Un’Italia a due facce. Da una parte regala a Salvini il 36% dei consensi, dall’altra si prepara a scendere in piazza per contestare la legge di bilancio e per il timore di una nuova crisi economica. A ridosso di Natale, prima il 3 poi il 13 dicembre il mondo produttivo scenderà in piazza per lanciare l’ennesimo avvertimento al governo, dopo la manifestazione sulla Tav a Torino. Ad alzare la voce sono le imprese artigiane aderenti alla Confartigianato. Il Presidente Giorgio Merletti spiega le ragioni della protesta. «Non vogliamo mollare il terreno della crescita tanto faticosamente conquistato dopo anni di crisi che hanno messo a dura prova le piccole imprese artigiane. E i segnali di una frenata ci sono».
È vero che la manovra contiene numerose misure a favore del mondo imprenditoriale come la pace fiscale, gli incentivi per la digitalizzazione, la flat tax per le partite Iva, e la promessa per cambiare la legge sugli appalti, però quello che preoccupa è l’impianto generale della manovra. Se l’aumento del deficit dovesse far ripartire lo spread, portando ad un aumento del costo del denaro e a condizioni più stringenti per i prestiti, gli effetti di quelle misure favorevoli alle imprese sarebbero vanificati. Confartigianato sottolinea che con questo clima di incertezza le banche hanno già cominciato a chiudere i rubinetti.
E senza l’ossigeno dei finanziamenti il settore si blocca. Esportare diventa difficile e anche la domanda interna langue. Gli artigiani più piccoli, quelli che lavorano attorno ai cantieri temono che nonostante il bonus mobili e quello per le ristrutturazioni, i risparmiatori non spendano, per timore dell’aumento dei tassi in banca. Si verrebbe a creare una situazione di attesa che equivale a paralizzare il settore. Le piccole imprese del Nord sono la base elettorale della Lega. Ma allora come si fa ad essere di lotta e di governo? La risposta che viene dall’associazione è semplice: finora ci sono state tante promesse e una sola realtà, lo spread che sale e le banche che cominciano a concedere meno prestiti e a condizioni più onerose. È un messaggio chiaro, un campanello d’allarme per Salvini nonostante il picco del 36% dei sondaggi.
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