essere nuovamente ricoperti per preservarne lo stato, come afferma il soprintendente Francesco Prosperetti: «Purtroppo ci troviamo in un'area golenale, quindi sottoposta alle inondazioni periodiche del fiume. Ma bisogna tenere presente che l'interro dei reperti archeologici è sempre il miglior modo di conservarli».
Roma è viva e non deve morire.
E.R.
留言